- Le polemiche fra l’allenatore e la società sono partite già nel precampionato della prima stagione, quando Conte accettava con insofferenza il ruolo da “top player” e chiedeva maggiori garanzie.
- A fine campionato 2019-20 la tensione pareva già essere al massimo, ma la mancata rottura aveva fatto credere che anche le successive crisi potessero essere superabili. Ma le difficoltà societarie di questa stagione hanno aggravato la frattura.
- Antonio Conte se ne va dall’Inter nel giorno degli addii: salutano anche Fabio Paratici (Juventus) e Gianluigi Donnarumma (Milan). Tre tesserati delle società che avrebbero dovuto fare la Superlega.
Non ci eravamo così tanto amati. Fra l’Inter e Antonio Conte si conclude un rapporto mai veramente idilliaco e tutto quanto avviene con velocità esagerata. Soltanto tre giorni dopo la conclusione del torneo di Serie A la società campione d'Italia e l'allenatore che dopo 11 anni l'ha riportata in cima al calcio italiano si separano. La causa ufficiale: divergenze sulla pianificazione della prossima stagione. Che si sono trascinate anche sulla valutazione della buonuscita, ma infine l'accordo è stato raggiunto.
Dunque, addio un anno prima che il contratto scadesse. Ciò che da entrambe le parti fa materializzare dei ricorsi storici. Quello dell'Inter, che vede andar via Conte dopo la conquista dello scudetto come Mourinho nella notte della terza Champions vinta a Madrid, anno 2010. E quello dello stesso Conte, che dopo la vittoria del terzo scudetto consecutivo lascia la Juventus in pieno ritiro precampionato causa divergenze sull'allestimento della squadra, estate 2014. Cose già viste.
No top player
In realtà la fine era nota. Talmente nota da stupire che non fosse avvenuta prima. Per esempio già l'estate scorsa, quando dopo la fine (ritardata) del campionato l'allenatore disse di essere stanco di fare il parafulmine lamentando l'assenza della società. In quel momento si dava per scontato che le cose finissero lì. E il fatto che non fossero finite lì aveva un po' ammortizzato il senso di allarme rispetto alle sfuriate successive. In fondo l'allenatore salentino si era portato avanti con le lamentele già nel ritiro precampionato della prima stagione, a Lugano. Quando comprese che quell'etichetta di top player appiccicata addosso a lui dalla società e dall'ad Beppe Marotta rischiasse di trasformarsi in un cappio.
Roba da “quando si vince vinciamo tutti, quando si perde perdi tu”. Già da quei giorni il brontolio è stato un mood costante, variato soltanto per innalzamento di ottave e non per rasserenamento di animi. La rottura giunta dopo l'acquisizione dello scudetto è stata l'emblematica conclusione di un matrimonio d'interesse in cui pure l'interesse aveva smesso di fare da collante.
Il giorno degli addii
Adesso a difenderlo sono soprattutto i tifosi, Che pure nei due anni di avventura dell'allenatore leccese sulla panchina nerazzurra si sono spesso divisi sul suo conto. In molti non gli perdonavano il passato juventino. Ma poi la corsa verso lo scudetto, condotta nonostante le gravi difficoltà finanziarie della società risolte (ma fino a quando?) giusto nei giorni scorsi, ha costruito qualcosa di simile all'unanimità. Antonio Conte se ne va giusto nei giorni in cui si era preso definitivamente il mondo nerazzurro.
I maligni diranno che molla al momento giusto, dopo aver ottenuto il massimo possibile nelle condizioni date e con la certezza che non avrebbe potuto ripetere l'impresa. E altro stigmatizzeranno che, visto il momento generalizzato di crisi per le finanze del calcio, pretendere che la società non dovesse fare dei sacrifici fosse un'insensatezza.
Di sicuro c'è che se ne va nel giorno degli addii, lo stesso in cui Fabio Paratici lascia il ruolo di responsabile dell’area tecnica della Juventus e Gianluigi Donnarumma viene dato in uscita dal Milan. Il calcio italiano è sempre più nel caos e a alimentarlo sono le tre società che volevano fare la Superlega. Appunto.
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