La voce di un’inchiesta sulla sorella della presidente del consiglio circola da dicembre. Diffusa anche dai renziani, è smentita dai pm. Il Giornale di Angelucci ipotizza un asse tra magistratura, stampa e politica. L’attacco eversivo alle procure
Nell’affaire Arianna Meloni, che secondo il Giornale e la premier Giorgia Meloni sarebbe il bersaglio grosso di un complotto ordito da renziani, giornali di sinistra e pm, una cosa è certa. A Palazzo Chigi da tempo sanno che nella procura più importante d’Italia, cioè Roma, non esiste nessun fascicolo a carico della sorella della presidente del consiglio. Il retroscena pubblicato da Il Giornale e firmato dal direttore in persona, Alessandro Sallusti, sembra dunque solo un diversivo per fare rumore, distrarre e allo stesso tempo ricompattare elettorato e coalizione sui nemici di sempre: la magistratura e la stampa non allineata.
Da quanto risulta a Domani, infatti, già lo scorso gennaio, quando già circolava con insistenza la voce di una presunta indagine sulla sorella della premier, dagli uffici giudiziari capitolini sarebbero arrivate rassicurazioni sull’assenza di inchieste nei confronti della sorella più potente d’Italia, che da semplice militante ha scalato in fretta la gerarchia del partito diventandone la regina assoluta, appena sotto la premier.
Per capire però come è nato questo grande equivoco e la successiva intemerata di Sallusti cavalcata da Meloni è necessario fare un passo indietro di qualche mese. Con una premessa: il terreno sul quale è fiorita quest’ultima caccia ai nemici è concimato con abbondanti dosi di conflitti di interesse. A partire da Il Giornale, edito dal deputato Antonio Angelucci, leghista ma legatissimo a Fratelli d’Italia, e diretto oggi da Sallusti, ex compagno della ministra del Turismo Daniela Santanchè nonché biografo della presidente del Consiglio.
La vocina
C’è chi ha parlato di «eversione», chi addirittura ha invocato il metodo delle «cosche di mafia». Questo il tenore delle dichiarazioni dei deputati e senatori di Fratelli d’Italia rilasciate con un curioso tempismo dopo la pubblicazione del “fattoide” di Sallusti, che ha ipotizzato anche il reato: traffico di influenza.
Nessuno dei dichiaranti, però, sembra aver verificato l’attendibilità del gossip giudiziario. Quello che hanno fatto alcuni cronisti, anche di Domani, nei mesi scorsi. L’indiscrezione dell’iscrizione circola infatti dallo scorso dicembre, ma ad ora non ha trovato alcuna conferma.
Ma tanto è bastato a risvegliare la politica dall’ozio agostano sotto l’ombrellone, tra masserie in Puglia e un balletto al Twiga di Forte dei Marmi di Flavio Briatore (l’imprenditore idolo del governo) e che fu della ministra del Turismo Santanchè. Una “verità alternativa” per dirla alla Trump. Una notizia presentata al pubblico come reale ma attualmente priva di fondamento, diventata occasione ghiotta per cannoneggiare con parole corrosive i pm e la stampa non amica.
Il filo di Arianna
Quel che è vero è che le voci di un’indagine su Arianna Meloni sono davvero circolate mesi fa anche tra ambienti renziani, che le hanno veicolate ad alcuni giornalisti. Queste indiscrezioni, via via sempre più insistenti, sono giunte anche nella redazione di Domani. Il nostro giornale, così come altre testate, ha fatto le opportune verifiche nelle procure che potrebbero essere competenti su eventuali reati legati al traffico di influenze: hanno tutte dato esito negativo.
Anche nelle ultime ore abbiamo raccolto ulteriori a smentite: la sorella di Meloni, a quanto ci risulta, non è indagata dalla procura di Roma, territorio dove esercita il suo ruolo politico, tesse la sua rete e manovra per le nomine nelle società pubbliche. Certo, altre procure minori potrebbero aver aperto indagini. Ma con il condizionale si potrebbe ipotizzare (e pubblicare) qualsiasi evento non verificato. Non solo: paragonare un’eventuale indagine penale a un complotto è di per sé eversivo nei confronti del potere giudiziario, che deve poter svolgere le sue funzioni senza diktat e pressioni da parte del potere esecutivo.
La strategia del complotto messa in campo da Sallusti e Meloni sembra dunque solo uno spin propagandistico. Anche perché la premier sa bene - grazie a buoni rapporti con alcuni magistrati - che a Roma non c’è alcun fascicolo per traffico di influenze. Almeno ad ora: improbabile che la procura di Francesco Lo Voi, avesse in futuro notizie di reato su Arianna, si lasci intimidire dalle dichiarazioni preventive dei vertici di Fdi.
Altro assunto del fuoco di fila dei meloniani è che Arianna Meloni, a capo della segreteria politica del partito, non si occupi di nomine e dossier assortiti. Un controsenso. Come si conviene a un altissimo dirigente del partito di maggioranza, la sorella della premier ha legittimamente un ruolo attivo. In passato ha lavorato alla candidatura a sindaco di Roma di Enrico Michetti, e anche alla scelta di nomi forti, come nel caso del potente presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. Che ha ammesso in radio come l’indicazione sul «mio nome è arrivato da Arianna».
Lei e Rocca sono infatti vecchi amici fin dai tempi in cui Rocca era presidente della Croce Rossa Italiana, dove lavora anche la migliore amica di Arianna, Mika Di Nunzio, con un passato da mandataria elettorale di Giorgia Meloni, quando era candidata sindaca al comune di Roma.
Tra le prime mosse del numero uno della Pisana sulla sanità c’è stato lo stanziamento di fondi per i privati. Il primo a beneficiarne è stato altro suo sponsor politico, amico, imprenditore e deputato leghista Antonio Angelucci, ça va sans dire editore de Il Giornale diretto da Sallusti: la prima delibera di giunta ha stabilito un finanziamento di 23 milioni di euro alla sanità privata e oltre 10 sono stati destinati alle strutture di Angelucci (Rocca è stato fino al 2022 nel Cda della fondazione San Raffaele di Angelucci).
Ora, l’indiscrezione di questi giorni trasforma questo governo nell’ennesimo esecutivo di destra che di fronte ai fallimenti urla allo strapotere giudiziario, in sintonia con il metodo del Cavaliere, al quale la stessa presidente del Consiglio si è ispirata in una dichiarazione che è una miscela di approssimazione e caccia alle streghe: «Purtroppo reputo molto verosimile quanto scritto oggi da Sallusti, uno schema visto e rivisto soprattutto contro Silvio Berlusconi», ha detto.
Infine, c’è un’altra ipotesi di scuola. La presidente è in possesso di informazioni riservate su eventuali indagini in corso? Nel caso le sue dichiarazioni sarebbero un’arma di pressione contro la magistratura inquirente.
È comunque un fatto che la premier, che si vanta di aver iniziato a fare politica dopo la morte di Paolo Borsellino, abbia usato parole di disprezzo per «un sistema di potere che usa ogni metodo e ogni sotterfugio pur di sconfiggere un nemico politico che vince nelle urne la competizione democratica». Meloni non ha risparmiato neppure la politica, o meglio la «peggior politica» che è passata a «mosse squallide e disperate».
Il nemico Renzi
Di chi parla? In questi giorni si è acceso uno scontro violento con il senatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi. L’ex segretario dem aveva attaccato il governo dopo la pubblicazione di alcuni articoli che davano conto della partecipazione di Arianna Meloni a incontri per decidere alcune nomine in Rai e in Fs. «Il partito di Giorgia Meloni ha iniziato a insultare Italia viva definendo me “boss di provincia” e “capobranco” e accusando le parlamentari di far parte di “una muta di cani”. Questo linguaggio di odio, violento e squadrista è il modo con il quale il partito di maggioranza replica a delle legittime domande di un partito d’opposizione», ha risposto Renzi.
Di certo il “fattoide” de Il Giornale ha avuto un effetto: i guai giudiziari, quelli veri, di ministri, sottosegretari e parlamentari di Fratelli d’Italia, sono stati momentaneamente dimenticati. Così come il ruolo marginale del governo in Europa e le poche risorse per misure necessarie a sostenere i ceti medio bassi: la manovra d’autunno rischia di essere più difficile del previsto.
L'indagine archiviata
Non è tutto. La teoria del complotto si fonda su un assunto: «Ora che siamo al governo fioccano le inchieste». In altre parole, secondo chi governa, per la magistratura si è penalmente interessanti solo se si è al potere. Un mantra, anche questo, smentito dai fatti.
La sorella della presidente del consiglio è stata infatti indagata a Roma ben 12 anni fa, quando nessuno la conosceva e Fratelli d’Italia doveva ancora nascere: il fascicolo è stato archiviato dopo la richiesta dei pubblici ministeri. Era il 2012, all’epoca Meloni era dipendente in regione, quando la procura capitolina indagava lei e il marito, l’allora assessore regionale e oggi ministro, Francesco Lollobrigida, per corruzione. Furono infatti accusati dai magistrati di Piazzale Clodio di aver favorito il costruttore Paolo Marziali nel 2009 in cambio di utilità. Per loro fortuna, la stessa accusa nel 2016 ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, perché gli episodi contestati ai due coniugi erano ormai troppo datati e perciò prescritti.
Non è la prima volta che Il Giornale evoca complotti tanto cari al governo. Lo ha fatto a tal punto da creare un cortocircuito interno alla maggioranza. Alcuni mesi fa titolava «Inchiesta su Crosetto». L'articolo era il resoconto di un incontro del ministro della Difesa, Guido Crosetto, alla procura di Roma, che lo aveva sentito per le frasi pronunciate sulla magistratura pronta ad azzoppare il governo a colpi di indagini. Crosetto, anche lui finito nelle polemiche dopo un’intervista al Corriere in cui ipotizzava trame dei pm contro FdI, aveva annunciato querela contro la testata amica. Ma Esopo insegna che a forza di gridare a lupo a lupo nessuno ci crede più.
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