Ricercato dal 1993, condannato all’ergastolo per le stragi del 1992 era considerato il più importante esponente di Cosa Nostra ancora latitante
È stato arrestato il boss mafioso Matteo Messina Denaro, 60 anni, considerato il più importante latitante di Cosa Nostra. Ricercato e latitante da 30 anni, Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo per il suo ruolo di mandante delle stragi del 1992. L’operazione che ha portato al suo arresto, scrive l’Ansa, è stata eseguita dai carabinieri del Ros ed è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
Secondo una prima ricostruzione Matteo Messina Denaro soffriva di tumore al colon e aveva metastasi epatiche per cui si sottoponeva a cicli periodici di trattamenti chemioterapici: il cognome che avrebbe utilizzato è quello di Bonafede.
Il suo arresto è «una grande vittoria dello stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia», ha scritto su Facebook la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al ministero dell’Interno Matteo Piantedosi per congratularsi per l’arresto.
Denunciato per la prima volta per associazione mafiosa nel 1989, nel 2000 aveva già ricevuto la pena del carcere a vita per il suo ruolo di capomafia nel trapanese. A Messina Denaro sono imputati in tutto decine di omicidi, tra cui Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell'acido dopo quasi due anni di prigionia.
Nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, Messina Denaro era figlio del boss locale, incarico che erediterà negli anni successivi. Alleato dei corleonesi di Totò Riina, come il padre, dopo il suo arresto è stato tra i boss favorevoli a proseguire la strategia degli attentati esplosivi.
Con trent’anni di latitanza, Messina Denaro è riuscito a sfuggire all’arresto sette anni più di Riina, che ha trascorso in latitanza 23 anni. Il successore di Riina, Bernardo Provenzano, è invece rimasto latitante per ben 38 anni prima del suo arresto nel 2006.
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