Mentre lo stato continua a guardare più il dito (le entrate tributarie garantite dalle giocate dei cittadini/consumatori) che la luna (le enormi ricadute, sociali, sanitarie e criminali, di una spropositata offerta di azzardo che non ha eguali in Europa), negli anni regioni ed enti locali si sono sobbarcate l’onere di difendere la salute pubblica. Iniziative che subiscono attacchi quotidiani. Non solo sul fronte dei ricorsi ai giudici amministrativi, ma sulla loro teorizzata inefficacia o, peggio ancora, dannosità. Come sta avvenendo in Piemonte
Continua con la sua quattordicesima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.
In tema di contrasto alla piaga che risponde al nome di dipendenza da gioco d’azzardo, regioni ed enti locali svolgono da circa un decennio un ruolo di supplenza nel tutelare la salute pubblica, poiché lo stato continua a guardare più il dito – le entrate tributarie garantite dalle giocate dei cittadini/consumatori – che la luna (le enormi ricadute, sociali, sanitarie e criminali, di una spropositata offerta di azzardo che non ha eguali in Europa).
Regioni ed enti locali legiferano in senso restrittivo – non proibizionista – allo scopo di tutelare la salute pubblica, secondo le prerogative che vengono loro riconosciute dalla Costituzione. Lo fanno organizzando momenti formativi e di sensibilizzazione, studiando e monitorando il fenomeno sui territori, limitando gli orari di apertura delle sale da gioco e dotandosi di uno strumento che è conosciuto come “distanziometro”, ovvero il divieto di apertura di sale da gioco e/o esercizi commerciali che ospitano slot machine entro una distanza (in genere circa 500 metri) da luoghi definiti sensibili, quali scuole, luoghi di culto, ospedali, centri ricreativi e sportivi. Luoghi frequentati soprattutto dai soggetti più a rischio, in primo luogo giovani e anziani.
Nonostante gli annunci, da anni lo stato ritarda nell’emanare una legge di riordino, in grado di fare tesoro di queste esperienze locali e di metterle a sistema, rendendo le regole omogenee su tutto il territorio nazionale. Esperienze che, come vedremo, ottengono ottimi risultati.
La genesi del distanziometro
Correva il lontano 2012 quando il governo Monti emanò il cosiddetto “Decreto Balduzzi”, dal nome dell’allora ministro della Salute, un primo tentativo del governo centrale di mettere mano al comparto del gioco d’azzardo, cresciuto nei 15 anni precedenti in maniera tanto ampia quanto incontrollata. Tra i provvedimenti previsti infatti quel decreto comprendeva anche la «progressiva ricollocazione» degli esercizi in cui si pratica il gioco d’azzardo, tenendo conto della presenza nel territorio di quelli che oggi vengono chiamati luoghi sensibili. Ma poiché la storia delle leggi sul gioco d’azzardo in Italia è spesso contrassegnata da rinvii mai motivati, anche nel caso di quello che oggi è per tutti il “distanziometro”, non è mai giunto un decreto ministeriale di attuazione.
Dieci anni dopo, tutte le regioni e le province autonome si sono dotate di un proprio impianto normativo, ognuna seguendo una propria sensibilità. La maggior parte delle regioni, infatti, applica il distanziometro sia per le sale giochi che per le sale scommesse. La Lombardia, una delle prime a legiferare in materia, ha dispensato le seconde a meno che non ospitino apparecchi da intrattenimento come le slot machine.
Altre regioni come il Piemonte o l’Emilia-Romagna applicano progressivamente le distanze minime dai luoghi sensibili anche per le vecchie licenze, garantendo ai titolari e agli esercenti che non rispettano le distanze un periodo di tempo per adeguarsi alle nuove disposizioni: eliminare le slot o delocalizzare l’attività. Altre ancora invece si rivolgono solo alle cosiddette nuove aperture, successive all’entrata in vigore dei provvedimenti.
Questi strumenti in mano a regioni ed enti locali subiscono attacchi quotidiani. Non solo sul fronte dei ricorsi ai giudici amministrativi, ma sulla loro teorizzata inefficacia o, peggio ancora, dannosità. Così mentre in Italia si dibatte sul tornare indietro, eliminando o ridimensionando l’applicazione del distanziometro, una capitale europea come Berlino lo ha adottato nell’estate del 2020, con l’obiettivo dichiarato di proteggere i più giovani dalle pericolose ricadute dell’abuso da azzardo.
Il caso Piemonte
Il tema delle leggi regionali e dell’applicazione del distanziometro sono tornati fortemente al centro del dibattito in queste settimane, in cui il settore azzardo chiede di poter ripartire a pieno regime dopo le chiusure imposte dalla pandemia. Alcune regioni come il Lazio, che all’inizio del 2020 aveva approvato delle modifiche alla propria normativa regionale allo scopo di renderla più stringente, applicando il distanziometro anche alle licenze già in essere e dando tempo agli esercenti 18 mesi per adeguarsi (entro il mese di agosto del 2021), lo scorso 19 maggio ha deciso di prorogare di un anno l’entrata in vigore di questi obblighi.
Ma il terreno di scontro più acceso era e resta il Piemonte. Perché prima di altri territori ha applicato, con la legge regionale 9 del 2016, regole più stringenti anche alle licenze in essere. Ottenendo risultati tangibili.
Infatti, dal 2016 al 2019, ultimo anno prima della pandemia, la Raccolta su rete fisica in Piemonte, ovvero le giocate registrate su tutte le tipologie di gioco, escluso quello online, è diminuita di 574 milioni di euro, passando da 5.127 a 4.553 milioni. In percentuale si è registrato un significativo calo di 11,2 punti percentuali.
Benché i numeri parlino piuttosto chiaramente, nel corso degli anni la legge ha subito diversi attacchi e proposte di modifica, questo perché avrebbe innescato, secondo gli oppositori, diversi effetti collaterali. In primo luogo un presunto “effetto sostituzione”, ovvero il non giocato su rete fisica si sarebbe riversato online. I numeri smentiscono però questa ipotesi. Premesso che i dati del comparto telematico sono in aumento da anni, il periodo 2016-2019 ha fatto registrare un aumento del 70,6 per cento su scala nazionale e del 72,9 per cento in Piemonte. Il gioco telematico, dunque, aumenta ovunque sul territorio nazionale, proprio perché non può essere oggetto ad alcun tipo di restrizione, essendo disponibile h24.
Per quanto concerne il tema particolarmente delicato del calo occupazionale del comparto azzardo, altra critica mossa da chi contrasta la legge 9/2016, si riportano dati e considerazioni contenute nella Relazione sulla legge regionale, presentata lo scorso gennaio proprio dalla Giunta piemontese: «I dati dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro mostrano l’andamento delle assunzioni e delle cessazioni relative all’occupazione dipendente nei settori di riferimento. Sul lato delle tabaccherie il dato è abbastanza stabile e nel quadriennio il saldo complessivo è addirittura positivo. Sul lato delle lotterie, sale scommesse e sale da gioco nei tre anni si registra un modesto saldo negativo, ma in linea con l’andamento complessivo del mercato del lavoro… Per l’insieme delle imprese ricomprese in questi settori, quelle con unità attive nel 2° semestre 2020 risultavano 630. La loro consistenza mostra una lieve crescita negli ultimi anni e non pare subire oscillazioni in corrispondenza dell’applicazione della legge regionale».
Terzo aspetto che viene tirato in ballo: la diminuzione dell’offerta legale avrebbe innescato un aumento considerevole del mercato illegale. Terreno scivoloso, perché non è possibile quantificare a quanto ammonti il gioco clandestino, ma va ricordato in tal senso che l’ampliamento del settore legale dei primi anni Duemila non aveva affatto cancellato gli interessi criminali nel settore, così come il gioco lecito è stato oggetto in questi anni di diffusissime infiltrazioni a scopo di riciclaggio. La locale Direzione distrettuale antimafia, la Guardia di finanza e i corpi della polizia municipale effettuavano sequestri e facevano emergere sale non autorizzate e apparecchi illegali in Piemonte, come nel resto d’Italia, già molto prima del 2016, benché alcuni se ne siano accorti con colpevole e interessato ritardo. Evidenziato questo aspetto, va ribadito che non vi sono al momento dati provenienti da fonti ufficiali che siano in grado di dimostrare che una diminuzione dell’offerta legale come quella che si è verificata in Piemonte, abbia innescato un contestuale e proporzionale aumento di gioco illegale.
Nonostante questi dati suggeriscano di muoversi diversamente, la legge regionale n° 9/2016 potrebbe essere cancellata a breve. La Giunta regionale è, infatti, da mesi al lavoro per una nuova normativa che tra poche settimane approderà in Consiglio. Il nuovo articolato prevede un salto indietro nel tempo: non solo viene eliminata l’applicazione progressiva alle vecchie licenze, ma chi ha dismesso le slot machine per effetto dell’attuale normativa potrà richiedere di reinstallarle nuovamente. Come se nulla fosse accaduto. Questo si applicherà per i tabacchini, le sale scommesse e le sale gioco ma non per i bar. Inoltre la distanza minima da rispettare nei confronti dei luoghi sensibili, ridotti in maniera significativa, viene diminuita da 500 a 400 metri.
È davvero questo l’unico modo per aiutare il settore economico dell’azzardo colpito dalla pandemia, facendo dei passi indietro sulla tutela della salute? Non la pensano così numerosi sindaci della rete di Avviso Pubblico che già ad aprile avevano manifestato la propria contrarietà allo stravolgimento della norma regionale, chiedendo un confronto con la maggioranza. Confronto che ci si augura possa essere portato avanti quando il succitato disegno di legge approderà in Consiglio regionale.
“La pandemia da azzardo”: il nuovo libro di Avviso Pubblico
Questo ed altri temi vengono analizzati e approfonditi nella pubblicazione “La pandemia da azzardo. Il gioco ai tempi del Covid: rischi, pericoli e proposte di riforma” edito da Altreconomia. Un saggio realizzato da Claudio Forleo e Giulia Migneco dell’associazione Avviso Pubblico, con il quale si intende aprire un dialogo su un tema delicato e spinoso come quello del gioco d’azzardo, che provi da un lato a stimolare il dibattito pubblico sulla tanto citata e mai approvata legge nazionale di riordino del settore e dall’altro a sensibilizzare e a far emergere la reale portata del dramma sociale rappresentato dalla dipendenza. Il libro ospita alcuni contributi esterni tra cui quello di Giovanni Tizian, cronista di Domani, che ha analizzato gli effetti della pandemia sugli interessi criminali nel settore.
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