È stato lo sportivo più prolifico dell’Nba, vincendo undici titoli in 13 stagioni, sempre con i Boston Celtics. Ma è stato anche un simbolo di riscatto contro il razzismo. Era in prima fila allo storico discorso di Martin Luther King
Bill Russell, morto domenica a 88 anni, non era solo un’icona dell’Nba. Era il simbolo stesso di una carriera da vincente, costellata da 11 titoli nella lega più importante al mondo, sempre con i Boston Celtics. Undici titoli in 13 anni, con otto vittorie consecutive, tra il 1959 e il 1966. Nelle ultime quattro stagioni era stato giocatore-allenatore, sempre nella stessa squadra: il primo allenatore nero in un campionato sportivo di questa importanza. Ha guidato gli Stati Uniti alla vittoria della medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1956.
La notizia della sua morte è stata data dai familiari sui social, senza ulteriori dettagli sulle circostanze. «Se ne è andato pacificamente all’età di 88 anni, con sua moglie, Jeannine, accanto». Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito Russell come «uno dei più grandi atleti della nostra storia». Come ricorda il New York Times, in un sondaggio del 1980 – prima che Michael Jordan, LeBron James e Kobe Bryant iniziassero a giocare – un gruppo di esperti lo aveva votato come «il più grande giocatore nella storia dell’Nba».
Contro il razzismo
Ma in vita Russell è stato simbolo anche del riscatto contro il razzismo. Era inprima fila al Lincoln Memorial di Washington nel 1963, quando Martin Luther King pronunciò il suo storico discorso: «I have a dream».
«Questo era Bill Russell – ha detto Biden – da un’infanzia nella Louisiana segregazionista a una carriera sui più grandi palcoscenici dello sport, Bill ha affrontato l’ostilità e l’odio del razzismo radicati in ogni parte della vita americana. Eppure, non si è mai arreso».
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