- È una difesa, ma anche un testamento, la lettera di papa Benedetto XVI pubblicata a tre settimane dalla divulgazione del dossier accusatorio relativo agli abusi pedofili nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga.
- Malgrado l’ammissione di una svista nella deposizione su una riunione avvenuta nel 1980 a proposito di un prete pedofilo, i quattro difensori canonici di Ratzinger smontano le accuse mossegli dal pool di legali che ha redatto il rapporto sugli abusi.
- Durante il suo pontificato, Benedetto XVI si è sempre messo in ascolto delle vittime, come dimostra il forte messaggio inviato nel 2010 ai cattolici d’Iralnda, tramortiti dalla rivelazione pubblica dei primi abusi.
Tre giorni bastano a mostrare le due facce della chiesa cattolica, quella celebrata negli studi televisivi e l’altra a cui tocca fare pubblica ammenda per evitare controversi processi mediatici.
Così, mentre si spegne l’entusiasmo per la prima intervista a papa Francesco negli studi Rai di Che tempo che fa, si accendono i riflettori sulle ultime parole di Benedetto XVI che, malgrado la scelta di una vita contemplativa nel monastero vaticano Mater Ecclesiae, a 94 anni deve difendersi dalle accuse di menzogna.
È una difesa, ma anche un testamento la sua lettera pubblicata a tre settimane dalla divulgazione del dossier sugli abusi pedofili nella diocesi di Monaco e Frisinga.
Nei venti giorni intercorsi da allora, è stato detto tanto sul suo operato in qualità di arcivescovo negli anni 1977-1982, a partire dalle accuse di falsa testimonianza mossegli dal pool legale Westpfahl Spilker Wast che ha redatto il dossier commissionato dall’episcopato tedesco.
Stavolta, però, papa Benedetto XVI non fa mistero di sentirsi rattristato dall’ultima, pesante percezione mediatica nei suoi confronti e con le sue parole si consuma l’antinomia d’immagine con papa Francesco, che viceversa ha fatto del medium la cifra comunicativa del suo pontificato: «Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità, e addirittura per presentarmi come bugiardo», scrive il papa emerito.
La difesa
La lettera è introdotta da una memoria difensiva redatta da quattro collaboratori, esperti in diritto canonico. Dopo una disamina delle accuse contenute nel dossier tedesco, i legali hanno smentito la loro presunta veridicità.
Nello specifico, l’accusa ritiene che l’allora arcivescovo Ratzinger fosse stato al corrente dei crimini pedofili del cosiddetto «parroco X», che negli anni Ottanta abusò liberamente di minori malgrado ripetute segnalazioni: «Joseph Ratzinger non era a conoscenza né del fatto che il sacerdote X fosse un abusatore, né che fosse inserito nell’attività pastorale. Gli atti mostrano che nella riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980 non si decise l’impiego del sacerdote X per un’attività pastorale (e) non si trattò del fatto che il sacerdote aveva commesso abusi sessuali. Si trattò esclusivamente della sistemazione del giovane sacerdote X a Monaco di Baviera, perché lì doveva sottoporsi a una terapia», controbatte la difesa.
Ne è preludio l’ammissione, da parte del papa emerito, di un errore nella deposizione commesso da un collaboratore: «È avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile», prosegue la difesa, che a riprova della sua innocenza menziona il passaggio della biografia curata da Peter Seewald, Benedetto XVI. Una vita: «In una biografia di Benedetto XVI pubblicata nel 2020 si legge: “Da vescovo, nel corso di una riunione dell’Ordinariato nel 1980, egli aveva solo acconsentito che il sacerdote in questione potesse venire a Monaco di Baviera per sottoporsi a una psicoterapia».
Eppure la difesa non manca di puntualizzare implicitamente la difficoltà a consultare gli atti: «La visione fu consentita al solo Professor Mückl, senza che fosse concessa la possibilità di memorizzare, stampare o fotocopiare documenti. A nessun altro dei collaboratori fu consentito di visionare gli atti. Alla presa in visione degli atti in formato digitale (8.000 pagine) e alla loro analisi da parte del Prof. Mückl, seguì un’ulteriore fase di elaborazione da parte del Dott. Korta, il quale ha inavvertitamente commesso un errore di trascrizione», puntualizza.
Il giudizio che conta
Il tono algido della difesa legale di Ratzinger è stemperato da un’accorata lettera scritta dal papa emerito stesso. In quella che è a tutti gli effetti una confessione, Ratzinger passa in rassegna i suoi anni di ministero con la consapevolezza di chi, rattristato dai giudizi mediatici, ha a cuore solo il giudizio di Dio: «Preghiamo il Dio vivente pubblicamente di perdonare la nostra colpa, la nostra grande e grandissima colpa (...). Ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa. E mi dice in modo consolante che per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso».
Ritorna l’eco del papa che, con la rivelazione pubblica dei primi abusi in Irlanda, non esitò a dire ai cattolici irlandesi: «Il compito che ora vi sta dinnanzi è quello di affrontare il problema degli abusi e di farlo con coraggio e determinazione».
Durante il suo pontificato, Benedetto XVI si è sempre messo in ascolto delle vittime, e lo dimostrano le svariate lettere pastorali. L’ennesimo paradosso nella chiesa dei due papi, se si pensa che Francesco, il pontefice pastore, delegando ai vescovi compiti di accountability, ha impresso alla lotta agli abusi un’impronta più nettamente burocratica.
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