Anni 19, altezza 2 metri e 21 centimetri, apertura alare di 2 metri e 40. In pochi numeri si potrebbe già avere la percezione completa del ciclone proveniente dalla Francia, pronto ad abbattersi sulla Nba. Il sentore è sempre più forte dopo averlo visto in azione, nei flash di pallacanestro abbacinanti mostrati prima a livello giovanile, poi nelle squadre senior del campionato di casa sua, i passaggi nelle coppe europee, quindi nelle amichevoli pre-stagionali di questa sua prima estate oltreoceano.

Sono i flash in cui si è visto in Victor Wembanyama un giocatore in grado di sovrastare tutti gli altri grazie alla lunghezza delle braccia, un personaggio più vicino a un cartone animato, con gli arti allungabili alla Space Jam, che a un essere umano. Tutto condito da una coordinazione fuori dalla norma, un’armonia che sconfina nella leggiadria di chi non sembra maneggiare un pallone da pallacanestro, ma una piccola pallina da tennis, padroneggiata tra avversari più piccoli.

Così pare quando caracolla in palleggio per il campo o quando conclude con naturalezza a canestro, da vicino, da dietro la linea dai tre punti, quando risulta immenso nella propria area da difendere. Un Gulliver tra lillipuziani; lillipuziani che però sono cestisti di due metri di altezza e 100 chilogrammi di peso, non proprio minuscoli insomma. Una differenza tale dal punto di vista dell’impatto visivo da valergli l’appellativo di alieno, perché quello di unicorno (utilizzato per i rari esemplari di cestisti dalle abilità tecniche superiori a quanto il loro fisico imponente e longilineo dovrebbe permettergli) gli sta stretto.

Uguale a tutti gli altri, invece, Wembanyama non è. Per le dimensioni che sin da piccolo lo hanno distinto nelle selezioni giovanili, non solo a livello di club, ma anche a livello di nazionale, nelle competizioni continentali prima e intercontinentali poi, con l’Europeo Under 16 del 2019 e il Mondiale Under 19 del 2021 a metterlo in vetrina: oltre alle famose clip video dell’ottobre del 2020, quando sedicenne sfidava in allenamento il centrone di 2 metri e 16 della nazionale maggiore e degli Utah Jazz Rudy Gobert senza paura.

Un atteggiamento mai fuori dalle righe, una totale consapevolezza del proprio potenziale, la cura dei dettagli. L’approdo in Nba, la massima lega del basket, era inevitabile e annunciata, tanto da scegliere di trascorrere la sua ultima stagione in Europa, non in una squadra sotto i riflettori, ma in un club di seconda fascia, con la possibilità di essere seguito ad personam da uno staff selezionato, per curare dieta, sviluppo fisico e tecnico, prima del raggiungimento dell’età necessaria a essere ingaggiato negli Stati Uniti.

Stati Uniti che, nonostante le reticenze “storiche” nel guardare oltre ai propri confini riguardo ai talenti cestistici del futuro (basti guardare come ultimo esempio il caso Dončić, altro Golden Boy considerato con molto sospetto prima dell’arrivo in Nba nonostante il dominio nel Vecchio Continente da teenager), nel caso del francese sapevano di trovarsi davanti a un fenomeno davvero straordinario.

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E allora su di lui da subito si è alzato il livello di attenzione, non solo per scout e management, non solo per l’aspetto sportivo – ormai da tempo avevano cerchiato con tante passate di rosso il suo nome – ma dal punto di vista della promozione e del marketing, alimentando le attese per il passaggio dall’altra parte dell’Oceano e fomentandone l’hype già altissimo per le sue giocate sempre più strabilianti.

La Nba gli ha affibbiato il diminutivo Wemby, ben più vendibile del suo cognome per esteso, ma soprattutto hanno trasmesso le partite del campionato francese sul proprio canale ufficiale, riempiendo i propri social network con le clip dei suoi highlights, giustificando la corsa a perdere più gare possibili da parte delle diverse franchigie Nba, interessate così a vincere invece il sorteggio per accaparrarsi la prima posizione nel draft del 2023, in cui Victor sarebbe stato l’ovvia prima scelta assoluta.

La sua squadra

L’hanno spuntata i San Antonio Spurs del santone coach Gregg Popovich, che a 74 anni suonati continua a sedere in panchina senza annunciare il ritiro, allettato ora dalla possibilità di allenare il francese a chiusura di una carriera straordinaria, da migliore di sempre.

Con l’intera operazione che assume i contorni del déjà-vu: gli Spurs già nella stagione 1996/97 sacrificarono l’intera annata sportiva per tentare di vincere il sorteggio e mettere le mani sulla prima scelta del draft 1997, in modo da portare a casa un talento considerato generazionale. Il suo nome era Tim Duncan: i 5 titoli vinti nell’era a San Antonio, in una carriera da Hall of Fame parlano da soli.

I favoriti

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È nel nome e nell’attesa di Wembanyama che si rimette in movimento la Nba, la corsa all’anello di campioni, con i Denver Nuggets di Jokić che lo difendono, alla caccia di una doppietta difficile visti gli squadroni costruiti da Milwaukee Bucks e Phoenix Suns (senza dimenticare Boston Celtics, Golden Warriors, Philadelphia 76ers e le due squadre di Los Angeles).

C’è la novità di un nuovo torneo, inserito nel corso della prima parte di regular season, la Nba Cup; ci sono nuove soluzioni tattiche che saranno introdotte dagli staff tecnici nel gioco; c’è l’evoluzione di un ricambio generazionale, con le icone LeBron James e Stephen Curry a sparare le ultime cartucce, mentre nuove stelle si prenderanno la Lega.

Se non si metteranno di mezzo problemi fisici a limitarlo, Wembanyama apre la sua era la prossima notte nel match contro i Mavericks dell’altro giovane fenomeno europeo Dončić. L’era dell’alieno, l’era di Victor.

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