- «Loro hanno giocato in 12, arbitraggio scandaloso. E l’arbitro dovrebbe chiamarsi Di Brutto». Per dichiarazioni di questo tenore i tesserati del calcio vanno incontro a sanzione sicura. Invece Berlusconi può dire ciò che vuole senza alcun rischio
- Per il Monza è soltanto il patron, finanziatore unico ma con nessun ruolo da amministratore. Il solo Berlusconi presente nell’organigramma del club brianzolo è il fratello Paolo, che però è presidente onorario e non siede nel Cda
- Per le critiche al mondo arbitrale il tecnico laziale Maurizio Sarri rischia multa o squalifica. Invece il “mero proprietario” del Monza è autoimmune essendosi escluso da qualsiasi carica sociale
Un altro legittimo impedimento. Se n’è giovato per l’ennesima volta Silvio Berlusconi, ma in questo caso grazie a una modalità paradossale: non già grazie alla carica che ricopre, ma piuttosto grazie a quella che non ricopre.
Lo hanno scoperto gli inquirenti della procura Figc. Che volevano provare a deferirlo per le dichiarazioni rilasciate contro l’arbitro brindisino Marco Di Bello nel post partita di Monza-Udinese dello scorso 26 agosto (vinta 2-1 dalla squadra friulana), ma si sono dovuti arrendere davanti all’evidenza: il leader di Forza Italia, pur essendone il finanziatore unico tramite Fininvest, non è un tesserato dell’Associazione Calcio Monza. Dunque non è deferibile né tanto meno punibile. Per il mondo del calcio è il Cavaliere inesistente.
Un cavaliere che però continua a muoversi per tribune d’onore e a lasciarsi intercettare dai giornalisti che gli fanno la posta a fine partita fuori dallo stadio. E lì proprio non resiste alla tentazione di parlare come se della società brianzola fosse davvero il presidente, e come del resto continuano tutti quanti ad appellarlo.
Una simpatica millanteria che però avrebbe mandato in fuorigioco la squadra della procura federale guidata da Giuseppe Chiné. Che stando al retroscena raccolto da Domani si sarebbe mossa per effettuare il deferimento (l’equivalente del rinvio a giudizio nella giustizia sportiva) ma presto ha dovuto alzare le mani.
Sarri sì, Berlusconi no
La scena è nota e può essere rintracciata facilmente da chiunque su YouTube. Appena uscito dallo U-Power Stadium di Monza il leader di Forza Italia si ritrova davanti l’esercito dei cronisti, in una scena che ormai è diventata consueta. Non fa nemmeno finta di resistere all’assalto dei microfoni, e anzi quando gli rivolgono la prima domanda va dritto sul tema che proprio gli preme: «Una partita sfortunata per il Monza, in cui però gli altri erano in dodici perché c’era anche l’arbitro con loro. Un arbitraggio davvero scandaloso».
Quindi piazza la gag ingessata, che senza le risatine preregistrate da sitcom cade nel gelo: «Come si chiama l’arbitro?», chiede, e quando un cronista risponde «Di Bello» replica «Ecco, dovrebbe chiamarsi Di Brutto».
Al di là della battuta da humour anni Cinquanta, rimangono le affermazioni che in termini di codice sportivo sono molto gravi: quelle sull’arbitro che sarebbe stato il dodicesimo giocatore dell’Udinese e sull’arbitraggio «scandaloso». Nel calcio si viene deferiti e squalificati per molto meno. L’ultimo fra i casi che hanno fatto più rumore riguarda l’allenatore della Lazio, Maurizio Sarri. Che dopo la gara persa in casa (1-2) contro il Napoli se l’è presa con l’arbitro Simone Sozza di Segrate, per poi dire che nell’epoca del Var certi errori significano che «gli arbitri sono prevenuti» e invitare il designatore arbitrale Gianluca Rocchi a intervenire.
La conseguenza è che nei confronti dell’allenatore laziale è stato immediatamente aperto un fascicolo da parte della procura Figc. Sarri ha patteggiato, evitando così la squalifica, e gli è stata comminata una multa di quattromila euro.
Sorte analoga poteva toccare a Berlusconi se fosse stato un tesserato del Monza. E invece nell’organigramma del club brianzolo non c’è la minima traccia del leader di Forza Italia, che non siede nemmeno in consiglio d’amministrazione. Il solo Berlusconi che figura nella lista è il fratello Paolo, che svolge il ruolo di presidente onorario. Il dirigente apicale è il fido Adriano Galliani, cui sono affidati i ruoli di vicepresidente vicario e amministratore delegato. Nessun altro rappresentante della famiglia Berlusconi è nel cda.
Mero proprietario again
Torna dunque il mito del “mero proprietario”, con nessuna responsabilità da amministratore e una debordante libertà di parola. Il che dà vita all’ennesima situazione anomala, la regola dell’eccezione che è la vera costante nella vita pubblica di Silvio Berlusconi. Con la situazione grottesca che ne deriva: se si parla di calcio, e nonostante sia proprietario e socio unico di una società di Serie A, Berlusconi può anche andarci giù pesante con le dichiarazioni senza doverne pagare le conseguenze in termini sportivi.
Praticamente è l’immunità che aveva sempre sognato, e che in modo avventuroso ha perseguito sia da imprenditore che da leader politico. L’ha trovata nel calcio e di fatto se l’è data da sé scegliendo di non avere alcun tipo di carica nel club che pur finanzia in modo molto generoso. Dunque oltre che inesistente è un cavaliere autoimmune. Per lui il calcio è davvero il migliore dei mondi possibili.
E se fosse anche stato l’unico, ne avremmo vissuto uno molto migliore tutti noi.
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