- Lo avevano definito ‘moderato’, ‘garante’, ‘padre nobile’, attribuendogli una generosa resipiscenza, ma Silvio Berlusconi è tornato quello che è sempre stato: un caimano. E in una notte ha ribaltato il governo di Mario Draghi, approvando la spallata del fido Matteo Salvini e salutando con una battuta funerea i fuoriusciti da Forza Italia, «riposino in pace».
- Il primo effetto della fine anticipata dell’esecutivo delle larghe intese è servito: il ritorno del leader di Forza Italia.
- Gli ultimi giorni prima delle dimissioni di Mario Draghi sono intensi e Berlusconi si prende la scena. Torna e oscura l’alleata Giorgia Meloni, in crescita nei sondaggi e oppositrice del governo Draghi, ma mal digerita dall’ex primo ministro. Se c’è lui, gli altri sono un corredo.
Lo avevano definito “moderato”, “garante”, “padre nobile”, attribuendogli una generosa resipiscenza, ma Silvio Berlusconi è tornato quello che è sempre stato: un caimano. E in una notte ha ribaltato il governo dell’ex amico Mario Draghi, approvando la spallata dell’ex rivale Matteo Salvini e salutando con una battuta funerea i fuoriusciti da Forza Italia, «riposino in pace».
Eterno caimano
Il primo effetto della fine anticipata dell’esecutivo delle larghe intese è servito: il ritorno del leader di Forza Italia. Prima propina un programma di otto punti, con annessa ricetta economica, senza copertura alcuna, e poi annuncia la candidatura al Senato. Non gli è ancora andata giù quella giornata di novembre del 2013, quando dopo la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale (tre condonati dall’indulto), l’aula di palazzo Madama decise di sancire la decadenza del pregiudicato. Ora, ottenuta la riabilitazione nel 2018, torna alla ribalta.
All’inizio della legislatura appariva un reduce, sommesso, sconfitto, alle prese con gli acciacchi dell’età e, spettatore, nel 2018, delle scorribande di Salvini che arriva ad allearsi con i nemici del M5s, «quelli che a Mediaset pulirebbe cessi». Il tramonto politico, dato per certo troppe volte, diventa ogni volta una nuova alba e come un’araba fenice, Berlusconi risorge dalle ceneri.
Nel febbraio 2021, Forza Italia appoggia il governo di Draghi dopo la fine della maggioranza giallo-rossa e del Conte due. Ma è all’inizio di quest’anno che l’ex cavaliere sancisce il suo ritorno, mettendosi di traverso ai sogni quirinalizi dell’ex banchiere centrale. Lo fa con una mossa a sorpresa. Mentre annuncia il ritiro della sua candidatura al Colle, non avrebbe avuto i numeri, augura buon lavoro al governo Draghi che «deve completare la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza)». Scacco matto al primo ministro che spegne ogni ambizione. È la mossa che segna il ritorno.
Guida la rivolta contro la riforma fiscale e quella del catasto, «non ci saranno nuove tasse sulla casa, è stata una battaglia lunga, ma l’abbiamo vinta», dice. Poi l’ex cavaliere benedice con i suoi la scissione di Luigi Di Maio che ha sempre coccolato e apprezzato. «Sei proprio bravo», ebbe a dirgli di persona. Il M5s esplode, Giuseppe Conte apre la crisi e Berlusconi la rende irreversibile con la richiesta di una «verifica di maggioranza» dopo la mancata fiducia dei Cinque stelle al decreto Aiuti.
Promesse e i guai con la legge
Gli ultimi giorni prima delle dimissioni di Draghi sono intensi. Berlusconi riunisce fedelissimi e alleati a villa Grande, un tempo residenza di Franco Zeffirelli. Pubblica le immagini dell’incontro, stringe la mano alla compagna Marta Fascina mentre Salvini parla. Con l’ex ministro dell’Interno il rapporto ora è ottimo, Berlusconi lo ha definito «unico leader» durante il finto matrimonio con Fascina di marzo.
Berlusconi torna e oscura l’alleata Giorgia Meloni, prima nei sondaggi e all’opposizione del governo Draghi, ma mal digerita dall’ex primo ministro. Se c’è lui, gli altri sono un corredo. Così occupa i telegiornali, rilascia interviste, dispensa analisi e offre la sua ricetta per il paese, è quella di sempre e mai realizzata. «Meno tasse, meno burocrazia, meno processi, più sicurezza, per i giovani, per gli anziani, per l’ambiente e poi la nostra politica estera», dice. Sulla politica estera, dalle parti del Cremlino esultano per la caduta di Draghi, meglio i vecchi amici Salvini e Berlusconi.
Certo le dichiarazioni, le prese di distanza, il dolore espresso dopo l’invasione dell’Ucraina, ma il primo girava con la maglietta di Putin addosso e il secondo, da presidente del Consiglio, ebbe a definire Putin «un dono di Dio».
Berlusconi vuole tornare da senatore, riprendersi il posto che una sentenza definitiva e la legge Severino gli avevano tolto. Sono passati nove anni dalla decadenza a seguito della condanna per la frode fiscale da 368 milioni di dollari. In quei giorni mentre sputava odio e veleno contro i magistrati, mentre urlava al colpo di stato, promise il ritorno.
Riprendersi il posto
Dopo nove anni, Berlusconi vuole riprendersi lo scranno, utile anche per contrastare l’assalto della magistratura. In questo momento ha quattro processi in corso, a Milano dove i pubblici ministeri hanno chiesto la condanna a sei anni per corruzione, a Siena (dopo l’assoluzione di primo grado), a Roma e Bari.
A Firenze è, invece, è indagato, con Marcello Dell’Utri, per concorso in strage, entro l’anno la procura decide se archiviare o chiedere il processo. L’indagine approfondisce il ruolo di soggetti esterni nella campagna stragista condotta dalla mafia nel 1993 sul continente con gli attentati a Firenze, Roma e Milano. Lui si dice inorridito, i magistrati continuano a indagare. Gli italiani, invece, dovranno decidere se credergli ancora.
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