Le attività di intelligence ed investigative hanno dimostrato che gran parte delle attività economiche che ruotano attorno e all’interno dell’area portuale sono controllate o influenzate dalle cosche della Piana, che utilizzano la struttura anche come scalo per i loro traffici illeciti.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.
Le cosche Piromalli – Molè, Bellocco- Pesce e le altre ad esse collegate hanno già dimostrato di non trascurare alcun settore economico nelle zone da esse dominate, con una grande capacità di adeguarsi sia dal punto di vista strettamente criminale che da quello finanziario ed imprenditoriale alle nuove opportunità offerte loro sul territorio.
Le attività di intelligence ed investigative hanno dimostrato che gran parte delle attività economiche che ruotano attorno e all’interno dell’area portuale sono controllate o influenzate dalle cosche della Piana, che utilizzano la struttura anche come scalo per i loro traffici illeciti. Peraltro, come rilevato dalla stessa Dda la fase di pace che caratterizza l’attuale momento storico e l’assenza di manifestazioni eclatanti di violenza verso le imprese può avere una sola spiegazione: le cosche hanno deciso di gestire nel silenzio i grandi affari che si prospettano nella Piana e di continuare a sfruttare nel modo migliore il controllo che esse esercitano sul porto.
Sempre la Dda di Reggio Calabria, con un’indagine condotta assieme ai Ros dei Carabinieri, ha svelato l’esistenza di un gruppo criminale con funzionari infedeli dell’Agenzia delle Dogane, responsabile di controlli doganali irregolari. Il circuito delle verifiche doganali e dei servizi di intelligence e di controllo dei containers sbarcati – circa 3.000.000 nel 2006 – ha un’importanza strategica per il contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Del resto è l’intera gamma delle attività interne e dell’indotto a subire il condizionamento mafioso: dalla gestione dello scalo alle assegnazioni dei terreni dell’area industriale, dalla gestione della distribuzione e spedizione delle merci al controllo dello sdoganamento e dello stoccaggio dei containers.
Tante attività illecite
Ma il porto offre alle cosche anche un’importante opportunità per diversificare le proprie attività illecite:
Traffico illecito di rifiuti: l’indagine “Export” del luglio 2007, condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi, ha consentito il sequestro, nell’area portuale, di 135 containers carichi di rifiuti di diversa specie e qualità diretti in Cina, India, Russia ed in alcune nazioni del Nord Africa. Si tratta di un’indagine particolarmente complessa che coinvolge anche le Procure di Bari, Salerno, S. Maria Capua Vetere, Monza e Cassino e riguarda 743.150 Kg. di rifiuti da materie plastiche, 154.870 Kg. di contatori elettrici, 1.569.970 Kg. di rottami metallici, 10.800 Kg. di parti di autovetture e pneumatici, 695.840 Kg. di carta straccia. Rilevantissimo è il numero delle persone indagate con il coinvolgimento di 23 aziende italiane operanti nel campo dello smaltimento dei rifiuti.
Contrabbando di tabacchi: questa attività sta attraversando, nuovamente, una fase di espansione, e, contemporaneamente, una fase di trasformazione dei modelli tradizionali. La crescita delle vendite illegali di tabacchi coincide con il generale aumento dei consumi mondiali – specie delle zone più povere – frutto dell’intensa opera di marketing delle multinazionali. I grandi produttori di sigarette, infatti, vogliono recuperare, a livello mondiale, le perdite determinate dalla notevole contrazione della domanda, verificatasi negli ultimi anni nei paesi occidentali, e soprattutto negli Usa, in conseguenza dei successi delle campagne antifumo e dei sempre più diffusi impedimenti legali al consumo.
Il 7 giugno 2006, nove tonnellate di tabacco di contrabbando di marca ''Bon'', per un valore di un milione e mezzo di euro, sono state sequestrate dalla guardia di finanza al termine di un’operazione condotta nel porto di Gioia Tauro. Il carico è stato scoperto all’interno di un container proveniente da Jebel Ali (Emirati Arabi) con la motonave ''Msk Detroit''. Il contenitore carico di sigarette, ma che avrebbe dovuto trasportare giocattoli, era destinato in Croazia.
Il 2 agosto 2006 sono state sequestrate oltre sei tonnellate di sigarette. Erano nascoste all'interno di un container sempre proveniente da Jebel Ali (Emirati Arabi) e con successiva destinazione Salonicco (Grecia). Il container doveva contenere ''pannelli di cartongesso'' e invece sono state trovate oltre 30 mila stecche di sigarette di marca ''Passport'' per un valore di oltre un milione di euro”.
Traffico di sostanze stupefacenti: Il porto, come evidenziato dall’operazione “Decollo bis”, rappresenta un nodo strategico per tutte le rotte mediterranee della droga. Questa operazione portava all’emissione da parte del Gip di Catanzaro di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 112 soggetti, tra i quali alcuni esponenti della cosca Pesce di Rosarno.
Nell’ambito della stessa operazione, nel porto di Salerno venivano sequestrati 541 kg. di cocaina, importata attraverso la ditta Marmi Imeffe di Vibo Valentia con destinazione il porto di Gioia Tauro. L‘operazione è una delle tante che provano come il porto nella fase della massima espansione delle sue attività fosse già utilizzato dalle ‘ndrine come porta d’accesso di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
Anche dalle audizioni degli organi a ciò istituzionalmente demandati, è emerso che, nonostante indubbi progressi in tema di prevenzione e repressione (rafforzamento dell’apparato di contrasto, creazione del Commissariato Straordinario per la sicurezza del porto; Patto Calabria Sicura, stipulato tra Ministero degli Interni, Regione Calabria, Provincia di Catanzaro, Provincia di Reggio Calabria; Programma Calabria) l’area portuale di Gioia Tauro continui a mantenere intatta la sua problematicità.
È stato evidenziato, infatti, che il bacino portuale, che oggi movimenta più di 7500 containers al giorno su tratte internazionali ed intercontinentali, e che presenta enormi potenzialità di espansione, necessita del potenziamento dei sistemi di controllo sulle attività che in esso si svolgono.
Nello specifico, il Prefetto di Reggio Calabria ha posto la necessità di una verifica dell’entità – in termini di uomini e mezzi - e dell’efficacia sia della presenza di Capitaneria di Porto che della Guardia di Finanza, in modo da rendere effettivi e capillari i controlli sui movimenti di merci in un’area di così vasta portata, visto che le cosche esercitano un «pacifico e disciplinato controllo del territorio grazie al flusso economico determinato dal sistema porto anche nell’indotto», con conseguente «rarefazione di manifestazioni violente nella zona».
Anzi, «l’assenza di attentati o danneggiamenti di alcun tipo nell’area del Porto è il chiaro segnale di un controllo che non ha bisogno di prove di forza per continuare ad aumentare e consolidare il proprio potere».
Tuttavia il contesto descritto potrebbe essere messo in crisi dall’eclatante e simbolico omicidio del boss Rocco Molè, capo dell’ala militare della cosca Piromalli-Molè, avvenuto nei pressi della sua abitazione, a Gioia Tauro, il 1° febbraio 2008.
Le difficoltà dello Stato nel contrastare la mafia
La conclusione cui giunge il Prefetto è indicativa delle difficoltà anche degli organi dello Stato nello sviluppo dell’azione di contrasto: in un contesto così pervaso dalla presenza mafiosa, inabissata o dissimulata all’interno del sistema delle imprese e delle attività legali, sul piano della prevenzione generale, l’attività di forze di polizia e magistratura pur di elevatissima professionalità, è insufficiente e occorre attivare una rete di infiltrazione non convenzionale idonea a raccogliere informazioni utili su cui fondare l’opera dei primi.
Conferma che arriva anche dal Presidente dell’Autorità Portuale che ha segnalato due casi inquietanti.
Nel primo caso, nell’ambito di un procedimento finalizzato al rilascio di una concessione demaniale pluriennale richiesta dalla società Meridional trasporti, l’Autorità portuale, dopo avere accertato che la società risultava in possesso di certificazione antimafia, acquisiva un’informazione prefettizia che, al contrario, segnalava il pericolo di infiltrazione mafiosa a carico della stessa, mettendo così a nudo un problema più generale che deve far riflettere sull’efficacia reale della stessa certificazione antimafia.
Nel secondo caso, nel corso di lavori già affidati in subappalto all’impresa Tassone – contratto di nolo a caldo – l’Autorità portuale acquisiva informazioni prefettizie che segnalavano il pericolo di infiltrazioni mafiose a carico del subappaltatore. La conseguente ingiunzione all’appaltatore principale di revocare il contratto di sub appalto, restava, tuttavia, priva di effetto poiché la ditta non veniva allontanata dal cantiere.
La persistente criticità della situazione dell’area portuale è stata evidenziata anche dalla Dac (Direzione Centrale Anticrimine) nella relazione del gennaio 2008 consegnata alla Commissione, che ha evidenziato il riproporsi di segnali allarmanti della persistente presa delle cosche sulle intere attività economiche della piana.
Un’inchiesta conclusa nel 2001 portava, infatti, all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di dieci soggetti tra i quali Carmelo Bellocco e Antonio Piromalli, indagati per associazione mafiosa ed estorsione, ritenuti responsabili di controllare e condizionare con tali mezzi la regolarità delle attività incentrate sul porto di Gioia Tauro.
È particolarmente allarmante che nell’area portuale siano ancora presenti imprese accertatamente mafiose già individuate nel corso dell’indagine “Porto” le quali, ricorrendo al semplice espediente del cambiamento di denominazione o ragione sociale, hanno tranquillamente continuato per anni, e continuano tuttora, ad operare.
In questo contesto è comunque positivo che sia stato rinforzato il dispositivo di contrasto con la creazione di un pool investigativo composto da operatori della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Reggio e del Commissariato ps di Gioia Tauro con il compito esclusivo di investigare e fronteggiare le infiltrazioni mafiose nel porto.
La Commissione, pertanto, sulla base dei comuni allarmi lanciati dai soggetti istituzionali ascoltati nelle audizioni, sottolinea il perdurare delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico ed imprenditoriale nell’area portuale e ne evidenzia il peso sociale ed economico, con una capacità delle principali cosche della Piana di intessere relazioni ambigue e pericolose sia con i soggetti economici che con quelli istituzionali.
In relazione a tale quadro, particolare preoccupazione suscita il preannunciato arrivo di ingenti finanziamenti europei, nazionali e regionali. Lo stesso Dpef del 2007 ha inserito Gioia Tauro tra le aree destinatarie di investimenti particolareggiati.
In questo quadro la Commissione auspica che si determini il massimo sostegno alle forze di polizia ed alla magistratura sviluppando in modo sempre più efficace l’azione di contrasto anche con un migliore coordinamento interforze di tutti i corpi di polizia. Utile potrebbe essere l’impegno degli apparati di intelligence, al fine di acquisire e fornire a polizia e magistratura informazioni altrimenti difficilmente disponibili.
Attività da sviluppare comunque in modo trasparente e sotto il controllo delle istituzioni parlamentari. È altrettanto necessario superare la confusione di poteri e competenze tra Enti ed istituzioni territoriali e regionali causa anch’essa della scarsa trasparenza dei processi decisionali e punto di fragilità in cui, come già è avvenuto, più facilmente si annida il pericolo di infiltrazioni mafiose. Infine, diventa sempre più urgente l’istituzione di una banca dati centralizzata delle certificazioni e delle informative antimafia e la stipula di protocolli che definiscano procedure certe e automatiche per lo scambio di informazioni tra la Dna, la Dia e il ministero degli Interni.
© Riproduzione riservata