Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.


Pio La Torre mette in fila quei delitti e crede di avere scoperto una trama che li attraversa, un «disegno» criminale che prende corpo quando in Sicilia sbarca, sotto il falso nome di Joseph Bonamico, il banchiere Michele Sindona. Scivola mese dopo mese dentro questa Palermo infetta, ancora più insidiosa di quella conosciuta nei suoi primi anni in consiglio comunale.

Con i Lima e i Ciancimino seduti sui banchi a pochi metri da lui, a Palazzo delle Aquile. Una Palermo dove anche gli uomini dello Stato stanno dall’altra parte e fanno il doppio gioco. Sei mesi prima del suo ritorno in Sicilia, due magistrati milanesi – Giuliano Turone e Gherardo Colombo – hanno scoperto un’organizzazione segreta che è nel cuore delle Istituzioni italiane: la loggia P2 di Licio Gelli. Gli affiliati sono 962.

Quarantaquattro i parlamentari iscritti, tre ministri in carica, un segretario di partito, dodici generali dell’Arma dei carabinieri, cinque della Guardia di Finanza, ventidue dell’Esercito, quattro dell’Aeronautica, otto ammiragli di Marina. Poi ci sono giornalisti, alti dirigenti Rai, funzionari del ministero dell’Interno, editori. C’è anche un imprenditore milanese che diventerà famoso in tutto il mondo: Silvio Berlusconi. E c’è Michele Sindona. Una tessera della P2 è in tasca al capo della squadra mobile di Palermo Giuseppe Impallomeni.

Il suo questore, Giuseppe Nicolicchia, è nella “World Organization of Masonic Thought”, loggia fondata in Sudamerica sempre da Gelli. Sono loro, Impallomeni e Nicolicchia, che stanno indagando sul «fratello» Michele Sindona che si nasconde in Sicilia e che tratta la sua sopravvivenza con il gotha mafioso. Il questore e il capo della squadra mobile indagano su loro stessi. Pio La Torre chiede al ministro degli Interni la rimozione dei due funzionari. Dopo qualche mese, Impallomeni e Nicolicchia vengono promossi e trasferiti. È un chiodo fisso quello di Pio La Torre: la messinscena del sequestro di don Michele, l’uomo che il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti ha definito «il salvatore della lira» proprio alla vigilia del crollo del suo impero finanziario sulle due sponde dell’Atlantico

Il mistero Sindona

Scompare da New York il 2 agosto e vi ricompare il 16 ottobre. L’anno è il 1979. Tutti s’immaginano un rapimento, ma Michele Sindona si nasconde a Palermo. Protetto dai capi della mafia. Gli Spatola e i Gambino, i Di Maggio e gli Inzerillo. Don Michele è sotto inchiesta in Italia per bancarotta fraudolenta, estorsione, concorso in omicidio per l’uccisione dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca Privata italiana, cuore delle scorribande finanziarie di Sindona.

È sotto inchiesta anche negli Stati Uniti per il fallimento della Franklin National Bank, acquistata poco prima del crac. La rivista Time gli ha dedicato la copertina celebrandolo come «l’italiano di maggiore successo dopo Mussolini». Sindona ha amici potenti a Roma, negli Usa, in Vaticano. Il 40 per cento delle operazioni della Borsa di Milano è sotto il suo controllo diretto o indiretto, è padrone di tre catene internazionali di hotel e di quasi 500 società. In quell’estate del 1979 arriva clandestinamente in Europa via Vienna, scende in Grecia, s’imbarca per la Puglia, due siculo-americani lo scortano fino in Sicilia.

E si rifugia nel regno dei boss Di Maggio, fra Palermo e Torretta. E lì che l’amico, Joseph Miceli Crimi, medico della polizia che è anche suo «fratello» di loggia, gli spara a bruciapelo a una gamba. Fa parte della finzione per accreditare la tesi del sequestro. I boss di Palermo lo «custodiscono» perché hanno bisogno di lui: vogliono sapere che fine hanno fatto i loro soldi dell’eroina investiti nelle scatole cinesi dei suoi istituti di credito. Dove ci sono anche i patrimoni di molte personalità italiane. Quelli che prendono Michele Sindona in consegna – i mafiosi – e tutti quelli che indagano sulla sua misteriosa missione siciliana – poliziotti e magistrati – nei mesi successivi saranno uccisi.

«Adesso tocca a noi», svela Pio la Torre a Emanuele Macaluso. È il lunedì di Pasqua del 1982. La Torre è a Roma con sua moglie Giuseppina e il vecchio amico. I tre passeggiano sul Lungotevere, Pio la Torre parla delle sue paure. «Pio aveva la consapevolezza di un disegno della mafia. La mia opinione è che c’era dietro Ciancimino, uno che aveva un rapporto con i Corleonesi e una mente politica per capire quali erano i punti da colpire», ricorda Macaluso.

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