Gettiamo uno sguardo su Don Paolo Bontà, padre di Stefano Bontate, capace di dettare legge ad aziende a capitale americano, indicata dai carabinieri alla magistratura come uno dei "54" cervelli della criminalità organizzata. Grande elettore per il partito monarchico e per il partito democristiano, Bontà è l'uomo che tiene le relazioni pubbliche della banda di coloro che controllano la vita economica di Palermo.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.
Dalle aree edificatili, alle aree industriali il passo è breve. E di li passa la strada per il controllo sull'assunzione di mano d'opera, il collocamento dei guardiani, la fornitura dell'acqua.
Prendiamo un caso, che, per la figura dei protagonisti, è illuminante. Nel 1959 si fanno le elezioni per la commissione interna alla Elettronica Sicula, la più moderna e progredita fabbrica di Palermo.
La Confederazione Generale Italiana del Lavoro è impedita a presentare una propria lista. Una delegazione di parlamentari, di sindacalisti e di avvocati - delegazione di cui faceva parte l'on. Pio La Torre, del gruppo parlamentare comunista all'A.R.S. - ai reca a conferire con 1'amministratore delegato della fabbrica, ing. Profumo.
La direzione della fabbrica si giustifica: il divieto alla presentazione della lista della Cgil è venuto da Don Paolo Bontà, un personaggio centrale del mondo mafioso palermitano. Con la delegazione, l'ing. Profumo è esplicito. La decisione di Don Paolo Bontà è inappellabile. «A me – dice l'ing. Profumo - Paolo Bontà serve, perché è lui che mi da l'acqua, è lui che mi da il terreno per ampliare la fabbrica, da lui dipendo per trovare gli operai».
Questo accadeva nel 1959. Gettiamo uno sguardo su questa figura, capace di dettare legge ad aziende a capitale americano, indicata dai carabinieri alla magistratura come uno dei "54" cervelli della malavita organizzata, attualmente in galera. Grande elettore - in un'abile alchimia delle preferenze - per il partito monarchico e per il partito democristiano, Don Paolo Bontà è l'uomo che tiene le relazioni pubbliche della banda di coloro che controllano la vita economica di Palermo.
Don Paolino Bontà
In un'ideale distribuzione delle cariche della malavita a lui toccherebbe senz'altro quella di vice presidente addetto alle "public relations". E così, troviamo Don Paolo Bontà che si reca a trattare con Covelli [Alfredo, ndr. Fondatore del partito nazionale monarchico] in un momento cruciale della vita politica siciliana: il riavvicinamento tra i monarchici e la democrazia cristiana, riavvicinamento destinato all'assorbimento degli uomini, delle clientele e degli interessi del vecchio partito monarchico nella Dc di Lima e di Gioia.
Queste trattative, l'incontro di Don Paolo "Bontà con Covelli sono provate da una documentazione fotografica che è stata pubblicata sulla stampa. Questo vice-presidente addetto allo relazioni pubbliche ha a sua disposizione un deputato democristiano tra i primi eletti, l'on. Margherita Bontade, che non teme di deporre al Procuratore del la Repubblica: - citiamo testualmente - "II Bontà è un uomo generoso che è stato dedito tutta la vita al lavoro e alla famiglia e cui nessuno si è mai rivolto invano".
Questo stesso è l'uomo che oggi ritroviamo nel rapporto dei "54": denunciato dai carabinieri alla Procura della Repubblica per "associazione a delinquere", aggravata da correità in omicidi, attentati, estorsioni. È appunto negli anni in cui avvenne l'episodio dell'Elettronica Sicula, che alla periferia di Palermo le cosche mafiose, la cosiddetta "mafia dei giardini" rivolgono la loro attenzione e concentrano la loro attività intorno alle aree industriali.
Guardiamo, ad esempio, quanto avviene a Partanna, bordata industriale di Palermo. Due cosche mafiose si contendono il potere, cioè il controllo delle industrie della zona: i Riccobono, facenti capo a Mancuso e Porcelli, attualmente in galera, e i Giacalone, facenti capo ai La Barbera. È una lotta costellata di omicidi e attentati, nei quali i nomi dei Riccobono e dei Giacalone si incalzano con alterna impressionante regolarità.
Ai posti di guardiano, nelle fabbriche di Partanna, ritroviamo questi nomi, collocati per assicurare l'esercizio delle posizioni di potere raggiunte dalle cosche. Così alla Permaflex di Partanna, troviamo guardiano Matteo Giacalone, mafioso della cosca La Barbera, mentre alla Frigorsicula troviamo Rosario Riccobono - attualmente in galera - mafioso della cosca Mancuso-Porcelli, e alla Bianchi troviamo Domenico Troia, cognato del Rosario Riccobono, e ancora all'Asilo dei Vecchi cardinal Ruffini troviamo Guttuso Domenico, uomo di La Barbera. Alla Tessi-Tessile Siciliana, la più importante fabbrica della zona, fino al 30 novembre 1961 era guardiano Giuseppe Giacalone, della cosca La Barbera, ucciso appunto al mattino del 30 novembre in Via Carbone, cioè nel pieno centro di Partanna, da una scarica di mitra.
Chi era questo Giacalone? Nel 1939 lo troviamo denunciato per associazione a delinquere, abigeati bovini ed ovini e altri furti. Nel 1944 viene colpito da mandato di cattura per orni oidio premeditato e tentato omicidio. Nel luglio 1949 viene denunciato per duplice omicidio premeditato e per associazione a delinquere; nell'ottobre dello stesso anno denunciato per minacce a mano armata e porto abusivo d'armi, ai rende latitante.
Ogni volta assolto per insufficienza di prove, nel marzo del 1961 subioce un attentato; nell'agosto 1961 viene proposto per il confino. ' Come è possibile che un delinquente di questo coprisse il posto di guardiano in uno stabilimento come la Tessi-Tessile Siciliana? Chi lo aveva assunto? Chi ne aveva sollecitato l'assunzione?
La famiglia La Barbera e il cantiere navale
Presidente locale dell'Azione Cattolica e grande elettore della Democrazia cristiana troviamo a Partanna Salvatore la Barbera, zio di Angelo la Barbera, protagonista dei più clamorosi scontri mafiosi dell'ultimo triennio. Salvatore la Barbera è particolarmente legato a padre Azzara, parroco di Partanna, ed è in questo quadro che ruotano i piccoli e medi mafiosi della zona.
La Barbera Salvatore è una riproduzione a formato ridotto di Don Paolo Bontà: è lui che tiene le "relazioni pubbliche" con le industrie di Partanna, è lui, che, benevolmente assistito da padre Azzara controlla i "servizi" collegati all'attività industriali. Interrogando Salvatore La Barbera, interrogando i dirigenti di queste fabbriche, procedendo ai confronti, esaminando le schede del personale si ricostruirebbe l'intera teoria di crimini di cui Partanna è stata protagonista negli ultimi anni.
La principale industria di Palermo è il Cantiere Navale. La direzione del Cantiere Navale ha un contratto d'appalto per lavori all'interno del Cantiere con Accomando Alessio. Chi è costui? Costui è socio di Tommaso Buscetta e di Michele Cavatajo, ambedue capi mafia dell'Acquasanta, (cosca Torretta-La Barbera) ambedue latitanti e accusati di associazione a delinquere.
Tre anni fa il mafioso Passarello, appaltatore della mensa del Cantiere Navale, morì va ammazzato in uno scontro con una cosca rivale. Perché la mafia ottiene appalti al Cantiere Navale?
La Direzione del Cantiere Navale può rispondere a questa domanda, poiché la presenza della mafia al Cantiere ha radici precise e lontane, sin dal 1947, […]. E anche qui, sorge una domanda. Come è possibile che queste industrie subiscano senza reagire l'imposizione mafiosa, anzi l'imposizione della cosca che, volta a volta, ha la meglio? […].
Abbiamo parlato del controllo sulla distribuzione dell'acqua alle aziende industriali. E qui entra in campo un altro aspetto della politica comunale: quella delle Aziende municipalizzati, in particolare quella dell'Azienda Municipalizzata dell'Acquedotto. […].
I servizi, il settore delle attività "terziarie": ecco dove la mafia palermitana detiene posizioni che possiamo definire di "monopolio". Queste posizioni vengono esercitate, attraverso un unico collegamento mafioso, sui mercati e sull'approvvigionamento dei prodotti delle campagne. […] È risalendo questi filoni, sciogliendo l'intreccio di rapporti tra mediatori, commissionari, grossisti, industria conserviera e trasportatori che è possibile individuare le posizioni di “monopolio” economico che la mafia detiene sul mercato agricolo. Queste posizioni si collegano, naturalmente, ai mercati cittadini. È qui, che l'Amministrazione comunale ha fatto di più che lasciare via libera alla attività mafiosa: essa ha compiuto atti precisi che hanno assicurato alla mafia precise posizioni di potere.
Dal mercato del pesce a quello della carne
[…] Incredibile addirittura la situazione al mercato del pesce. Qui gli appaltatori sono tre: tutti e tre appartengono alla stessa famiglia, la famiglia D'Angelo. E di questi, due, e precisamente Rosario D'Angelo e Bartolomeo D'Angelo, sono contemporaneamente astatori e mandatari, possono cioè bandire le aste ed acquistare! Mercato della carne.
Ci sono a Palermo 13 grossisti di carne. Di questi, cinque appartengono alla famiglia Randazzo, e sono Randazzo Vincenzo, Randazzo Vincenzo Biagio, Randazzo Gaetano Biagio, Randazzo Giuseppe Biagio, Randazzo Giacomo. Altri cinque, appartengono alla famiglia Giarrusso, e sono il Giarrusso padre, Giarrusso Pietro fu Biagio, Giarrusso Roberto, Giarrusso Mario. Due famiglie hanno così il monopolio del commercio della carne a Palermo. Che la mafia operi sui mercati, non è un mistero per nessuno.
Chi rilancia a questi mafiosi il certificato di buona condotta per ottenere le licenze? Quali criteri vendono adoperati per il rilascio dei certificati di buona condotta?
[…] L'anagrafe dei mafiosi, a Palermo, la conoscono tutti. Basterebbe esaminare i certificati di buona condotta rilasciati ai mafiosi uccisi nel conflitti a fuoco degli ultimi tre anni, ai mafiosi arrestati dopo la strage di Ciaculli, a quelli ancora latitanti, a quelli semplicemente diffidati, andare a vedere chi ha firmato questi certificati per risalire a responsabilità precise e dirette.
Più in generale, resta il fatto che l’Amministrazione Comunale non ha provveduto ad assicurare l'applicazione delle leggi sui mercati, revocando le licenze e cacciando via chi, per violazione alle leggi stesse, doveva essere cacciato. Resta il fatto che il Comune avrebbe potuto svolgere una politica di intervento attivo sui mercati, per permettere ai produttori singoli ed associati di vendere direttamente, e non l'ha fatto.
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