Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, che ha condotto alla condanna alla pena detentiva perpetua di Profeta Salvatore, Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, per il loro ritenuto concorso nella strage di Via D’Amelio
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un'idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l'associazione cosa vostra. In questa serie, seguiamo gli sviluppi del processo Borsellino quater, dopo la strage di via d'Amelio: uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana.
Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, che ha condotto alla condanna alla pena detentiva perpetua di Profeta Salvatore, Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, per il loro ritenuto concorso nella strage di Via D’Amelio.
L’affermazione della responsabilità penale dei predetti soggetti per il delitto di strage è stata compiuta:
- per Profeta Salvatore nel processo c.d. “Borsellino uno”, con la sentenza n.
1/1996 emessa in data 27 gennaio 1996 dalla Corte di Assise di Caltanissetta, confermata dalla sentenza n. 2/1999 emessa in data 23 gennaio 1999 dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, divenuta irrevocabile il 18 dicembre 2000;
- per Scotto Gaetano nel processo c.d. “Borsellino bis”, con la sentenza n. 2/1999 emessa in data 13 febbraio 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta, confermata dalla sentenza n. 5/2002 emessa in data 18 marzo 2002 dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, divenuta irrevocabile il 3 luglio 2003;
- per Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, nel processo c.d. “Borsellino bis”, con la sentenza n. 5/2002 emessa in data 18 marzo 2002 dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, divenuta irrevocabile il 3 luglio 2003, la quale ha riformato in parte qua la sentenza n. 2/1999 emessa in data 13 febbraio 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta, che aveva invece assolto i predetti imputati dal medesimo delitto.
Le dichiarazioni di Scarantino hanno assunto un valore determinante per tutte le predette condanne.
In particolare, per quanto attiene a Salvatore Profeta, possono richiamarsi le conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 468/2011 del 16 dicembre 2000 della I Sezione della Corte di Cassazione, che, nel definire il processo c.d. “Borsellino uno”, ha così riassunto il contenuto della pronuncia di appello, confermativa di quella di primo grado: «Salvatore Profeta è stato chiamato in correità dal cognato Vincenzo Scarantino per avere partecipato alla fase esecutiva della strage di via D'Amelio, con particolare riferimento ai distinti episodi a) della riunione organizzativa nella villa di Calascibetta, b) dell'incarico di procurare l'autovettura destinata ad essere utilizzata come autobomba, c) della presenza nell'autocarrozzeria di Orofino al momento dell'arrivo dell'esplosivo da caricare a bordo della Fiat 126 rubata.
Particolare attenzione ha dedicato la Corte distrettuale alle vicende della complessiva chiamata in correità dell'imputato da parte di Scarantino, reo confesso e condannato con la sentenza di primo grado non impugnata dall'interessato, il quale però nel settembre 1998, nel corso di questo giudizio d'appello e del giudizio di primo grado nel processo c.d. D'Amelio-bis, ha ritrattato tutte le dichiarazioni auto- ed etero-accusatorie rese nella fase delle indagini preliminari e confermate nel dibattimento di primo grado di questo processo e in quello del D'Amelio-bis.
La Corte, dopo averne tratteggiato il profilo criminale e i rapporti con elementi di spicco della famiglia di Santa Maria di Gesù, quali il capo-mandamento Pietro Aglieri e il cognato Salvatore Profeta, la genesi e i motivi delle confidenze fatte a Francesco Andriotta nel carcere di Busto Arsizio e della tormentata e incostante collaborazione con la giustizia, ha descritto il contenuto delle originarie e contrastanti dichiarazioni accusatorie di Scarantino, riguardanti le diverse fasi della vicenda cui asseriva di avere partecipato: dalla riunione organizzativa di fine giugno o dei primi giorni di luglio 1992 nella villa di Calascibetta, cui avrebbe accompagnato il cognato Profeta, al furto, alla consegna, al trasferimento e al caricamento nell'officina di Orofino dell'autovettura Fiat 126, all'incontro con Gaetano e Pietro Scotto in cui avrebbe avuto conferma dell'intercettazione in corso sulle telefonate del dott. Borsellino, alle notizie ricevute circa l'avvenuta esecuzione della strage.
La ritrattazione non creduta
La Corte ha ritenuto inconsistente e del tutto inattendibile la ritrattazione generale di Scarantino perché essa era il risultato di pressioni esterne esercitate sul collaboratore attraverso il suo nucleo familiare da elementi inseriti nel contesto mafioso palermitano e perché era caduta anche su circostanze che avevano trovato positiva conferma in altre acquisizioni probatorie, quali: le dichiarazioni di Candura, Augello e Francesco Marino Mannoia circa la frequentazione di Pietro Aglieri, capo-mandamento di Santa Maria di Gesù, e il coinvolgimento nel traffico di stupefacenti nel quartiere della Guadagna; le concordi dichiarazioni di Candura e Valente e i rilievi tecnici circa l'incarico di rubare la Fiat 126, la consegna e l'effettivo utilizzo della medesima in via D'Amelio come autobomba; la deposizione di padre Giovanni Neri, parroco di Marzaglia, circa le forti pressioni esercitate su Scarantino a partire dal giugno 1998 perché ritrattasse le originarie accuse.
[...] Il maggior rigore nella valutazione delle dichiarazioni di Scarantino, laddove venivano di volta in volta sanate le contraddizioni emergenti dai precedenti interrogatori, era imposto altresì dall'inusuale attività di studio e di annotazione delle medesime contraddizioni, esercitata dal collaboratore con l'aiuto di agenti addetti alla sua tutela, com'era emerso dal promemoria prodotto dal difensore e riconosciuto dal teste agente Mattei.
L'attendibilità estrinseca di Scarantino è stata così apprezzata, all'esito di un'analisi particolarmente penetrante e scrupolosa, solo ed esclusivamente in relazione al nucleo fondamentale del discorso narrativo riguardante la porzione della fase esecutiva della strage cui egli aveva certamente partecipato e che rispondeva alle caratteristiche del suo profilo criminale, e cioè: la richiesta di procurare un'autovettura di piccola cilindrata rivoltagli da Pietro Aglieri e da Salvatore Profeta, l'incarico dato a Candura di rubare l'autovettura Fiat 126 e la consegna della medesima, da lui messa poi a disposizione degli esecutori materiali dell'attentato. Il profilo criminale di Scarantino (secondo i collaboratori Augello, Marino Mannoia e Candura e gli accertamenti degli apparati di sicurezza), indipendentemente dall'effettivo possesso della qualità di "uomo d'onore", era compatibile con il suo racconto e con il confessato coinvolgimento nell'episodio delittuoso, almeno limitatamente a questa parte della fase esecutiva della strage di via D'Amelio, in forza degli stretti rapporti esistenti con Aglieri e Profeta, il primo capo-mandamento e il secondo esponente di spicco della famiglia di Santa Maria di Gesù, del suo inserimento nel contesto criminale della Guadagna (quartiere ricadente nel mandamento di Santa Maria di Gesù) e della sperimentata propensione a commettere reati di specie diversa.
La sua confessata partecipazione al furto della Fiat 126 messa a disposizione degli autori della strage e utilizzata come autobomba, compiutamente dimostrata dalle dichiarazioni accusatorie di Candura e Valenti, era stata d'altra definitivamente accertata dalla sentenza di condanna di primo grado divenuta sul punto irrevocabile, valutabile ai fini della prova del fatto in essa accertato ex art. 238-bis c.p.p. nei confronti degli odierni imputati. La chiamata in correità nei confronti di Profeta e di Aglieri come mandanti del furto risultava fornita di un riscontro anche di carattere logico perché la certa partecipazione di Scarantino, in qualità di committente, al furto della Fiat 126 implicava la necessità (posto che egli, anche ad ammetterne l'appartenenza, non rivestiva sicuramente un ruolo significativo nell'organizzazione di Cosa nostra) del conferimento dell'incarico di procurare l'autovettura da parte di esponenti di rilievo del sodalizio mafioso, in particolare del mandamento di Santa Maria di Gesù cui appartiene la famiglia della Guadagna, la cui partecipazione alla strage, insieme con gli altri mandamenti palermitani, era dimostrata dalle dichiarazioni di tutti i collaboratori di giustizia.
[...] La confessione e la chiamata in correità del Candura (egli si è confessato autore materiale del furto commissionatogli da Scarantino), rilevanti ai fini dell'individuazione dell'esecutore materiale e dei mandanti del furto dell'autovettura Fiat 126 di Pietrina Valenti utilizzata come autobomba, sono state giudicate serie, intrinsecamente attendibili e obiettivamente riscontrate, oltre che dalla confessione dello stesso Scarantino, dalle deposizioni di Luciano Valenti, fratello della derubata, e di Luigi Meola, amico del Candura, i quali hanno confermato i particolari dell'episodio ad essi narrati dal Candura, e da una numerosa serie di circostanze esterne elencate in motivazione. Anch'esse postulano la necessità di un mandato da parte di esponenti di vertice di Cosa nostra del mandamento di Santa Maria di Gesù a Scarantino perché procurasse un'autovettura da utilizzare come autobomba, sì che anche per questa via è risultata logicamente compatibile la partecipazione all'attentato stragista di Salvatore Profeta, cognato di Scarantino e importante uomo d'onore di quella famiglia, chiamato in correità dal primo come mandante del furto.
[…] Tutti questi elementi di prova, significativamente convergenti, dimostrano la responsabilità di Salvatore Profeta in ordine al furto dell'autovettura Fiat 126 utilizzata come autobomba nella strage di via D'Amelio: furto che, pure in assenza di obiettivi riscontri alla tardiva, contraddittoria e inattendibile dichiarazione accusatoria di Scarantino in ordine alla partecipazione dell'imputato anche all'ulteriore segmento della fase esecutiva, costituito dal prelievo dell'esplosivo dal magazzino-porcilaia del Tomaselli e dal suo caricamento a bordo dell'autovettura rubata nell'autocarrozzeria di Orofino, implica un contributo essenziale e determinante alla consumazione della strage di via D'Amelio, essendo Profeta perfettamente consapevole dell'uso cui era destinata l'autovettura reperita e messa a disposizione dei complici, tanto da metterne a conoscenza il cognato Scarantino».
Con la citata sentenza n. 468/2011 del 16 dicembre 2000, la Corte di Cassazione ha ritenuto che «a fronte dell'illustrata - invero pregevole e sapiente architettura argomentativa della ratio decidendi», non cogliessero nel segno le critiche difensive sollevate per i profili di asserita violazione delle regole probatorie stabilite dagli artt. 192 commi 2 e 3 c.p.p. e per la denunziata illogicità manifesta della motivazione.
Le valutazioni della Cassazione sul “Borsellino Bis”
[…] Inoltre, per quanto attiene a Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, possono richiamarsi le conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 11914/2004 del 3 luglio 2003 della V Sezione della Corte di Cassazione, che, nel definire il processo c.d. “Borsellino bis”, ha così riassunto il contenuto della pronuncia di appello nella parte relativa alle dichiarazioni di Scarantino:
«Le dichiarazioni di Scarantino, il cui spessore criminale nel traffico di droga è descritto nel cap.8 ,& 2, che ricorda la condanna definitiva a 9 anni di reclusione e l'inserimento nella famiglia della Guadagna (vedi anche coll. T. Cannella, l'episodio della lite con N.Gambino, p.1284), grazie al rapporto di affinità con Salvatore Profeta del quale era uomo di fiducia e braccio esecutivo (coli. Augello, ritenuto attendibile già nella sentenza definitiva B. 1, p. 1269 ss) ed alla protezione da parte di Pietro Aglieri (p. 1281). In grado di affrontare il difficile cammino della collaborazione e sostenere i lunghi e logoranti esami dibattimentali, nonostante il modesto livello intellettuale. [...] In relazione a tali esami non regge la tesi dell'indottrinamento/ manipolazione da parte degli investigatori ed in particolare dagli uomini del gruppo Falcone- Borsellino che si occupavano del servizio di protezione. Dall'esame del dr. La Barbera emerge la linearità del percorso collaborativo di Scarantino; tutte le iniziative di inquinamento provengono dall'organizzazione mafiosa (dr.Bo) tramite moglie e parenti del collaboratore. Escluso che tra Andriotta e Scarantino ci potesse essere un incontro, dopo l'inizio della collaborazione. Spiegata l'origine delle annotazioni sui verbali di interrogatorio come mero sussidio strumentale alla richiesta di colloquio con il difensore senza alcuna influenza sull'autodeterminazione di Scarantino. I promemoria, assieme ad album fotografici ed i rilievi tecnici allegati, erano stati prodotti al momento della ritrattazione dal nuovo difensore di fiducia. Le accuse della moglie Basile sull'indottrinamento avevano fatto seguito all'abbandono del coniuge che aveva scelto la collaborazione. Analizza le varie annotazioni per rilevarne la assoluta inidoneità a sostenere la tesi difensiva dell'indottrinamento e la piena paternità di Scarantino.
Dall'intercettazione ambientale di conversazione tra S. e Basile in carcere trae ulteriore argomento in ordine al ruolo inquinante della Basile ed alla genuinità delle propalazioni.
La stessa ritrattazione della ritrattazione in appello segna il ritorno, per la sentenza impugnata, alle originarie propalazioni che, del resto, erano state anche rapportate al giudizio di assoluta inattendibilità della ritrattazione negoziata (già ritenuta nella sentenza definitiva 23.01.99, p. 1278 e ss.). In definitiva ritiene Scarantino attendibile nella completezza delle dichiarazioni dibattimentali (in cui erano state anche chiarite le contraddizioni con Caldura p.1440), pur rendendosi conto del punto nodale costituito dalla chiamata in correità dei collaboranti Di Matteo, La Barbera, Cancemi, Ganci R. e Brusca (quest'ultimo aggiunto nell'interrogatorio 15.11.94 e poi sempre confermato, p.1480), mantenuta risolutamente ancora in sede di confronto e dopo la ritrattazione della ritrattazione.
Perviene a ritenere la inattendibilità relativa sul punto, inidonea a fare dubitare delle altre dichiarazioni (compresa quella in ordine alla provenienza dell'esplosivo, ritenuta in sentenza coerente in sé e riscontrata dalle propalazioni di Costa) perché Scarantino spiega le ragioni di quelle precedenti omissioni e delle mancate individuazioni fotografiche.
La sentenza dà all'inserimento dei nomi dei collaboranti una spiegazione diversa da quella data in primo grado (rendersi volutamente inattendibile), per giungere alla conclusione che non può affermarsi la falsità di Scarantino neppure in punto di presenza dei collaboratori alla riunione nella villa di Calascibetta. Ritiene poi che l'episodio dell'incendio ai danni di Orazio Abate non dimostri il consapevole mendacio di Scarantino». [...].
© Riproduzione riservata