Giovanni Brusca parla al telefono con Santo Sottile, suo uomo di fiducia e macellaio del paese. Dopo alcuni convenevoli, Brusca gli chiede della carne buona. Non sta parlando in codice. Vuole proprio bistecche e salsicce. Salsicce delle sue parti, quelle aromatizzate con i semi di finocchietto selvatico. I due si danno appuntamento ad Agrigento: «A 'u solitu postu» si dicono al telefono, ovviamente ignari di essere intercettati
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.
Le strade del centro di Palermo sono un viavai di sirene. Si avvicina il quarto anniversario della strage di Capaci e nel capoluogo siciliano è stata organizzata una delle tante cerimonie per commemorare l'eccidio. Sono arrivate le autorità da Roma.
La bellissima Sala gialla del palazzo dei Normanni, con i suoi ori, i suoi stucchi, i suoi lampadari di cristallo, è stracolma di personalità e di gente comune. Per ricordare Giovanni Falcone e le vittime dell'attentato che ha messo l'Italia in ginocchio, lo Stato è sceso in forze. Ci sono il ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica, e il ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick. Ci sono tutti i big della politica siciliana, almeno quelli «presentabili». Sfilano lungo le passatoie rosse stese per l'occasione dai commessi della Regione. Atmosfera ovattata: si stringono mani, si parla a bassa voce.
A poche centinaia di metri, in una stanza all'ultimo piano della squadra mobile, c'è tutta un'altra aria. Irrespirabile. Siamo tutti maschi e tutti fumiamo come turchi. Arnaldo La Barbera, il questore, non usa più nemmeno l'accendino: con il mozzicone della sigaretta finita ne accende subito un'altra. Il momento è importantissimo. Con il capo della mobile Luigi Savina e i segugi della Sezione catturandi Claudio Sanfilippo e Renato Cortese stiamo intercettando il telefono cellulare di Giovanni Brusca, il latitante più ricercato del momento.
Sveglio, attentissimo e prudente come pochi, il boss di San Giuseppe Jato ci sta facendo diventare matti. Continua a sfuggirci. Adesso lo stiamo ascoltando in diretta: parla con Santo Sottile, un suo uomo di fiducia, un macellaio del paese. Dopo alcuni convenevoli, Brusca gli chiede: «Portami un pocu di carni bona». No, non sta parlando in codice. Carne buona. Vuole proprio bistecche e salsicce. Salsicce delle sue parti, quelle aromatizzate con i semi di finocchio selvatico.
I due si danno appuntamento ad Agrigento: «A 'u solitu postu» si dicono al telefono, ovviamente ignari di essere intercettati. E s'interrompe la comunicazione.
Proprio nella zona di Agrigento ci hanno portato le nostre ultime indagini: tutto ci fa ritenere che Brusca, rimasto isolato per gli arresti che hanno decimato i suoi favoreggiatori, possa aver trovato riparo da quelle parti.
È un'occasione da prendere al volo. Basterà seguire con discrezione Santo Sottile, e il macellaio di San Giuseppe Jato ci condurrà al latitante. Pensiamo: è fatta! Nella piccola sala ascolto della questura, sempre più simile a un suk di un quartiere arabo, l'eccitazione sale alle stelle. Proprio nelle ore in cui si commemora Giovanni Falcone, potremmo essere a un passo dall'acciuffare l'uomo che ha premuto il pulsante del telecomando della strage di Capaci. Sarebbe un bellissimo regalo per tutte le vittime di Cosa nostra.
Disponiamo immediatamente il pedinamento di Sottile. Pensiamo, però, che non sia prudente seguirlo fin dalla partenza, da San Giuseppe Jato. Potrebbe accorgersene, insospettirsi e decidere di non fare più la sua consegna. Studiamo il percorso sulle mappe e decidiamo di aspettarlo in due punti strategici: lungo la superstrada Palermo-Sciacca e sulla Sciacca-Agrigento. Da lì, pensiamo, dovrà passare. Ma, non si sa come, Sottile ci sfugge. Forse fa una strada alternativa, forse usa una macchina diversa. Sta di fatto che non riusciamo a individuarlo. Per un po' continuiamo a seguire le tracce del suo cellulare, ma a un certo punto perdiamo pure queste.
Lo riagganciamo attraverso il telefono, più tardi, quando è nella Valle dei templi, già sulla via del ritorno. Ha portato a termine la sua missione: consegna a domicilio. Bistecche e salsicce sono state recapitate a Brusca. L'occasione è sfumata e noi siamo letteralmente infuriati. Nella sala ascolto si impreca a più voci.
Quella domenica a Palermo c'è un altro evento importante: la prima messa, il primo incontro con i fedeli, del cardinale Salvatore De Giorgi, appena nominato nuovo vescovo della città. La cattedrale, tutta parata a festa, si trova esattamente accanto alla questura, e le campane, che suonano a ripetizione, ci disturbano non poco.
Alla delusione per non essere riusciti a seguire Sottile si aggiunge il fastidio per il frastuono provocato da quelle campane, i cui rintocchi risuonano nelle cuffie degli agenti e rendono difficile l'ascolto delle conversazioni intercettate.
Dire fastidio è poco. Arnaldo La Barbera ci dà prova della sua straordinaria «competenza religiosa» e comincia a «elencare» un numero di santi certamente superiore a quelli riportati nel calendario.
Malediciamo la nostra cattiva sorte. «Se almeno quelle campane fossero state vicino a Brusca, mentre parlava al cellulare...» commenta qualcuno ad alta voce. Così, dal tipo e dall'intensità del suono, avremmo avuto un dato importante per poter localizzare esattamente il suo covo.
L’idea del rumore di moto
Dalla rabbia alla riflessione il passo è breve: nasce l'intuizione giusta, l'idea che risulterà vincente. Per individuarlo, quando il boss tornerà di nuovo a telefonare a Sottile, basterà provocare un rumore molto forte nella zona dove noi supponiamo si nasconda. Una sorta di verifica, di prova del nove.
Da giorni abbiamo circoscritto un'area dove il capomafia potrebbe aver trovato riparo. Contrada Cannatello, vicino alla spiaggia di San Leone. Una serie di villette a poche centinaia di metri dal mare, ma non siamo ancora riusciti a capire quale sia quella giusta.
L'idea di utilizzare un rumore come «cavallo di Troia» trova tutti d'accordo. C'è solo da scegliere il tipo di disturbo da provocare. Esaminiamo alcuni stratagemmi: dall'arrotino al venditore ambulante di gelati, dal carretto della frutta all'allarme di un'automobile... Alla fine si decide per la motocicletta senza marmitta, in grado di fare un fracasso molto forte senza generare alcun sospetto. Dobbiamo solo sperare che l'indomani, come ogni giorno, Brusca e Sottile facciano la solita chiacchierata al telefono. La trappola è attivata. «Li riti sunnu a' mmari», le reti sono a mare, direbbero i pescatori della mia isola. Ora si tratta solo di aspettare.
Il giorno dopo, a Cannatello, è un lunedì come tanti. Molte case si sono svuotate, i villeggianti domenicali sono andati via, il traffico è scarso. L'agente con la motocicletta è pronto, ha studiato il percorso. Ora aspetta il via, il semaforo verde da parte della centrale, che scatterà non appena intercetteremo di nuovo il telefono del nostro uomo.
Passate le otto di sera, Brusca e Sottile non si sono ancora chiamati. Dal mio ufficio in procura decido di tornare a casa, quasi per scaramanzia. Sono inquieto. Mi butto sul divano senza neanche togliermi la cravatta e accendo la tv. Su Canale 5 va in onda una fiction un po' speciale. Uno sceneggiato intitolato proprio Giovanni Falcone che, ovviamente, ricostruisce anche la strage di Capaci, l'attentatuni, come la definiscono i mafiosi. L'esplosione tremenda, che in una frazione di secondo ha divelto un pezzo di autostrada e ucciso cinque persone, è stata opera dell'uomo che appena poche ore prima ho sentito al telefono ordinare bistecche e salsicce.
Scorrono le immagini in televisione, ma il mio pensiero è altrove. Con la testa sono a contrada Cannatello, dove il blitz potrebbe scattare da un momento all'altro. Mi pento di non essere andato in questura, in sala ascolto, ma in momenti come questo i magistrati sono di troppo. Sono solo gli agenti sul terreno a giocare la partita. Non riesco a resistere all'ansia e chiamo sul cellulare Luigi Savina che è sul posto a coordinare l'operazione. Mi risponde al secondo squillo con un urlo che ancora ricordo: «Lo abbiamo preso, lo abbiamo preso!».
Sento esplodere un paio di flash bang, i fragorosi petardi accecanti utilizzati dalle forze di polizia nelle irruzioni: segno che l'intervento è ancora in corso. Sprofondo nel divano e piango, davanti alla ricostruzione dell'attentato di Capaci che passa in televisione. Lo abbiamo preso! Compongo quasi meccanicamente il numero di cellulare di Gian Carlo Caselli e, appena sento la sua voce, altrettanto meccanicamente, ripeto: «Lo abbiamo preso, lo abbiamo preso!». Proprio l'artefice dell'attentatuni... Mi rilasso e assaporo questa rivincita dello Stato. Un arresto importantissimo che non sarebbe mai stato possibile senza l'aiuto dei pentiti. Le prime, concrete indicazioni che ci hanno portato sulle tracce del boss latitante sono venute infatti proprio dal mondo dei collaboratori di giustizia, da alcuni ex fedelissimi di Leoluca Bagarella che, una volta arrestati, sono passati dalla parte dello Stato.
Senza le rivelazioni di chi conosce l'organizzazione dall'interno, Cosa nostra sarebbe ancora oggi un pianeta inesplorato, un mondo invisibile e invincibile.
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