Dall'analisi dei tabulati telfonici, si risale a due strani numeri Gsm intestati a una vecchietta di novant'anni che abita a San Giuseppe Jato, il paese di Brusca. Si scopre che la novantenne non è una nonnetta qualunque. È la zia di Santo Sottile, il macellaio del paese che ogni sera, dalle venti alle venti e trenta, chiama un altro telefono che si trova nella zona di Agrigento. Ritornano in mente le parole di Monticciolo a proposito di Brusca, che scappa nella Valle dei templi quando si sente braccato
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.
Qualche giorno dopo, durante un interrogatorio, Giuseppe Monticciolo aggiunge un altro tassello al quadro che ci porterà alla cattura del latitante. In stretto dialetto siciliano dice: «Quannu ci abbruscia 'u culu, Brusca curri a Giurgenti». Quando è in difficoltà, Brusca si rifugia ad Agrigento. Aggiunge di non sapere altro, né il posto esatto, né i nomi di chi potrebbe ospitarlo. Agrigento... Forse il nostro uomo si nasconde lì, a un paio d'ore di macchina dal suo territorio, all'ombra della Valle dei templi.
Proprio in quel periodo, insieme alla squadra mobile, stiamo battendo una pista per arrivare a Salvatore Cucuzza: altro pezzo da novanta latitante, reggente del mandamento di Porta Nuova, un boss di grosso spessore.
Nel gruppo dei suoi favoreggiatori c'è un ragazzo, Giovanni Zerbo detto 'U pastureddu, il pastorello. Potremmo arrestarlo per associazione mafiosa, ma nella speranza che possa incontrarsi con Cucuzza, lo lasciamo libero. Gli agenti della mobile lo tengono sotto discreto ma costante controllo. In effetti, qualche settimana dopo, Zerbo ci porta proprio da Cucuzza. Il boss di Porta Nuova viene fermato. Addosso gli viene trovata un'agendina che risulterà preziosissima: la carta decisiva nella cattura di Giovanni Brusca.
Nella stessa operazione viene bloccato anche Giovanni Zerbo, trentadue anni, statura media, capelli neri e lisci con la riga a sinistra. Indossa un vecchio piumino blu e ha l'aria incantata, svagata e un po' impaurita. Come un pecoraio che per la prima volta va in città: come un pastureddu, appunto. Una vita passata a spacciare eroina e cocaina facendo la spola tra Porta Nuova e corso Calatafimi. Uno dei tanti giovani a perdere che, nei momenti di difficoltà dell'organizzazione, vanno a ingrossare le fila dei cosiddetti affiliati. Uno come Zerbo non sa molto ma, «gratta gratta», anche da un tipo così, si può tirare fuori qualcosa.
È sabato sera e i ragazzi della scorta mi hanno chiesto una mezza giornata di riposo. Siamo tutti molti stanchi e anche io sento il bisogno di staccare la spina. Rimango a casa, a vedere un film in videocassetta. Squilla il telefono. È la squadra mobile, Luigi Savina che mi dice: «Cosa vuoi fare con Zerbo? È ancora qui da noi e mi sembra abbastanza disponibile a un dialogo. Forse è il caso che tu lo venga a sentire».
Problema: sono senza scorta e da solo non posso nemmeno andare a prendere un caffè. Sono costretto a richiamare i ragazzi e avverto il sacrosanto disappunto di Leonardo, il mio caposcorta, interrotto mentre sta a cena con una bella ragazza (che poi diventerà sua moglie). Professionisti serissimi: nemmeno un quarto d'ora dopo sono sotto casa mia.
Negli uffici della squadra mobile, appoggiato a una scrivania, trovo Zerbo. Si vede subito che è un tipo molto fragile, che non è in grado di reggere il carcere. Ha effettivamente un'aria sperduta, smarrita. Decide immediatamente di collaborare.
Durante il colloquio mi accorgo che, in fondo, tanto sperduto non è. Si rivela invece utilissimo: mi racconta che Giovanni Brusca e Salvatore Cucuzza hanno messo su un traffico di droga con due fratelli che, per la loro statura, vengono chiamati i Nanetti. Sono i fratelli Adamo, entrambi generi di Pino Savoca, già capofamiglia di Brancaccio. Zerbo ci aiuta anche a decifrare l'agendina di Cucuzza, a scoprirne la chiave di lettura. E per noi è come entrare nell'elenco abbonati di Cosa nostra.
Codici da decifrare
Per custodire i loro segreti, i capimafia hanno sempre usato dei codici d'accesso. L'agendina di Pippo Calò, ritrovata nella sua abitazione romana il giorno del suo arresto, nel lontano 1985, ne aveva uno che era tutto un programma: il codice «lunga morte».
Dieci lettere, ognuna delle quali corrisponde a un numero dall'1 al 9 più lo 0. Un sistema come un altro per criptare le cifre: alla lettera «L» corrisponde il numero 1, alla «U» il 2, alla «N» il 3 e così via, fino alla «E» che corrisponde allo 0.
Totò Cucuzza, pensando invece alla famiglia, che per tutti i mafiosi è sacra, ha scelto come codice la frase 'ntalè i soru, guarda le sorelle. Un'agendina di sole lettere, fitte fitte. Per scoprire qual è il numero di una certa persona, indicata sempre con un soprannome o uno pseudonimo, bisogna sostituire una cifra alla lettera corrispondente. Come si fa, al contrario, con le parole crociate crittografate.
Zerbo conosce il numero di telefono dei fratelli Adamo, i Nanetti dell'agendina, e da qui partiamo. Decifriamo con certezza i primi caratteri e poi, aiutandoci anche con i prefissi, troviamo l'intera chiave di lettura, la frase di dieci lettere 'ntalè i soru, e risaliamo a tutti gli altri numeri. Parlo con Franco Lo Voi e decidiamo di concentrarci su questi Nanetti.
Mettiamo sotto controllo le loro utenze telefoniche: dall'analisi dei tabulati risaliamo a due strani numeri Gsm intestati a una vecchietta di novant'anni che abita a San Giuseppe Jato, il paese di Brusca. Del tutto legittima la nostra curiosità: in procura abbiamo ancora gli e-tacs analogici e questa anziana signora di paese, invece, avrebbe addirittura ben due cellulari digitali di ultima generazione.
Scopriamo anche che la novantenne non è una nonnetta qualunque che parla al telefono con i nipotini. È la zia di Santo Sottile. Ipotizziamo quindi che il macellaio di San Giuseppe Jato si sia servito della zia come prestanome, intestandole i cellulari per conto del boss. E facciamo centro. Dall'analisi del traffico telefonico viene fuori che ogni sera, dalle venti alle venti e trenta, uno di questi due telefoni entra in contatto con un altro Gsm che si trova nella zona di Agrigento. Ci ritornano in mente le parole di Monticciolo a proposito di Brusca, che scappa nella Valle dei templi quando si sente braccato.
Corsa contro il tempo
Decidiamo di intercettarlo e non ci sono dubbi: il macellaio parla proprio con il nostro latitante, è la sua voce. E la chiamata aggancia una «cella» di contrada Cannatello.
La tecnologia dell'epoca non consente l'esatta localizzazione di un Gsm: il margine di errore è di circa due chilometri quadrati. Un'area troppo ampia per potere individuare con certezza la casa da cui parla il latitante.
Comincia così una corsa contro il tempo. Gian Carlo Caselli chiede aiuto ai vertici della Telecom e, per localizzare il telefono del capomafia, riesce a convocare d'urgenza, in una stanza della questura, addirittura, gli stessi progettisti del sistema Gsm.
Per potere isolare meglio il segnale, ordino alla compagnia telefonica di disattivare per un paio di giorni, dalle venti alle venti e trenta, tutte le celle circostanti la zona di Cannatello. Procedura eccezionale. Oltre al danno economico, l'azienda subisce una valanga di proteste degli utenti. Ma forse l'arresto di Giovanni Brusca val bene tutto questo.
Bisogna fare in fretta. Nel corso di una chiamata, il boss confida a Sottile che sta aspettando delle nuove schede telefoniche dal Belgio. Se riuscirà a riceverle e ad attivarle per noi sarà un disastro. Infatti, per intercettare quelle schede, anche se utilizzate sul territorio italiano, bisognerebbe agire tramite rogatoria internazionale. Figuriamoci!
Siamo nel panico. Rischiamo di perdere questo prezioso contatto. Certo, potremmo fare comunque un intervento, un raid nella zona con due o trecento poliziotti. Ma chi ci dà la certezza che Brusca non ci sfugga per l'ennesima volta?
Abbiamo un'altra strada da percorrere, prima di rischiare il tutto per tutto: investigare sul territorio. Così, sei agenti della squadra mobile, uomini e donne, vengono inviati a Cannatello, dove, discretamente, cominciano a ispezionare la zona. Un poliziotto in tuta da ginnastica fa footing sul lungomare; una ragazza bionda prende il sole a San Leone; una coppia mangia un gelato e passeggia tra i negozi. A distanza, ma non troppo, dall'area dove potrebbe trovarsi il covo del boss. Un'osservazione di massima, attenti a non farsi notare.
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