Carlo Alberto dalla Chiesa ha sessantuno anni. È provato, sofferente, deluso. Sembra proprio alla fine di una carriera gloriosa, quando all’improvviso lo convocano a Palazzo Chigi. Il capo del governo Giovanni Spadolini gli chiede di tornare in Sicilia. Ancora una volta.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.
Carlo Alberto dalla Chiesa ha sessantuno anni. È provato, sofferente, deluso. Sembra proprio alla fine di una carriera gloriosa, quando all’improvviso lo convocano a Palazzo Chigi.
Il capo del governo Giovanni Spadolini gli chiede di tornare in Sicilia. Ancora una volta.
«Tra me e La Torre in un paio di anni le cose più importanti dovremmo riuscirle a fare», dice alla figlia Rita appena nominato prefetto di Palermo.
Il generale ha conosciuto Pio La Torre, il segretario del Pci siciliano, nel 1949 a Corleone. E lo ha incontrato ancora da colonnello, quando ha parlato negli Anni Settanta davanti alla Commissione parlamentare Antimafia.
Ma La Torre, dopo qualche settimana, già non c’è più. L’hanno ucciso. A Palermo, dove adesso stanno inviando lui.
Carlo Alberto dalla Chiesa ha ricevuto ufficialmente l’incarico il 29 marzo del 1982.
Il giorno dopo, su alcuni giornali, escono le dichiarazioni di un paio di capi della Dc siciliana. Al generale sembrano avvertimenti.
Il 2 aprile dalla Chiesa invia una lettera al Capo del governo Spadolini.
Il 6 aprile accetta l’invito di Giulio Andreotti per un incontro. Poi, il 30 aprile, l’omicidio di Pio La Torre.
È una settimana cruciale quella a cavallo fra il marzo e l’aprile del 1982. È la settimana in cui il generale ha capito che lo stanno mandando allo sbaraglio. E non pensa solo alla sua sconfitta «politica», ha il presentimento che a repentaglio questa volta ci sia la sua vita.
Nella lettera a Spadolini chiede un impegno «dichiarato» e «codificato» del governo, non gli basta la carica onorifica a prefetto di prima classe. Il generale ricorda al Presidente del Consiglio anche i messaggi «già fatti pervenire a qualche organo di stampa da parte della ‘famiglia politica’ più inquinata del luogo».
Gli scrive: …Lungi dal volere stimolare leggi o poteri «eccezionali», è necessario ed onesto che chi è destinato alla lotta di un «fenomeno» di tale dimensione… goda di un appoggio e di un ossigeno «dichiarato» e «codificato»… «dichiarato» perché la sua immagine in terra di «prestigio» si presenti con uno «smalto» idoneo a competere con detto «prestigio». «codificato» giacché, nel tempo, l’esperienza (una macerata esperienza) vuole che ogni promessa si dimentichi, che ogni garanzia («si farà», si «provvederà», ecc.) si logori e tutto venga soffocato e compromesso non appena si andranno a toccare determinati interessi.
Spadolini legge la lettera e tace.
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