ll chimico è Francesco Marino Mannoia, un mafioso che nel 1989 deciderà di saltare il fosso e di pentirsi con il giudice Falcone. Nel laboratorio di via Messina Marine, Mannoia in ventiquattro mesi ha raffinato lui da solo sette quintali di morfina base.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.
Emmanuela è in città, insieme vanno dal cardinale Pappalardo. Sono ospiti d’onore al «Roggero di Lauria» di Mondello, festeggiamenti per l’ottantesimo anniversario del circolo. Torte, candeline, mille invitati.
Il prefetto e sua moglie sono due estranei in mezzo alla folla.
Nelle immagini stampate sui quotidiani sembrano figurine appiccicate fra tante maschere, come in un fotomontaggio.
A Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa ormai non rappresenta lo Stato ma solo se stesso.
Un giorno è così affranto che va a trovare Randolph Jones, il console americano in Sicilia. Chiede aiuto anche a lui.
Gli racconta: «Quando ero comandante della Legione qui a Palermo, seppi che il capomafia di un paese aveva minacciato di morte un mio ufficiale. Invitai quell’ufficiale a venire con me per passeggiare a braccetto tante volte nel corso principale di quel paese. Poi aspettammo il ritorno a casa del mafioso e lo guardammo negli occhi. Tutto ciò che chiedo oggi è che qualcuno passeggi con me e mi prenda a braccetto».
È passato da poco Ferragosto e il ministro delle Finanze, Rino Formica, annuncia che è pronta la schedatura patrimoniale di 3192 mafiosi siciliani. Nella lista ci sono anche i trafficanti più ricchi del Mediterraneo. All’inizio dell’anno, a febbraio, hanno scoperto la quarta raffineria di eroina a Palermo.
È in una villetta a due piani sulla via Messina Marine, ci entro nel primo pomeriggio. Mi dicono che, al momento dell’irruzione dei carabinieri, un uomo in camice bianco è riuscito a fuggire.
La raffineria è al piano terra. Nella prima stanza ci sono i sacchi di juta con dentro duecento chili di morfina base. Nella seconda stanza c’è un tavolo di ferro dove sono allineati alambicchi, ampolle, pentoloni colmi di acido acetico per lavorare la «pasta» e trasformarla in eroina purissima. Nella terza stanza, una brandina, due sedie e tre bilancini di precisione.
Al primo piano abita il proprietario della villetta, Nicola Di Salvo. È incensurato, fa il commerciante. I carabinieri mettono sottosopra la casa. Sequestrano tutto. Anche il quaderno che la figlia quindicenne di Di Salvo, primo anno alle Magistrali, tiene sul comodino. C’è il tema che ha scritto il giorno prima in classe: «Una delle piaghe sociali più grandi è rappresentata dalla droga. È un fenomeno difficile da combattere, anche perché negli ultimi tempi ci sono raffinerie di eroina in tutto il mondo e pure a Palermo. Occorre un’azione più forte della polizia perché non riescono a trovare le raffinerie. Intanto la droga si continua a vendere e l’eroina rovina centinaia di ragazzi».
La raffineria è dei fratelli Vernengo, i boss della zona. Il chimico è Francesco Marino Mannoia, un mafioso che nel 1989 deciderà di saltare il fosso e di pentirsi con il giudice Falcone.
Nel laboratorio di via Messina Marine, Mannoia in ventiquattro mesi ha raffinato lui da solo sette quintali di morfina base.
I Bontate e gli Inzerillo vendevano l’eroina a 50 mila dollari al chilo ai Gambino, e i Gambino la piazzavano a 130 mila dollari al chilo ai loro parenti americani di Cherry Hill. In quei ventiquattro mesi la mafia siciliana ha guadagnato con l’eroina raffinata solo da Francesco Marino Mannoia fra i 30 e i 35 milioni di dollari e la mafia americana ne ha incassati quasi 90.
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