Enrico Nicoletti aveva rapporti con camorristi e con mafiosi siciliani, ma anche con uomini delle Istituzioni. «Da oltre venti anni la pericolosità di Nicoletti è stata esaminata dalla Questura di Roma, anche se nel medesimo periodo parallelamente alcuni importanti funzionari della medesima questura intrattenevano familiari rapporti con costui»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi e quella sulla seconda guerra di mafia, si passa adesso al racconto dei Casamonica.
Ora, per raccontare Nicoletti ci vogliono tomi e tomi, parlava con Giulio Andreotti, pagò parte del riscatto per liberare l’assessore regionale Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse, e alcune dichiarazioni servono a inquadrare il soggetto. Pasquale Galasso, boss poi pentito, ai vertici della camorra, a capo della nuova famiglia, disse di Nicoletti: «Ho conosciuto Nicoletti nel 1981 a Roma nel corso di un incontro con Ciro Maresca (altro boss di camorra, n.d.a.). Nicoletti è il porto di mare di tutte le associazioni italiane». E Galasso non si riferiva alle bocciofile, prima di aggiungere: «Conosceva un alto magistrato e un esponente, generale, dei servizi segreti. Intorno a Nicoletti gira sia la malavita romana che non. Nicoletti aveva conoscenza con Ciro Maresca, il quale ci dava le notizie circa i rapporti del primo con i siciliani – in particolare Pippo Calò, Toto Riina e Leoluca Bagarella – e con uomini politici, primo tra tutti Vittorio Sbardella, notizie che lo stesso Nicoletti, con il suo atteggiamento di buffone, confermava senza alcuna remora».
Ma ancor più significativo e un passaggio di un provvedimento monumentale a carico del Secco che rende chiaro il profilo: «Da oltre venti anni la pericolosità di Nicoletti è stata esaminata dalla Questura di Roma, anche se nel medesimo periodo parallelamente alcuni importanti funzionari della medesima questura intrattenevano familiari rapporti con costui». Doni di Natale che arrivavano puntuali in casa di funzionari e dirigenti cosi come di magistrati, boiardi e politici. Poco da dire sulla statura criminale di Nicoletti, impegnato con appoggi di ogni tipo nella realizzazione della Seconda Universita di Roma portando a casa uno dei mille affari capitali. Uomo di collegamento tra il mondo di sopra e quello di sotto. In rapporto con magistrati, politici, funzionari della Questura, alti prelati.
Un caso emblematico
Nel 1988 il Tribunale di Roma gli revoca il soggiorno obbligato e a Nicoletti vengono restituiti i beni con tante scuse: tutto parte da un parere della Questura di Roma che prima respinge la richiesta di revoca della sorveglianza speciale, ma un mese dopo, nel settembre 1988, cambia idea. Nel nuovo parere parla di Nicoletti come di una persona «non pericolosa in quanto gravemente malato e ritiratosi dagli affari». Tutto parte dal lavoro del Commissariato di polizia Casilino, quello che si e sempre occupato anche dei Casamonica.
«In quell’atto, firmato dal dirigente del commissariato, il vicequestore F. De Santis», l’ex carabiniere viene descritto come una persona con gravi «menomazioni psico-intellettuali, motorie e audiovisive […]». E intanto lo stesso Nicoletti, in rapporti con esponenti della camorra e di Cosa Nostra, tratta l’acquisto di alberghi, come il famoso Kursaal di Montecatini: da relitto umano ad affarista incallito nel giro di pochi giorni. A collegare tutto ci sono le auto di lusso. Le macchine sono importanti in questa storia. Dalle officine agli autosaloni, collegano mondi, rivelano amicizie, delineano legami.
Enrico Nicoletti ama le auto costose, una passione che condivideva con un suo grande amico: Vittorio Casamonica. Un’amicizia nata all’ombra di un autosalone e iniziata negli anni settanta. Casamonica così matura conoscenze nel mondo di sopra, quello che conta, costruendo rapporti con la politica, le forze dell’ordine, il Vaticano. Entrature che Nicoletti aveva da tempo e che gli sono servite per restare in piedi per decenni, e Vittorio ha imparato dal migliore sul campo. Per galleggiare ci vuole stoffa e boe di salvataggio, alle quali hai reso e rendi favore e che ti salvano quando necessario. Vittorio si muoveva con l’autista, Luciano Casamonica, e aveva a disposizione i membri del clan.
La passione per le auto
Nicoletti aveva rapporti non solo con Vittorio, ma anche con Enrico, Luciano, Antonino, Guerino Casamonica. Il rapporto era di mutua assistenza fin dall’inizio dell’ascesa criminale di Nicoletti e di “zio” Vittorio. I Casamonica rappresentavano il braccio violento, il gruppo di pressione che terrorizzava le vittime dell’attività di Nicoletti. Mutua assistenza che si traduceva anche in clienti in debito con Nicoletti che il cassiere della Banda cedeva, in cambio di una parte del denaro che avanzava, ai Casamonica che poi avrebbero riscosso la somma. Ovviamente, a modo loro. Erano gli anni settanta, ma la fama criminale della famiglia, era già nota. Un terrorismo continuo nei confronti delle vittime che si e protratto, grazie al mancato contrasto, fino ai giorni giorni. E alla fine, a volte, succedeva che c’era il cliente che di pagare non ci pensava proprio e allora, quando i tentativi erano vani, si ricorreva all’arma finale. Quando era necessario, per i debitori “distratti”, Nicoletti «organizzava spedizioni punitive a opera del clan Casamonica». Arrivavano con cappelli in testa da cow-boy, una parlata quasi incomprensibile e il fisico da cavallari. E allora a guardarli tremavano le gambe. Una ricostruzione fiabesca, secondo l’avvocato Gilardi. «Per quanto riguarda Vittorio Casamonica non ha mai fatto recuperò crediti e neanche altre attivita violente. Mai. Usava per lui e per le vittime il cervello, la furbizia.»
Raccontiamo quanto emerge nella monumentale misura di prevenzione a carico di Enrico Nicoletti disposta dal Tribunale di Roma.
I rapporti tra Nicoletti e i Casamonica nascono all’ombra dell’Eurocar, in queste storie criminali non manca mai la concessionaria. «L’autosalone» racconta un inquirente «è come il Rolex. Averlo e una costante. Primo, perché avere le auto è motivo di vanto e, secondo, perché servono. È un aiuto enorme per certi affari. Puoi fare il nero, l’importazione di vetture truffando l’iva, riciclaggio, usura e segni il territorio.»
Nicoletti quella concessionaria la acquisì piano piano anche vantando i rapporti con i Casamonica. Una volta, al vecchio titolare fecero visita dodici zingari. Così giusto per fargli capire con chi aveva a che fare. Una storia che racconta un modo di condurre affari, “pulito” e, quando necessario, rumoroso. Nicoletti entrò in punta di piedi nella gestione offrendo soldi cash, prima di accaparrarsi scrivania, telefono e titolo di dottore quando entrava la segretaria. Lentamente il vecchio titolare fu scalzato. «Subii una serie di minacce, intimidazioni, consigli amichevoli. Debbo segnalare l’esplosione di un ordigno nel parcheggio che provocò la distruzione di cinque Mercedes.» Non si capì mai l’origine di quei botti, ma è indicativo delle «perverse modalità», scriveranno i giudici, utilizzate da Nicoletti per ampliare il suo patrimonio.
Nardecchia, questo il nome del vecchio titolare, capi però che era venuto il momento di farsi da parte. All’Eurocar Vittorio Casamonica era di casa.
Insieme Nicoletti e i Casamonica segnano una storia lunga decenni grazie a coperture e insolenti distrazioni. Non solo tra il cassiere e il capostipite, ma con molti “zingaracci”.
Il primo “inciampo” non si scorda mai. Nicoletti e i suoi angeli custodi lo commettono nei primi anni settanta. Nel 1972 a Roma c’è un anonimo che anticipa i tempi e scrive quello che tutti sapevano, ma che molti hanno ignorato: «Nicoletti è un usuraio su grande scala». In quel fascicolo entrano i Casamonica, l’attività usuraia era svolta proprio grazie all’appoggio di una banda di zingari. Vittorio, tra quei nomi, non c’era, figura invece negli anni settanta tra i destinatari di assegni emessi proprio dalle società di Nicoletti. Rapporti che non si sono mai esauriti. Il notaio Michele Di Ciommo, detto il notaio di Dio (e della Dc), ne fu buon testimone e racconto che presso il suo studio il cliente Nicoletti, con il quale aveva – anche lui – contratto un debito, incontrava nell’ordine Enrico, detto Renatino, De Pedis, boss della Banda; il faccendiere Flavio Carboni; Giuseppe De Tomasi (detto “Sergio er ciccione”) e i fratelli Casamonica.
Nella saga infinita dei rapporti tra Nicoletti e i Casamonica un’altra vicenda, invece, riguarda Giuseppe Sordini, un imprenditore, titolare di una concessionaria di auto in zona Anagnina. È singolare perché oltre alle immancabili violenze, c’è anche un intreccio di figli sottratti e fughe rocambolesche. Succede sempre quando la famiglia decide di “adottare” una gagia, una estranea alla famiglia.
Sordini aveva l’autosalone su un terreno di proprietà dell’Eurocar di Nicoletti e aveva la nipote che era diventata la convivente di Raffaele Casamonica, figlio di Ferruccio. In concessionaria si presenta un certo Marco, detto “er pugile”, mai identificato con certezza, che vuole indietro i soldi della caparra versata per l’acquisto di una macchina. Al rifiuto viene gonfiato di botte un dipendente dell’autosalone, subito dopo in concessionaria arriva una telefonata di Tony Nicoletti, figlio di Enrico, che chiede informazioni. Successivamente, dopo aver incrociato un Casamonica, lo stesso Sordini viene massacrato di botte con le famose mazze da baseball. La storia però si chiude, come quasi sempre, con il ritiro della querela, e tutto sfuma come in una bolla di sapone.
Nel frattempo, c’erano problemi nella coppia, tra la nipote dell’imprenditore e Raffaele Casamonica. E i Casamonica sono accoglienti con chi entra nella famiglia, ma quando vuoi uscirne finisci sempre sbattendo la testa contro il muro. Quella donna aveva osato lasciare il compagno Raffaele, quando aveva perso la madre Paola. Un affronto, una sfida, un oltraggio. «Volevano a tutti i costi che tornassi» racconterà la giovane donna «perché essere abbandonato da una donna, per loro, e un gravissimo affronto. Ho rifiutato e mi è successo di tutto: macchina bruciata, colpi di pistola, perfino la tomba di mia madre devastata.» Non basta.
Le indagini della magistratura travolgono la famiglia del compagno e cosi Raffaele, inseguito da un ordine di cattura, scappa. Ma non da solo: si porta dietro i figli piccoli, li sottrae all’amore materno. I Casamonica hanno potuto tutto in questa città, ma questa madre e di una tempra che non si scalfisce. La disperazione dei figli lontani cancella ogni minaccia. E la donna urla la sua rabbia in ogni dove e riesce a ritrovare i figli ricominciando, con sofferenze immani, una nuova vita. Senza soldi, ma soprattutto con la continua minaccia della famiglia Casamonica. Raffaele, come vedremo, farà lo stesso con la sua nuova compagna.
Nicoletti ha sempre rivendicato la rettitudine della sua condotta e le assoluzioni ottenute al netto di due condanne per usura e associazione a delinquere. «Ho costruito milioni di metri cubi, ho fatto girare migliaia di miliardi di lire, ho pagato tasse a palate. Altro che nullatenente! Ho tirato su due università, ero il numero uno.» Ha sempre respinto ogni accusa: «Io non sono mai stato il cassiere della Banda della Magliana. Nelle condanne non c’è scritto e adesso persino il procuratore generale se l’è rimangiato. Non avevo bisogno di loro. Quando a Rebibbia ho conosciuto Renatino De Pedis lui si e messo a disposizione. Mi faceva il caffè, mi lavava i calzini: mi ascoltava come se fossi un oracolo». Cosi racconta Nicoletti, che da giovane era stato anche carabiniere prima di diventare generale degli affari.
I rapporti tra Vittorio Casamonica ed Enrico Nicoletti sono continuati fino ai giorni nostri, vengono documentati fino alla primavera del 2008. Vittorio Casamonica era solito recarsi a casa di Enrico Nicoletti, all’autosalone del figlio, Antonio. Ci sono sempre affari da concludere, assegni da scambiare, auto da vendere. Un’amicizia lunga quaranta primavere. Lo ricorda il figlio di Vittorio, anche lui si chiama Antonio, che al telefono con un amico dice: «Ao so’ più di trent’anni di amicizia».
Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.
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