Il collaboratore Francesco Di Carlo ha raccontato che l'omicidio del giudice Terranova era stato voluto da Cosa nostra e che la Commissione si era occupata di lui due volte. Una prima volta nel ‘75. Luciano Liggio aveva mandato a dire dal carcere, tramite Riina e Provenzano, che voleva il suo assassinio perché lo odiava a causa del processo di Bari
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Cesare Terranova, il primo giudice a mandare a processo per associazione a delinquere la cosca di Corleone.
Francesco Di Carlo aveva fatto parte di Cosa Nostra dal 60 alla fine dell'82. Faceva parte della famiglia di Altofonte, inserita nel mandamento di S. Giuseppe Jato. Era stato capo-famiglia dal 76 al 78. Quando nel 78 veniva sciolta la famiglia, venivano nominati due reggenti: il fratello Andrea e Gioè Ottavio. Quando la famiglia veniva sciolta, egli era passato alle strette dipendenze del capo-mandamento Bernardo Brusca. Aveva rapporti stretti sia con Brusca che con Salvatore Riina che aveva anche ospitato a casa propria.
La Commissione Provinciale era stata costituita nel 1974. Precedentemente la mafia era comandata da un triunvirato con a capo Badalamenti Gaetano ed a latere Stefano Boutade e Luciano Liggio. Il triunvirato venne costituito verso la fine degli anni 60, quando i mafiosi, reduci dai vari processi di Catanzaro e di Bari cominciarono a rientrare a Palermo. Nel 1974 si riformava di nuovo la Commissione e ne veniva eletto capo Gaetano Badalamenti.
[…] Dal 74 al 79 la commissione si riuniva regolarmente, a volte ogni settimana, a volte ogni due settimane. Egli vi accompagnava Totò Riina o Bernardo Brusca. Quando erano indette le riunioni veniva avvisato. Gli erano state date le chiavi del cancello della Favarella. Si sapevano i motivi per cui la Commissione si riuniva e cosa poi decideva.
L'omicidio del Giudice Terranova era stato voluto da Cosa nostra.
La Commissione si era occupata due volte di Terranova. Una prima volta nei primi del 75, quando capo provincia era ancora Gaetano Badalamenti. Luciano Liggio aveva mandato a dire dal carcere, tramite i suoi sostituti Riina e Provenzano, che voleva l'assassinio di Terranova, perché lo odiava in quanto aveva istruito un processo contro i Corleonesi mandandoli a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Bari e perché, in qualità di vice-presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, «si era preso il lusso di volerlo interrogare». Quando Salvatore Riina faceva questa richiesta, Badalamenti gli faceva presente che tanti mafiosi erano appena usciti di galera o rientrati dal soggiorno obbligato ed erano ancora "tutti rovinati". Se avessero ucciso Terranova che in quel momento faceva parte delle istituzioni nazionali, avrebbero provocato uu ulteriore pandemonio con il rischio di andare tutti in galera o al confine. Pertanto, invitava Riina a dire al compare «che almeno prendiamo un po… E poi si vede. Oppure se avete urgenza di farlo, fatelo fuori dalla Sicilia».
La riunione a Favarella
Dopo l'arresto di Liggio era stato di proposito affiliato a Cosa Nostra il nipote Francesco Paolo Marino al fine di consentire al capo-mafia carcerato di far conoscere la sua volontà. Fu il Marino che comunicò la volontà di Liggio di uccidere Terranova.
La riunione si tenne alla Favarella di Michele Greco. Vi aveva accompagnato Totò Riina e Bernardo Brusca. Andando via dalla Favarella Totò Riina era incavolato perché era stato messo in minoranza nella commissione e perché Badalamenti gli aveva dato quella risposta, tanto che esclamava: "Dice che ce lo dobbiamo (fare) fuori dalla Sicilia? Ci facciamo vedere che lo facciamo dovunque noi". Sapendo che frequentava Roma e vi aveva a disposizione una casa, gli diceva di cominciare a vedere se c'era la possibilità di salire a Roma armi per fare il "lavoro", nonché di controllare i movimenti del giudice.
Rispondeva che la casa c'era e quindi non c'era problema per le armi mentre Riina doveva scegliere chi doveva compiere l'omicidio. Egli era a disposizione per guidare in Roma la macchina. Dopo qualche mese Riina gli diceva che per il momento si doveva fermare tutto in quanto c'era un progetto per far evadere Leggio. Il piano studiato per l'evasione falliva perché all'ultimo minuto un sottufficiale "si era tirato indietro". Alla riunione alla Favarella avevano partecipato i capi-mandameto del1975. Non vi avevano partecipato i capi-mandamento successivamente incaricati.
La Commissione tornava ad occuparsi del Terranova nel giugno o al principio dell'estate del 79. Riina in Commissione aveva già una maggioranza precostituita . Non c'era più infatti Badalamenti. Bontade era stato esautorato. Il capo provincia era Michele Greco, vicino ai Corleonesi. Erano stati costituiti nuovi mandamenti ove R.iina aveva fatto nominare uomini a lui fedeli, quali Pippo Calò e Ciccio Madonia. Questa volta in Commissione tutti diedero parere favorevole all'assassinio. La riunione si tenne alla Favarella. Egli vi accompagnò il proprio capo mandamento Bernardo Brusca. Nella tenuta notava la prosenza di Totuccio Inzerillo, Stefano Bontàde, Michele Greco, Bernardo Brusca, Totò Runa, Saro R.iccobono, Ciccio Madonia, Nenè Gerace, Peppino Fari.nella, Giuseppe Chiaracane, Francesco Intilli, Antonino Mineo, Pippò Calò.
Fu Bernardo Brusca e Totò Riina ad informarlo della decisione adottata dalla Commissione quando, alla fine della riunione si rivedevano. Riina diceva: «Finalmente...questa volta gli facciamo vedere».
Quando avvenne l'omicidio, benché sapesse che dovesse avvenire, non sapeva chi ne fosse stato l'autore. Chiedeva notizie a Brusca che gli faceva i nomi di Giacomo e Giuseppe Gambino, Bagarella, Giuseppe Madonia e Vincenzo Puccio ed altra gente di supporto.[...]
In sede di controesame ribadiva che quando nel 74-75 aveva accompagnato Bernardo Brusca e Totò Riina alla Favorella per partecipare alla riferita riunione della Commissione gli era noto che si sarebbe dovuto parlare dell'omicidio del giudice Terranova in quanto tra lor mafiosi se ne parlava.
[…] Chiariva ancora che allorquando Riina sulla macchina aveva detto che avrebbero ucciso Terranova fuori dalla Sicilia non gli aveva affidato un incarico specifico. Gli aveva infatti detto, sapendo che era pratico di Roma: “come siamo situati a Roma? Abbiamo una base per potervi depositare le armi ed ospitare l'eventuale killer?” Il Di Carlo lo rassicurava dicendogli che conosceva Roma e che la base c'era, ma non riceveva alcun incarico. Ribadiva che Riina gli aveva chiesto solo informazioni per vedere come «erano combinati» a Roma, ma non gli aveva dato alcun incarico anche se aveva voluto sapere se a Roma c'era possibilità di nascondere le armi, se egli conoscesse la città ed era in grado di guidare la macchina (da utilizzare per l'omicidio). Dichiarava di aver risieduto all'estero dal 1985 al 1996.
Le dichiarazioni di Mannoia e Buscetta
Francesco Marino Mannoia aderiva alla famiglia mafiosa di Stefano Bontade nella primavera del 75. Era alle dirette dipendenze di Stefano Bontade. Si dissociava dalla mafia, cominciando a collaborare, nel 1989. Sulla scorta della propria esperienza vissuta lll cosa nostra e dei rapporti che aveva con Stefano Bontade che faceva parte della Commissione Provinciale di Cosa Nostra, poteva affermare che detto organismo era sussistente. […] Ricordava che l'omicidio del giudice Terranova era stato deliberato dalla Commissione Provinciale così carne riferitogli dal Bontade che era contrario all'omicidio. L'interesse maggiore all'assassinio lo avevano i corleonesi, Salvatore Riina e Luciano Liggio che aveva l'odio particolare contro Terranova. […].
Sull'accordo delle parti venivano acquisiti i verbali dell'esame reso dal Buscetta alla Corte di Assise di Appello di Reggio Cal. il 15.4.86 nel corso del proc.pen.n. 1/84 R.G.Ass.App. ed i verbali degli interrogatori resi al G.I. del Tribunale di Palermo, dalla predetta Corte acquisiti. Dichiarava Buscetta il 16/7/84 al dr. Falcone che Terranova era stato ucciso su mandato di Luciano Liggio che, nonostante fosse detenuto, era ancora il capo della mafia di Corelone. I suoi reggenti erano, con pari poteri, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Precisava ancora a Falcone (v.pag.34 del verbale di interrogatorio) di avere appreso dall'Inzerillo che il delitto era stato deciso dalla, Commissione all'insaputa di esso Inzerillo, di Stefano Bontade ed anche di Rosario Riccobono.
In particolare Salvatore Inzerillo gli aveva riferito che l'omicidio di Cesare Terranova era avvenuto su mandato del Liggio, ma non gli aveva riferito il motivo, essendo fin troppo evidente che tale omicidio avesse la sua causale nell'attività giudiziaria di Terranova nei confronti del Liggio.
Il 15/4/86, davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Cal. ribadiva che l'Inzerillo gli avesse detto che il Liggio, che all'epoca era detenuto, era il mandante dell'omicidio del dott. Terranova. Con l'Inzerillo egli era molto amico e si frequentava spesso.
Questa confidenza gli era stata fatta nel periodo Luglio -ottobre 1980. Inzerillo gli disse che la morte di Terranova era dovuta ad una decisione della Commissione presa su richiesta di Leggio, tramite Salvatore Riina che faceva parte della Commissione.
In Commissione talvolta presenziava Riina e talvolta Provenzano, come dettogli dall'Inzerillo dal Bontade e dal Salomone. Confermava quanto dichiarato (in istruttoria) relativamente alla composizione della Commissione provinciale di Cosa Nostra negli anni 79-80.
Tutte le rese dichiarazioni possono ritenersi credibili. Infatti, attesa la confessata lunga militanza dei propalanti nella mafia ed il ruolo svolto all'interno delle associazioni criminose di appartenenza, può legittimamente presumersi che fossero a conoscenza della struttura ed organizzazione di Cosa Nostra, degli obiettivi strategici perseguiti,
degli appartenenti alle forze dell'ordine e dei magistrati che costituivano un serio pericolo per tutta l'organizzazione o per qualche particolare clan mafioso e, per le dichiarazioni rese de relato, che fossero destinatari di confidenze o informazioni attinte da altri consociati.
[…] Orbene, analizzate alla stregua di questi criteri, le rese dichiarazioni non lasciano trasparire incoerenze logiche, intenti calunniatori, contraddittorietà o mancanza di spontaneità ed in quanto tali, eccezione fatta per qualche affermazioni di cui di qui a poco si dirà, possono giudicarsi intrinsecamente attendibili. […] Le formulate eccezioni non superano però il livello della congettura, non essendo emerso alcunché di serio ed obiettivo atto a far ritenere che alcuni o tutti i dichiaranti si fossero riuniti tra di loro ed avessero ordito una trama calunniosa per accusare gli imputati dell'omicidio del
giudice Terranova e del M.llo Mancuso. […].
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