Per le ripercussioni che dal delitto ci sarebbero state in Cosa Nostra, per i danni che ne sarebbero derivati agli affiliati ed ai loro interessi a causa della reazione delle istituzioni, l'omicidio poteva essere autorizzato solo se il motivo per farlo fosse stato tanto importante da compattare contro il giudice tutte le famiglie mafiose
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Cesare Terranova, il primo giudice a mandare a processo per associazione a delinquere la cosca di Corleone.
Dichiarava il dr. Bruno Contrada, che in qualità di dirigente interinale della S.M. della Questura di Palermo aveva curato le indagini di Polizia conseguenti al duplice omicidio, che erano state battute varie piste investigative per capirne il movente.
Era stata subito scartata la rivendicazione fattane da un sedicente "Ordine Nuovo", con una telefonata all'Ansa di Roma che testualmente diceva “A Palermo abbiamo giustiziato il dott. Terranova"
Si era indagato sull'attività svolta dal giudice in Corte d'Appello subito dopo il rientro in magistratura ed era emerso che avesse trattato affari bagatellari che non giustificavano il delitto.
Altre indagini fatte sull'attività di Terranova svolta come giudice Istruttore del Tribunale di Palermo e quale membro della Commissione Parlamentare Antimafia non avevano consentito di acclarare elementi rilevanti.
Causale valida era sembrata solo la preoccupazione che aveva ingenerato nella mafia il ritorno del Terranova a Palermo come capo dell'ufficio istruzione penale, così come lo stesso magistrato aveva dichiarato in interviste concesse ai giornalisti di Palermo. A suo giudizio era questa la pista più valida e ne aveva riferito con apposito rapporto al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.
Ma anche questa causale, come già detto, non aveva superato l'esame critico dei giudici di merito che avevano celebrato il processo contro Leggio, in quanto essendo sprovvista del necessario sostegno probatorio era stata giudicata una congettura.
Né aveva ottenuto sufficiente credito l'addotto odio profondo del Leggio per il Terranova, non essendo emersa dai singoli episodi analizzati alcuna determinazione omicida.
Non può però sottacersi che, rivisitando gli atti, i documenti e le due sentenze di merito acquisite al fascicolo del dibattimento, appaia evidente che i rapporti tra il giudice ed il Leggio fossero aspramente conflittuali. Per quanto giustificabile, fu infatti un indubbio atto di forza da parte del Terranova far barellare l'imputato febbricitante e farlo trasportare dall'infermeria al proprio cospetto per sottoporlo, in quelle condizioni, ad interrogatorio.
Non basta Luciano Leggio
Parimenti, pur condividendo le conclusioni dei precedenti giudici circa l'irritazione che traspare nel messaggio dal Leggio inviato alla sorella per dirle di non chiedere più al Terranova permessi per i colloqui, è innegabile che insieme all'irritazione vi si colga un feroce giudizio sul giudice, descritto come persona che godeva delle sofferenze che infliggeva al detenuto ed animata dalla volontà di "perderlo".
Si conviene altresì che nel biglietto di minacce, per conto del Leggio inviato al Terranova nel 1971, non era possibile cogliere segni di irrevocabili decisioni di morte, ma è innegabile che con quel biglietto venne al giudice fatta una inequivocabile minaccia di morte.
Valutando infine il contegno tenuto dal Leggio quando Terranova lo interrogava nel Carcere di Parma in qualità di vice-presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, congiuntamente a quanto sul punto è stato accertato nel corso di questo dibattimento, non par dubbio che le stranezze notate dal magistrato nel suo sguardo non fossero dovute a impressioni soggettive, come asserito dai primi giudici sulla scorta dei dati di cui disponevano, e cioè delle testimonianze della Giaconia e delle interviste rilasciate dal Terranova, ma a vera e propria avversione.
Rivelava infatti Di Carlo Francesco che ai primi del ‘75 Luciano Leggio mandava a dire, attraverso i propri sostituti Riina e Provenzano, alla Commissione della mafia palermitana che avrebbe voluto che Terranova venisse assassinato perché lo odiava in quanto aveva istruito (come G.I.) un processo contro i Corleonesi rinviandoli a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Bari e perché in qualità di vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia "si era preso il lusso di volerlo interrogare".
Terranova aveva fronteggiato Leggio e la mafia da magistrato e nel carcere di Parma aveva continuato a farlo da parlamentare. Agli occhi del vecchio mafioso dovette così apparire chiaro che l'uomo che era di fronte avesse votato la propria vita a lottare il fenomeno mafioso ed in quanto tale costituisse un pericolo per tutto il clan dei corleonesi di cui si era particolarmente occupato come magistrato.
Significative appaiono le dichiarazioni rese dal Di Carlo. Esse trovano riscontro sia nei precedenti tra il Terranova ed il Riina sia nell'esattezza dell'affermazione che Terranova avesse rinviato a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Bari il Leggio e molti dei componenti del clan dei Corleonesi che, seppure prosciolti in primo grado, in grado d'Appello venivano condannati all'ergastolo come il
Leggio o a pene severe (v. sentenza in atti) e nella corrispondenza al vero che il giudice, in qualità di vice-presidente della Commissione, Parlamentare Antimafia, avesse proceduto all'audizione del boss che era detenuto nel carcere di Parma.
[…] Pertanto devesi ritenere accertato che Luciano Leggio nutrisse verso il magistrato sentimenti d'odio, insorti a causa della durezza e del disprezzo con cui il giudice lo trattava, come risulta provato dal ricordato episodio del 1964 e dal giudizio espresso sull'uomo Terranova nella lettera inviata alla sorella rinvenuta dagli inquirenti, acuiti dall'impegno profuso dal Terranova nell'istruire il processo in seguito al quale gli era stata inflitta la pena dell'ergastolo ed esplosi: alla constatazione che, pur nella veste di parlamentare, continuasse ad occuparsi di lui e della mafia. Convalidano l'espresso convincimento, ulteriori convergenti dichiarazioni provenienti da altri collaboratori di giustizia. […] L'omicidio era stato voluto dai Corleonesi in quanto Terranova aveva fatto incarcerare Luciano Leggio e persone a lui vicine. […] A detta di Bernardo Brusca, l'omicidio di Terranova era stato eseguito su richiesta di Luciano Leggio e con l'approvazione di tutta la Commissione, perché era ritenuto nemico di Cosa Nostra per via delle inchieste da lui condotte .
[…] L'avversione nei confronti dell'uomo avevano indotto Leggio a chiedere alla Commissione di sopprimerlo ma la decisione di uccidere poteva essere adottata soltanto da quest'organismo di cui la compagine criminosa era dotata. Concordi appaiono i collaboratori m ordine alla esistenza della Commissione ed ai suoi poteri.
La Commissione di Cosa Nostra
[…] Può quindi ritenersi che a Palermo "Cosa Nostra" all'epoca del delitto si presentasse con una struttura di base costituita dalle singole famiglie mafiose. Gruppi di tre o più famiglie (cfr. Di Carlo e Buscetta) costituivano i mandamenti al cui vertice c'era un capo-mandamento.
Tutti i capi-mandamento formavano la commissione provinciale. Il sodalizio criminoso aveva perciò un assetto organizzativo di tipo verticistico che culminava in una cellula di comando centralizzata, chiamata commissione, composta da tutti i capi mandamento.
Questo organo di vertice era a tutti noto al pari della sua indiscussa autorità, essendo per tutti vincolanti le decisioni adottate, ed era deputato alla gestione di tutto quanto apparisse rilevante o avesse riflessi sull'organizzazione unitaria di cosa nostra o avesse influenza su cosa nostra.
Ad identiche conclusioni perveniva la Corte di Cassazione che nella sentenza n.80 del 30.1.92 (c.d. maxi 1) affermava l'esistenza della commissione e ne indicava i compiti, con argomentazioni poi recepite dalla Corte di Appello di Palermo nella sentenza n. 7 /95 del 17.3.95 contro Bruno Francesco+ 14 e ribadita dalla Suprema Corte di cassazione - sez. V nella sentenza n.930 del 10.6.96. L'arco di tempo analizzato partiva dall'omicidio del Commissario di P. S. Boris Giuliano avvenuto il 21.7.79 e cioè alcuni mesi prima dell'omicidio del Terranova. Conseguentemente non pare possibile dubitare se quest'ultimo fatto di sangue rientri o meno nei fatti accertati dal Supremo Collegio.
Emergeva dal predetto giudicato che le famiglie all'epoca dell'omicidio di Boris Giuliano e quindi anche all'epoca dell'omicidio del giudice Terranova, avevano un comune organo di vertice con competenza deliberante, denominato Commissione, che assicurava un costante raccordo tra tutte loro per il controllo degli affari ed il rispetto delle regole di "Cosa Nostra", che era composto dai rappresentanti dei vari mandamenti della provincia di Palermo e presieduto da un capo e che si faceva carico (anche ) di deliberare le strategie criminose, giustificate da specifiche finalità punitive (omicidi).
[…] Tanto premesso, osserva il Collegio che l'omicidio di un uomo che era stato parlamentare della Repubblica e magistrato di primo piano del Tribunale di Palermo, era sicuramente un fatto eclatante che avrebbe avuto ripercussioni sull'attività di tutta l'organizzazione mafiosa, verso la quale si sarebbe immediatamente concentrata la reazione delle istituzioni. Era quindi un delitto che poteva essere deliberato soltanto dalla Commissione che intanto vi avrebbe consentito in quanto lo
avesse ritenuto utile rispetto agli interessi rappresentati nonostante i negativi effetti che avrebbe potuto produrre.
Non era perciò sufficiente l'odio di Leggio. Per le ripercussioni che dal delitto ci sarebbero state in "Cosa Nostra", per i danni che ne sarebbero derivati agli affiliati ed ai loro interessi a causa della reazione delle istituzioni, l'omicidio poteva essere autorizzato solo se il motivo per farlo fosse stato tanto importante compattare contro il giudice tutte le famiglie mafiose.
Era necessaria una casuale tale da consentire di individuare in Terranova un obiettivo strategico di cosa nostra.
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