La Seconda "guerra di mafia" non fu una guerra tra famiglie, ma una guerra tesa ad eliminare tutti coloro che, senza alcun riguardo per la "famiglia" di appartenenza, erano legati ai boss perdenti da vincoli troppo saldi per poterli ritenere "affidabili"
Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.
Il 15 giugno 81, verso le ore 16,50 circa, nella via Ugo Falcando, all'altezza di via Cataldo Parisio, veniva ucciso GNOFFO IGNAZIO mentre si accingeva a scendere dalla sua fiat 126 sulla quale viaggiava anche la moglie PILLITTERI CARMELA.
Nel corso del mortale agguato teso allo GNOFFO, la donna rimaneva gravemente ferita e, soccorsa da passanti, veniva accompagnata al posto di pronto soccorso dell'Ospedale "Villa Sofia".
Nella immediatezza del fatto venivano sentiti molti commercianti della zona i quali, pero', tutti concordemente, seppure con motivazioni diverse, negavano di aver assistito all'omicidio e solo qualcuno ammetteva di aver udito i colpi di arma da fuoco.
Non maggiore fortuna avevano gli inquirenti con i congiunti dello GNOFFO, i quali non sapevano dare indicazione alcuna sul probabile movente del delitto.
Solo MADDALONI ROSARIO - datore di lavoro dello GNOFFO - riferiva di aver assunto la vittima tre anni prima e di aver notato come questa, da due mesi, aveva mostrato una certa discontinuità nel lavoro, giustificandola con motivi di salute, mentre da una ventina di giorni non si era più presentato al lavoro.
Ciò, comunque, non lo aveva preoccupato, avendo già deciso di licenziare LO GNOFFO.
La PILLITTERI, successivamente ristabilitasi, riferiva che il giorno dell'omicidio lei e suo marito erano diretti al negozio di via Cataldo Parisio e, avendo trovato un posteggio per l'auto, si accingevano a scendere quando si sentiva colpita alle spalle e si accasciava al suolo.
Quasi contemporaneamente udiva degli spari e, poi, veniva accompagnata in ospedale da alcuni passanti.
La donna assumeva di non essere in grado di precisare chi avesse esploso i colpi di arma da fuoco ed, anzi, specificava di non essersi accorta dell'agguato teso al marito, anche se, secondo CIPOLLA GUIDO e VACCARO ROSARIO, la donna, da essi accompagnata a Villa Sofia, durante tutto il tragitto si era lamentata per l'uccisione dello stesso.
La PILLITTERI, inoltre, nulla voleva riferire circa i rapporti intercorsi tra il marito e INZERILLO SALVATORE, ucciso il precedente 11 maggio, anche se erano stati individuati alcuni assegni girati dal secondo al primo.
Ignazio Gnoffo, il capo della famiglia di “Palermo-centro”
Anche in assenza di un qualsiasi utile elemento rilevabile dalle dichiarazioni dei congiunti dello GNOFFO, gli inquirenti erano in grado di inquadrare l'omicidio nel contesto della guerra di mafia in corso, stante anche la appartenenza della vittima ad una delle "famiglie" mafiose del palermitano.
[…] Ed invero, lo GNOFFO aveva dovuto constatare che il 23 aprile era stato ucciso STEFANO BONTATE, mentre l'11 maggio era stato ucciso SALVATORE INZERILLO: caduto due mesi prima il BONTATE, aveva cominciato ad avere qualche timore per la sua sorte, tanto che anche la sua attivita' lavorativa ne risentiva, mentre con l'uccisione dell'INZERILLO, proprio una ventina di giorni prima del suo stesso omicidio, aveva deciso di defilarsi, rinunciando anche al lavoro.
Un riscontro alle dichiarazioni del MADDALONI, circa lo stato di disagio dello GNOFFO, si poteva rilevare da quanto riferito da TOMMASO BUSCETTA.
Quest'ultimo, infatti, dichiarava: «BADALAMENTI mi riferì anche sull'omicidio di GNOFFO IGNAZIO. Debbo premettere che quest'ultimo faceva parte della "famiglia" di Palermo che, nel 1963, era capeggiata da ANGELO LA BARBERA. A seguito dei contrasti fra quest'ultimo e le altre famiglie palermitane, la famiglia di Palermo venne sciolta, essendo stato ritenuto dalla Commissione che la colpa di tutto quanto era avvenuto, di cui parlerò diffusamente in seguito, fosse da attribuire a LA BARBERA.
IGNAZIO GNOFFO, che era della "famiglia", venne aggregato, quindi, a quella di STEFANO BONTATE (S. Maria Di Gesù), di cui ebbe modo di apprezzare l'intelligenza e l'equilibrio: verso il 1977, STEFANO BONTATE, dando ulteriore prova di buon senso, consentì a GNOFFO di ricostruire la "famiglia" di Palermo di cui divenne capo.
Quando, pertanto, vennero uccisi BONTATE e INZERILLO, la figura di GNOFFO destava preoccupazione, essendo noto il suo debito di gratitudine ed il suo affetto per BONTATE.
PIPPO CALO', su mandato della Commissione, mandò più volte a chiamare GNOFFO, il quale, però, disertò gli appuntamenti, mandando a dire al CALO' che non vi era alcun motivo per cui si dovessero incontrare. Ciò venne interpretato come una presa di posizione contro il CALO' e la Commissione e, quindi, ne venne decretata la fine.
Il BADALAMENTI mi disse che GNOFFO era stato ucciso, alla presenza della moglie, mentre stava per salire in macchina in una via di Palermo».
Successivamente, il BUSCETTA aggiungeva che LO GNOFFO, secondo quanto riferitogli concordemente da STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO, era uno dei più attivi nel traffico di eroina, insieme con GIOVANNI BONTATE, i GRECO, i VERNENGO, gli SPADARO ed altri.
Lo stesso CONTORNO confermava i rapporti di amicizia esistenti tra STEFANO BONTATE e GNOFFO IGNAZIO.
Scompaiono anche i fratelli Severino
Non vi può essere, quindi, dubbio alcuno sul movente dell'omicidio dello GNOFFO anche perché la soppressione dello stesso avveniva nello stesso arco di tempo in cui scomparivano SEVERINO VINCENZO e SALVATORE, amici e dello GNOFFO e di SALVATORE INZERILLO.
Lo stesso giorno dell'omicidio dello GNOFFO, infatti, SEVERINO IGNAZIO si presentava negli uffici della Squadra Mobile di Palermo per denunciare la scomparsa dei figli VINCENZO e SALVATORE i quali, allontanatisi sin dal 28 o 29 maggio, non avevano più dato loro notizie.
Il SEVERINO precisava che i figli erano venuti a trovarlo a casa senza minimamente accennare ad una loro partenza da Palermo e che il suo terzo figlio - GIOVANNI - che li coadiuvava nella conduzione della macelleria di via Ruggerone Da Palermo, non aveva avuto notizie dei fratelli sin da quel giorno.
Successivamente, in data 20.4.82, il SEVERINO precisava che:
- I figli, il giorno 29 maggio 81, verso le 8, si trovavano nella loro macelleria, insieme con il fratello GIOVANNI;
- A questi avevano detto che si sarebbero assentati per breve tempo, senza specificare dove si recavano;
- Erano usciti dal negozio a piedi e nessuno era ad attenderli;
- I due erano amici di SALVATORE INZERILLO e di GNOFFO IGNAZIO, ma non era a conoscenza della natura dei rapporti che intercorrevano con questi.
I fratelli SEVERINO, quindi, proprio perché amici di personaggi di primo piano come l'INZERILLO e lo GNOFFO, non potevano non essere stati soppressi.
I rapporti con il capo della "famiglia" di Palermo-Centro (GNOFFO) ed il capo della "famiglia" di Passo Di Rigano (INZERILLO) dovevano essere fatali ai SEVERINO i quali venivano sicuramente soppressi con il famigerato metodo della "lupara bianca".
Del resto si è già visto come lo stesso GNOFFO, proprio in concomitanza con gli omicidi di STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO, avesse mostrato di temere per la sua vita e ciò, sicuramente, non per caso.
Il piano di Riina & Compagnia.
Gli stessi, ripetuti, interventi di PIPPO CALO' tesi, formalmente, a "convocare" lo GNOFFO per conto della Commissione, erano stati avvertiti da questo ultimo come segnali sicuri di una sua prossima eliminazione, tanto che, non potendo nulla di buono sperare da tali convocazioni, aveva disertato gli appuntamenti.
CORALLO GIOVANNI, poi, dal suo canto, non poteva essere estraneo alla eliminazione dello GNOFFO, dato che pronta era la sua successione a capo della "famiglia" di Palermo-Centro.
L'omicidio dello GNOFFO e' una sicura riprova della tesi accusatoria secondo la quale la "guerra di mafia" non fu una guerra tra famiglie, ma una guerra tesa ad eliminare STEFANO BONTATE, SALVATORE INZERILLO e quanti, senza alcun riguardo per la "famiglia" di appartenenza, erano agli stessi legati da vincoli troppo saldi per poterli ritenere "affidabili" nel contesto di un progetto teso alla egemonia dei corleonesi su "Cosa Nostra".
Nel caso, poi, come quello in esame, si fosse trattato di un capo o di un semplice "uomo d'onore", era necessario il preventivo assenso della Commissione e dei preminenti personaggi all'interno della stessa "famiglia" di appartenenza della vittima designata, i quali ultimi, lungi dal reagire, ne avrebbero preso il posto.
Ciò comportava che la guerra di mafia, appunto, non scadesse in una generale guerra tra "famiglie", ma si risolvesse in un ricambio di quadri senza ulteriori conseguenze nocive per l'associazione mafiosa nella sua interezza: l'esempio dello scontro tra i LA BARBERA e le altre "famiglie" mafiose aveva insegnato quanto potesse essere dannoso un conflitto generalizzato.
La strategia dei corleonesi, quindi, mirava proprio ad una sostituzione contrattata di elementi vicini al BONTATE ed ALL'INZERILLO con elementi ai primi fedeli, si' che si potesse ottenere il duplice risultato di assicurare la loro egemonia e mantenere la massima armonia tra tutte le famiglie mafiose.
Eliminato IGNAZIO GNOFFO, il posto dello stesso come capo famiglia veniva preso da GIOVANNI CORALLO, grande amico proprio di PIPPO CALO' con il quale, in tempi non sospetti, aveva lavorato in un negozio di tessuti.
Riferiva, infatti, il BUSCETTA: «Per quanto concerne il CORALLO posso solo dire che l'ho conosciuto negli anni '60 quando lavorava come banconista, insieme con PIPPO CALO', presso il negozio di tessuti GIARDINI. Allora egli non era nemmeno uomo d'onore ed ha costituito quindi, per me motivo di vera sorpresa l'apprendere da GAETANO BADALAMENTI che il CORALLO, a seguito dell'uccisione dello GNOFFO, era divenuto capo della famiglia di Palermo.
Infatti non avevo più sentito parlare del CORALLO e, in particolare, durante la mia detenzione all'Ucciardone nessuno mi aveva detto che era uomo d'onore».
Ciò, quindi, spiega anche l'interessamento del CALO' nelle convocazioni dello GNOFFO, dato che, in ultima analisi, doveva preparare la successione a quest'ultimo nella persona del suo amico CORALLO.
Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo
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