A pochi giorni dall’esplosione di Capaci, il 28 maggio 1992, il Centro SISDE di Palermo trasmette un’informativa alla Direzione di Roma. L’oggetto: “Progetto di attentato in persona del dottor Paolo Borsellino”.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L’anonimo del 18 giugno – clamorosamente sottovalutato, come abbiamo appena visto - non è purtroppo l’unico episodio che meriti un approfondimento. Facciamo un passo indietro. Sempre a pochi giorni dall’esplosione di Capaci, il 28 maggio 1992, il Centro SISDE di Palermo trasmette un’informativa alla Direzione di Roma. L’oggetto reca: “Progetto di attentato in persona del dottor Paolo Borsellino”.
Della nota in questione parlano, anni dopo, i giornalisti Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo in un articolo incentrato sui 318 documenti che la Commissione antimafia nazionale, all’epoca presieduta dal senatore Giuseppe Pisanu, aveva acquisito dall’Aisi e dell’Aise. Ecco cosa scrivono a tal riguardo i due cronisti:
Informativa del 28 maggio 1992 (protocollo 1495/z. 3068) spedita dal centro Sisde di Palermo alla Direzione di Roma. Oggetto: “Progetto di attentato in persona del dottor Paolo Borsellino”. Sono passati solo cinque giorni da Capaci e i servizi avevano già la notizia, da “fonte confidenziale” ben informata, che Cosa Nostra aveva in programma di uccidere il procuratore. Fu mai comunicata questa notizia all'autorità giudiziaria?
Abbiamo rigirato lo stesso quesito ad uno dei due autori di quell’articolo, Salvo Palazzolo:
PALAZZOLO, giornalista de la Repubblica. Io credo che non abbia avuto alcun esito ed è lì, diciamo, la questione che chiama in causa ancora una volta la mancata attuazione delle misure di sicurezza per Borsellino. Sarebbe interessante capire a livello centrale queste comunicazioni, diciamo, dove siano passate, se ce n’è traccia, chi ne abbia avuto conto e chi poi non ha fatto.
Domanda legittima. L’audizione del prefetto Parente, direttore dell’Aisi, probabilmente, avrebbe potuto aiutare la Commissione a ricostruire quale sia stata la genesi dell’informativa in questione e, soprattutto, a sapere se sia stata portata all’attenzione dell’autorità giudiziaria (tenuto conto – come vedremo - delle dinamiche di stretta “collaborazione” instauratesi tra il Sisde e la Procura di Caltanissetta già nelle ore immediatamente successive alla strage di via D’Amelio). Ma questa possibilità ci è stata preclusa: nessuna collaborazione, nessuna disponibilità a riferire dinnanzi ad una commissione d’inchiesta parlamentare quali siano state – su questo punto e su molti altri – gli interventi, le valutazioni e le interferenze del Sisde nelle indagini sulla strage di via D’Amelio.
Torniamo al procuratore Giammanco e alla trascuratezza rispetto alla sicurezza di Paolo Borsellino. È circostanza acclarata che sulla scrivania di Giammanco, arrivò sicuramente un’informativa, redatta dai Ros, di analogo contenuto dell’anonimo di cui abbiamo parlato che annuncia un rischio attentato ai danni di Borsellino e del Ministro della difesa Andò. Neppure in questo caso Giammanco dà peso alla minaccia, a tal punto da decidere di non informare nemmeno Borsellino. Quest’ultimo ne viene a conoscenza per puro caso, nel corso di una conversazione con l’allora Ministro della Difesa Salvo Andò. È il 28 giugno. Un mese più tardi, l’allora pm Antonio Ingroia ricostruirà così davanti al Csm l’accaduto.
L’incontro con il ministro Andò
INGROIA, già magistrato. Ricordo che era il giorno del suo onomastico, io ero a casa sua il 29 giugno, lui di rientro mi pare da Bari dove era stato per un convegno… e mi raccontò che aveva incontrato (in aeroporto , ndr.) l’onorevole Andò, il quale gli aveva chiesto cosa pensasse di una certa segnalazione relativa ad un attentato che si sarebbe dovuto mettere in atto nei confronti o dell’uno o dell’altro… Borsellino cadde dalle nuvole perché non ne sapeva nulla e mi disse di essere davvero molto seccato perché non era stato informato della cosa. Seppi poi che lui contestò la cosa al dottor Giammanco. Me lo disse prima di entrare nella stanza del procuratore Giammanco: «Io voglio sapere… io ho il diritto di essere a conoscenza di tutte le segnalazioni che riguardano attentati nei miei confronti» …
A pochi giorni dalla strage, un’altra informativa dei Ros indica Paolo Borsellino e Antonio Di Pietro quali possibili obiettivi di attentati. Il magistrato del pool di “Mani Pulite” viene subito messo in sicurezza: rafforzamento della scorta e famiglia trasferita all’estero. Borsellino, invece, non è così fortunato: la nota viene trasmessa alla Procura di Palermo tramite posta ordinaria. Arriverà solamente quattro giorni dopo che l’inferno ha fatto tappa in via D’Amelio 6. Com’è possibile questa incuria? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Di Pietro:
DI PIETRO, già magistrato. Quando muore Borsellino io mi impaurisco, certo che mi impaurisco, anche perché, lo sapete meglio di me, io ricevo un’informativa dei Ros… in quell’informativa si diceva che Borsellino e Di Pietro dovevano essere ammazzati.
FAVA, presidente della Commissione. Le volevo chiedere se lei l’apprese allo stesso modo, se anche lei ricevette per posta ordinaria questa nota dei Ros.
DI PIETRO, già magistrato. No. Per quel che ricordo o me lo ha detto Borrelli, perché aveva ricevuto lui la segnalazione, o me lo hanno detto direttamente i Carabinieri. Cioè, io personalmente ne venni a conoscenza all’interno dell’ufficio…
FAVA, presidente della Commissione. Come mai, secondo la sua esperienza, il Ros a Milano ha un’informazione di questo tipo e la trasferisce a Palermo per posta ordinaria?
DI PIETRO, già magistrato. Questo me lo chiedo anch’io sinceramente. È senza una logica… Anche perché, voglio dire, poche settimane prima era stato ammazzato Falcone, non è che stiamo parlando che era una cosa a ciel sereno… in quei giorni era una carneficina continua.
La sottovalutazione del rischio che correva il dottor Borsellino, in quei cinquantasette giorni di purgatorio, non risparmia nemmeno coloro che della sua sicurezza erano responsabili, e che quei rischi condividevano con il magistrato palermitano. Questo il ricordo del caposcorta sopravvissuto Antonio Vullo:
FAVA, presidente della Commissione. Voi siete mai stati messi al corrente, durante questi 57 giorni, che erano arrivate delle minacce concrete, un rapporto dei Ros, una lettera con una serie di nomi… tutta una serie di minacce ricevute nell’arco di quelle settimane: vi fu mai detto?
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. No, assolutamente no, però sapevamo che le minacce c’erano.
FAVA, presidente della Commissione. Ma nessuno ve lo disse, nessuno vi parlò di questa deposizione in cui si parlava anche del tritolo ormai arrivato a Palermo?
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. No, questo purtroppo lo abbiamo scoperto dopo e ancora oggi ci sono delle situazioni che fanno pensare a questo tritolo che era arrivato sia per Borsellino che per Di Pietro.
FAVA, presidente della Commissione. Sì, solo che Di Pietro lo seppe prima.
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Lo hanno portato anche fuori dall’Italia, mentre il giudice Borsellino “non rischiava nulla” e di conseguenza è stato lasciato solo.
Le accuse del ministro Martelli
Che Borsellino sia stato lasciato solo è ormai un fatto. Ed appare labile, in questo caso, il confine tra dolo e colpa. Sull’argomento, l’ex ministro Claudio Martelli è netto:
MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Guardi Presidente, io veramente sono ancora oggi turbato se penso a questo. Si può peccare, come dicono i vecchi catechisti, per atti o omissioni, ma ciò che è stato omesso di fare da tutte le autorità dello Stato in quel di Palermo, nonostante le segnalazioni ricevute ripetutamente da me e dai miei uffici, dal Ministro Scotti e credo dai suoi uffici o dal Capo della Polizia, in ordine a una particolare tutela e sorveglianza che doveva essere messa in atto a protezione del dottor Borsellino… In effetti non appena ci fu purtroppo l’attentato di via d’Amelio, io mi recai a Palermo immediatamente… riunii i vertici dello Stato presso la Prefettura e credo di avere fatto la più veemente se non violenta intemerata che ho fatto nel mio ruolo di Ministro, affrontando di petto tutti quanti i presenti, vertici dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Finanza, Procuratori, Vice procuratori, Servizi. Era inammissibile, inaccettabile e prova ho di una colpevole incuria o di qualcosa di peggio, il fatto di non aver provveduto nemmeno a sorvegliare la casa della madre di Borsellino dove periodicamente si recava a desinare o per altri appuntamenti. Per la verità ottenni soltanto la rimozione del Prefetto o le sue dimissioni spontanee, non ricordo bene, mentre gli altri corpi si rinserrarono in un’autotutela. Ma, vede, la cosa che è ancora più inquietante è che mai nessuna indagine è stata aperta su questo punto… come ci si può sorprendersi del fatto che vi sono stati poi depistaggi se non c’è stata all’inizio protezione? Mi sembra, questa sì, una catena di responsabilità che vanno appunto dall’incuria colpevole fino a qualcosa di peggio che non saprei come definire, altrimenti che come forma di omertà o di omissione, più o meno consapevole.
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