Un progetto eversivo. Nel quale vanno collocate anche le due stragi dell’estate 1992, Capaci e via D’Amelio, e le altre stragi (consumate o mancate) del 1993 a Milano, Firenze, Roma. Insomma: tutto, fuorché una vendetta mafiosa per chiudere definitivamente i conti con i due magistrati palermitani
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Un progetto eversivo. Nel quale vanno collocate anche le due stragi dell’estate 1992, Capaci e via D’Amelio, e le altre stragi (consumate o mancate) del 1993 a Milano, Firenze, Roma. Insomma: tutto, fuorché una vendetta mafiosa per chiudere definitivamente i conti con i due magistrati palermitani. Sentiamo ancora Scarpinato.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Rinvio ai documenti allegati per tutta la puntuale certosina attività di riscontro effettuata dalla Dia su delega della Procura di Palermo circa la costituzione, a partire dal 1990 e sino al 1993, inizio 1994, di un numero elevato di movimenti leghisti nel sud con varie denominazioni: pugliesi, marchigiana, molisana, Sicilia libera… Tutte queste leghe avevano un unico comune denominatore: erano promosse da esponenti mafiosi, da massoni legati a Gelli, da esponenti della destra eversiva come Stefano Delle Chiaie. Tra i mafiosi, un ruolo di primo piano avevano avuto Vito Ciancimino, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano ed altri… Altri riscontri riguardano la rivendicazione di tutte le stragi con la sigla “Falange armata”, così come aveva imposto Riina. La sigla era stata coniata agli inizi del 1990 e utilizzata per la prima volta su indicazione di uomini dei Servizi.
L’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, capo dal 1991 all’aprile del 1993 del Cesis, l’organismo di vigilanza sui Servizi segreti, a seguito di un’indagine interna sui Servizi perverrà alla conclusione che dietro alla Falange armata si celavano alcuni uomini appartenenti alla settima divisione del Sismi che gestiva le operazioni di Gladio.
Riina si è venduto Cosa Nostra a qualcun altro?
Una strategia stragista condivisa con apparati deviati dello Stato, affidando a Cosa nostra i ruoli più operativi. A tutta Cosa nostra o a Salvatore Riina?
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Riina nel dicembre del 1991 convoca una riunione di tutti i capi mandamento componenti della commissione provinciale di Palermo e non dice una parola, una sola, sul piano di Enna; comunica ai capi mandamento soltanto che è iniziata la stagione dei regolamenti di conti, che bisogna uccidere Falcone e Borsellino e alcuni politici traditori che hanno voltato le spalle. Punto e basta. Su questo abbiamo le dichiarazioni convergenti di ben tre capi mandamento che hanno partecipato a quella riunione, Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Cancemi, i quali tutti e tre dicono di non sapere nulla del piano di Enna. Questo è molto interessante per capire come funzionava il sistema di compartimentazione dei segreti sotto l’egida di Riina. Il vertice della piramide, che è composta soltanto da alcuni capi selezionatissimi, fedelissimi a Riina, conosce tutto il piano; man mano che si scende lungo la piramide l’informazione viene alleggerita, spogliata delle causali che chiamano in causa soggetti esterni e viene data una spiegazione esclusivamente “interna”, coerente con gli interessi di cosa nostra: uccidere Falcone, uccidere i politici che hanno tradito.
Depistare le indagini
E qui torniamo ad Avola. Che di quella riunione riservata ad Enna è informato da chi vi partecipò, e ne riferisce in diversi processi. Anche lui è a conoscenza del piano stragista, sa di coperture dall’alto per quel progetto eversivo. Gliene hanno parlato: e lui riporta in udienza.
Poi, improvvisamente, incontra Santoro e resetta tutto: Capaci e via D’Amelio sono solo l’epilogo scontato di un antico rancore. E dietro Riina c’è solo Riina. Perché?
Questa l’opinione, raccolta in Commissione, dell’avvocato Antonio Ingroia, già Procuratore aggiunto di Palermo e stretto collaboratore di Paolo Borsellino:
INGROIA, già magistrato. Io ho parlato di effetto depistante delle dichiarazioni di Avola, riferendomi non a un depistaggio delle indagini, perché alla Procura di Caltanissetta hanno ovviamente ben chiaro come evitare determinati depistaggi. Ho parlato di effetto depistante soprattutto rispetto all’opinione pubblica in una fase abbastanza delicata in cui sono in corso processi, a cominciare dal processo trattativa Stato-mafia in appello, nel quale questo trattare tutte le stragi, come se fossero le stragi di sola mafia, finisce per avere appunto un effetto depistante. (…)
Avola non è nuovo a queste cose, perché nel momento in cui c’era maggiore clamore sulle posizioni di Antonio Di Pietro tirò fuori una dichiarazione in cui diceva che lui aveva partecipato in una riunione in cui Pacini-Battaglia e Cesare Previti avevano chiesto a Cosa nostra di eliminare Antonio Di Pietro. Indicò l’Hotel Excelsior di Roma: abbiamo fatto una verifica, non risultava alcuna presenza alberghiera e i personaggi in questione risultava che si trovavano altrove in quei giorni…
Dunque Avola non è nuovo a spargere fumo e millanterie attorno a sé. Resta comunque la domanda: perché Avola mente su via D’Amelio? Perché adesso? E per conto di chi?
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. C’è da chiedersi: è un’operazione ingenua oppure qualcuno ha deciso di far suicidare processualmente Avola per togliere credibilità ad altre sue importantissime rivelazioni, alle quali non posso fare cenno, che avrebbero consentito di identificare uno degli addestratori all’uso dell’elettronica per la strage di Capaci? C’è qualcosa che si sta muovendo oggi, la filiera non è finita e questo spiega perché quelli che sanno i segreti - da Biondino a Graviano, ad altri - non parlano.
Resta anche il fatto, incontrovertibile, che Paolo Borsellino sapeva di questo progetto eversivo. Gliene aveva parlato Leonardo Messina: esisteva un piano gestito non soltanto da Cosa nostra e vi erano dentro pezzi dello Stato. Un progetto di destabilizzazione della Repubblica.
Depistare le indagini su via D’Amelio forse serviva anche a questo: ad allontanare sguardi, domande e dubbi da quel piano. E dagli ignoti complici di Cosa nostra.
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