Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Gli spostamenti di Paolo Borsellino per andare a trovare la madre, dunque, erano assolutamente prevedibili. Noti ai colleghi e, di conseguenza, a chiunque avesse monitorato le abitudini del magistrato. Ragione in più per considerare inspiegabile il fatto che un obiettivo sensibile come via D’Amelio sia stato del tutto trascurato nel disporre le misure di sicurezza per Borsellino. Una miscela – nella più benevola delle interpretazioni - di incuria, superficialità, irresponsabilità. Perfettamente sintetizzata da quello che il procuratore Giammanco confessò candidamente davanti al CSM.

GIAMMANCO, già Procuratore di Palermo. Guardi, non sapevo nemmeno che Borsellino avesse la madre viva…

E anche con riferimento a questo aspetto, l’allora procuratore generale Siclari cerca di aggirare le critiche, lanciandosi in un ragionamento, diciamo, “pragmatico” sull’ineluttabilità del destino.

SICLARI, già Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Io non vi so dire se effettivamente Borsellino andava con frequenza (a casa della madre, ndr.). I divieti di sosta abitualmente si fanno dinnanzi alla casa dei magistrati. Ma a questo punto non basta neanche un divieto di sosta, perché e chiaro che lungo il percorso che io o un altro magistrato fa e che pur sempre con tutti i cambiamenti di strada che possiamo fare, sempre un percorso che ha dei punti obbligati, o perlomeno dei punti dove si passa molto frequentemente, basta mettere una macchina con una carica esplosiva e farla esplodere nel momento in cui il magistrato passa.

Nessuna bonifica in via D’Amelio

In ogni caso, se pur il Procuratore della Repubblica non sapeva (ammissione imbarazzante), la Questura di Palermo ne era perfettamente al corrente e l’attività di bonifica preventiva costituiva, di fatto, l’unico deterrente possibile rispetto al rischio di attentato che prevedesse l’utilizzo di esplosivi. Eppure, quella domenica di luglio via Mariano D’Amelio non viene bonificata prima dell’arrivo di Borsellino e della sua scorta. Perché? Lo abbiamo chiesto all’ispettore Giuseppe Garofalo, all’epoca di servizio al reparto volanti (e protagonista di un incontro singolare che avremo modo di approfondire nel prossimo paragrafo).

GAROFALO, ispettore di Polizia. In quel periodo sovente venivamo impiegati per fare delle bonifiche in obiettivi sensibili e se non ricordo male la via D’Amelio era un obiettivo sensibile visto che ci abitavano i parenti del dottore Borsellino. Quindi, sì, di tanto in tanto, quando lo richiedeva la scorta, la volante effettuava questa attività di bonifica, di controllo preventivo.

FAVA, presidente della Commissione. Come mai quel giorno, invece, non ci fu alcuna bonifica preventiva?

GAROFALO, ispettore di Polizia. Questo non lo so, posso presumere che non sia stata richiesta una bonifica perché era domenica, quindi, insomma, non c’era traffico, non ci dovevano essere parecchie macchine parcheggiate nella zona, sull’obiettivo, ecco.

Il punto non è tanto che fosse domenica, come dice Garofalo. È che nessuno degli agenti di scorta di quel turno era stato messo a conoscenza del fatto che via D’Amelio fosse una delle tappe obbligate di Paolo Borsellino. Semplicemente, nessuno li aveva informati. Ed è ancora una volta un Vullo assai provato a raccontarcelo.

VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Io il fatto della madre l’ho saputo dopo… Quel giorno, quando siamo partiti da Villagrazia di Carini, il dottor Borsellino ci aveva spiegato un po' dove era la via D’Amelio, perché noi non c’eravamo mai stati… e se avessimo saputo come era l’ubicazione, ci saremmo mossi diversamente… avremmo chiesto l’ausilio della bonifica in via D’Amelio almeno una mezzoretta prima, considerato che vi erano tutte quelle auto parcheggiate.

Ma in che cosa consiste l’attività di bonifica?

GAROFALO, ispettore di Polizia. Consiste nel controllare la zona interessata, controllare le targhe delle autovetture che sono parcheggiate nei pressi, verificare se ci sono dei soggetti che potrebbero destare dei sospetti, dei movimenti, insomma, tutto è legato anche a volte anche all’intuito di chi arriva ed effettua la bonifica… insomma, bisogna avere un occhio abbastanza clinico e cercare di capire se c’è qualcosa che non va.

Un’attività preziosa. Che quella domenica di luglio sarebbe risultata determinante per evitare la strage: bastava che fosse stata preventivamente controllata la targa della 126. Come ci confermano Vullo e Garofalo.

FAVA, presidente della Commissione. Ecco, ammesso che voi aveste potuto chiedere l’ausilio della bonifica, sarebbe stata determinante un’auto di bonifica? Avrebbe potuto scoprire qualcosa secondo lei?

VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Se ci fosse stata…

FAVA, presidente della Commissione. Perché la bonifica in una strada in cui c’è il divieto di fermata e c’è una macchina parcheggiata, ovviamente, si nota… ma in quel caso cosa avrebbe potuto fare un’auto per la bonifica?

VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Ma, con tutte quelle auto parcheggiate innanzitutto dovevano controllare le auto esternamente, poi se era un artificiere affiancato da un cinofilo sarebbe stato ancora più facile scoprire quella autobomba.

[…]

FAVA, presidente della Commissione. Lei è un poliziotto, un sottufficiale con una lunga esperienza: crede che se ci fosse stata un’attività di bonifica quella domenica pomeriggio si sarebbe potuto intuire qualcosa sull’auto imbottita di esplosivo?

GAROFALO, ispettore di Polizia. Io penso di sì! Penso di sì perché, se non ricordo male, l’autovettura che era carica di esplosivo era stata rubata, quindi, è una cosa che si fa automaticamente quella di controllare tutte le targhe delle auto parcheggiate nei pressi, quindi, penso di sì.

La verità manipolata

Insomma, la bonifica avrebbe potuto salvare la vita a Paolo Borsellino e ai cinque agenti di scorta. Tuttavia, come ci ricorda lo stesso Vullo, perfino davanti all’abitazione del giudice Borsellino la bonifica, sebbene richiesta, non sempre veniva svolta.

FAVA, presidente della Commissione. Invece, quando il dottor Borsellino tornava a casa c’era questa bonifica?

VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Ma, poche volte è arrivata l’auto di supporto, perché anche l’auto di supporto, purtroppo, o era impegnata oppure si cercavano un impegno perché la paura c’era.

SCHILLACI, componente della Commissione. Perché il giudice Borsellino non trovò la scorta al suo ritorno da Roma (dalla trasferta in Germania nel luglio 1992, ndr)? Con voi parlava, si lamentava magari di qualche disservizio?

VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. No, no. (…) Ma io penso che anche se non c’era la scorta, il giudice non avrebbe detto niente perché a lui stava bene che la scorta non c’era perché sapeva che… doveva essere eliminato e lui aveva molta più paura per noi che non per lui. (…)

C’era la paura a Palermo, in quei giorni. E non tutti, come il procuratore Giammanco, avevano a disposizione un buon broker assicurativo.

Un’ultima nota su Maurizio Avola che, nella sua lunga intervista a Michele Santoro, schernisce il sacrificio di Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina e Agostino Catalano, così come il trauma indelebile del sopravvissuto Antonio Vullo, definendoli – lo abbiamo riportato in precedenza – “quei poveretti addetti alla sicurezza” e sottolineando una loro colpevole disorganizzazione (“io non ci potevo credere. A poche settimane da Capaci un obiettivo così importante lascia da solo la macchina blindata, arriva davanti a un citofono senza protezione, si mette a fumare e aspetta per tutto quel tempo? È veramente incredibile!”).

Il depistaggio è anche questo. È la verità manipolata ex post, il goffo tentativo di scaricare sulle spalle dei morti le distrazioni dei vivi. Ed è importante, in questa sede, ribadire che quegli agenti di polizia furono mandati allo sbaraglio. Da soli. Informati poco e male. Non supportati da alcun servizio preventivo. Spediti ad affrontare 100 chilogrammi di tritolo armati solo delle pistole d’ordinanza, di qualche M-12 e dei giubbotti antiproiettili.

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