È il dicembre ’93. Scarantino chiede di parlare col direttore, che però in quel momento è in ferie. Tocca a D’Andria, all’epoca vicedirettore, parlare con il detenuto indicato nelle prime indagini come uno degli assassini di Paolo Borsellino. Scarantino chiarisce perché gli abbia voluto parlare: vuole parlare con i magistrati. È l’inizo della sua falsa collaborazione.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Insomma, quando Scarantino varca le porte del carcere di Pianosa, per l’amministrazione penitenziaria è tutto perfettamente in regola: il dottor Cerri non si è accorto di nulla, il dottor D’Andria s’occupava d’altro… La relazione del giudice di sorveglianza è già argomento che appartiene al passato. E il “terrorismo mentale e fisico” che denuncia di aver subito il picciotto della Guadagna?
CERRI, già direttore del carcere di Pianosa. Io le posso dire questo, il personale in servizio nella sezione Agrippa, quindi che poteva essere in contatto con il detenuto Scarantino, era un personale vagliato dal Ministero… ora, Scarantino non si è mai lamentato con me e io non posso che escludere… il personale che lavorava in quelle sezioni era un personale severo, ma legale… io mi ricordo che venivano i colleghi della Polizia di Stato a fare i colloqui investigativi, certamente si sarebbero accorti se noi avessimo usato dei metodi non all’altezza della situazione…
FAVA, presidente della Commissione. Voi avete ricevuto delle disposizioni specifiche al livello ministeriale su come dovesse essere gestita la detenzione carceraria di Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione?
CERRI, già direttore del carcere di Pianosa. Sono passati ventisette anni… non me lo ricordo se c’erano delle specifiche ministeriali su di lui…
FAVA, presidente della Commissione. Però ricorda che il personale che era addetto alla sua sorveglianza passava, diciamo, un vaglio particolare del ministero.
CERRI, già direttore del carcere di Pianosa. Sotto questo aspetto sì, di particolare fiducia, anche mia…
Quei colloqui in carcere
Il dottor D’Andria, invece, è testimone diretto di un episodio cruciale. È il dicembre ’93. Scarantino chiede di parlare col direttore, che però in quel momento è in ferie. Tocca a D’Andria, all’epoca vicedirettore, parlare con un detenuto che è stato indicato nelle prime indagini come uno degli assassini di Paolo Borsellino. Scarantino, dopo qualche tentennamento, chiarisce perché gli abbia voluto parlare: vuole parlare con i magistrati. Siamo agli albori della sua falsa collaborazione.
D’ANDRIA, già direttore del carcere di Pianosa. Io ricordo che mi incrociai con Scarantino nel periodo natalizio, nel ’93… La ragione era quella di poter conferire con l’autorità giudiziaria.
FAVA, presidente della Commissione. Fu messo in contatto con la procura di Caltanissetta?
D’ANDRIA, già direttore del carcere di Pianosa. Se ricordo bene mi pare che ci fu poi un colloquio investigativo con l’allora questore di Palermo.
FAVA, presidente della Commissione. La Barbera.
D’ANDRIA, già direttore del carcere di Pianosa. Con il compianto dottor La Barbera.
FAVA, presidente della Commissione. Di questi numerosi colloqui investigativi, lei ricorda soltanto l’episodio di La Barbera?
D’ANDRIA, già direttore del carcere di Pianosa. Non escludo che ci siano stati, poi, questi colloqui, però, nei particolari, non sono in grado…
I colloqui ci sono stati. E sono stati numerosi.
Il 24 giugno 1994 Scarantino incomincia a collaborare. Sulla base della sua “confessione” un mese più tardi, in concomitanza con il secondo anniversario della strage di via D’Amelio, vengono effettuati una serie di arresti.
Per le indagini è la svolta: ovvero l’inizio di un lungo inganno. I toni, in quei giorni, sono molto enfatici. Queste le dichiarazioni rese all’indomani del blitz dall’allora questore di Palermo, Arnaldo La Barbera e dalla dottoressa Ilda Boccassini, applicata alla Procura di Caltanissetta.
LA BARBERA, già Questore di Palermo. Io stesso sono andato un giorno ad arrestare Scarantino nella bottega di gesso di Profeta. I magistrati gli hanno contestato subito il concorso nella strage. È stato rinchiuso a Busto Arsizio e poi a Pianosa. Il 41 bis ha fatto il resto. Ci sono stati colloqui investigativi, ci sono stati interrogatori dei giudici, ma il 41 bis, il carcere duro insomma, secondo me è stato determinante per il suo pentimento.
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BOCCASSINI, già magistrato. Senza la collaborazione del direttore di Pianosa, di tutti gli agenti a cui va il nostro ringraziamento totale, non sarebbe stato possibile gestire con Scarantino nel carcere di Pianosa gli eccellenti risultati che noi stiamo ottenendo.
Pianosa, insomma, è un set importante per questa vicenda. Ed è qui, a Pianosa, che la storia di Scarantino incrocia quella di Gaetano Murana.
Il suo nome, come quello di tanti altri, lo fa Scarantino. Lo accusa di aver partecipato alla fase esecutiva della strage del 19 luglio 1992. Murana verrà poi condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza passata in giudicato. Solo grazie alla successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza e al conseguente giudizio di revisione la sua totale estraneità ai fatti verrà riconosciuta (e Murana verrà scarcerato dopo aver scontati 17 anni di ingiusta reclusione).
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