Bruno Contrada afferma: «La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: “Don Vincenzo”, non disse il capo, non disse il prefetto Parisi, “Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino”».
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Convitato di pietra in questa relazione e nella ricostruzione dei fatti di quella estate è il Sisde, il nostro servizio di intelligence interno (oggi si chiama Aisi). Al ruolo del Sisde nelle indagini su via D’Amelio abbiamo dedicato parti significative della nostra precedente relazione. Qui torniamo sul tema per spostare l’asse geografica della nostra indagine (dalla Sicilia a Roma) e per comprendere quali consapevolezze vi fossero – ai diversi livelli istituzionali - sull’accelerazione che Tinebra e Contrada imprimono alla pista Scarantino. E lo facciamo usando come nostra fonte il protagonista di quelle settimane: Bruno Contrada, a lungo audito da questa Commissione. Cominciamo a ricostruire ciò che accade la mattina successiva alla strage.
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: «Don Vincenzo», non disse il capo, non disse il prefetto Parisi, «Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino», e io in quel momento seppi che il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta si chiamava Giovanni Tinebra, non lo sapevo…
FAVA, presidente della Commissione. Non le disse se questa richiesta arrivava dal Procuratore o se era una richiesta del capo della Polizia?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Lui mi disse che era desiderio, volontà, del suocero (il capo della polizia Parisi, ndr.)... Credo che mi abbia accompagnato poi lo stesso dottor Costa che nell’occasione mi disse che lui conosceva bene il procuratore Tinebra da quando era Procuratore della Repubblica a Nicosia.
FAVA, presidente della Commissione. Costa le disse anche perché conosceva Tinebra?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Sì. No, non mi disse perché lo conosceva.
FAVA, presidente della Commissione. Chi partecipò all’incontro quella sera col dottor Tinebra?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io solo. Io solo.
FAVA, presidente della Commissione. Non ci fu il dottor Costa? L’accompagnò e basta?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Mi ha accompagnato e mi ha aspettato fuori, ma all’incontro c’ero io soltanto e in quella occasione conobbi il dottor Tinebra, il quale mi disse: «mi trovo in grosse difficoltà, perché io di mafia, specialmente palermitana, sono completamente all’oscuro, sono a zero, non so niente… mi è stato detto dal suo capo della Polizia “che lei è uno dei funzionari più preparati in materia di mafia palermitana o della Sicilia occidentale… Può darci una mano in questa indagine?».
FAVA, presidente della Commissione. Cosa rispose?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io gli dico: «signor Procuratore, io sono a disposizione per tutto quello che può essere utile, però tenga presente che io non posso svolgere indagini, perché non sono più ufficiale di polizia giudiziaria, sono un funzionario dei Servizi…». Fare indagini significava interrogare le persone, fare perquisizioni, ordinare pedinamenti, intercettazioni e tutta l’attività di polizia giudiziaria, interrogare testimoni, familiari delle vittime. «Tutta questa attività non la posso più svolgere, i nostri compiti sono a livello informativo e non più operativo, il nostro è un servizio di informazione», e questo era il primo punto; secondo punto: «io non ho più nessuna competenza, per quanto riguarda la Sicilia, perché il mio incarico è quello di coordinatore dei centri Sisde nella capitale e delle province del Lazio e quindi la mia sede di servizio è a Roma e lì è il mio ufficio»; terzo punto: «un mio eventuale intervento deve essere svolto in piena intesa, oltre naturalmente con l’autorità giudiziaria deputata a questa indagine, cioè con lei, anche con gli organi di polizia giudiziaria di Palermo»…
Il Sisde e la Procura di Caltanissetta
Tre riserve. Che – come sappiamo – vengono rapidamente superate. Il Sisde scende in pista nell’inchiesta su via D’Amelio accanto alla Procura di Caltanissetta. Anzi, per conto di quella Procura. Vediamo come.
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Ecco perché poi ebbi contatti con il capo della squadra mobile di allora di Palermo, Arnaldo La Barbera, lo invitai a venire nell’ufficio del Sisde a Palermo, credo due o tre giorni dopo. Poi telefonai al generale Antonio Subranni, che era il comandante del Ros dei Carabinieri e che conoscevo benissimo, eravamo anche amici perché avevamo passato tanti anni di servizio insieme a Palermo… Lui mi disse che a Palermo della strage se ne occupava anche il Ros, nella persona del maggiore Obinu. Contattai Obinu e lo invitai anche a venire al centro del Sisde di Palermo per riferire qual era stato il mio colloquio con il Procuratore della Repubblica…
FAVA, presidente della Commissione. Mi scusi, ma contattò anche i suoi superiori gerarchici, all’interno del Sisde, per far sapere di questa proposta e per essere autorizzato alla collaborazione?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Lo dissi pure al Procuratore della Repubblica, tra le varie obiezioni che avevo fatto, che avrei dovuto avere il beneplacito, il placet, dei miei superiori diretti. Erano tre: il direttore del Servizio, Prefetto Alessandro Voci; il vicedirettore operativo, Prefetto Fausto Gianni; il capo del terzo reparto da cui dipendeva il mio ufficio, dirigente generale della Polizia di Stato, Franco Di Biasi… Questo glielo dissi al Procuratore ed insistetti principalmente non con il prefetto Voci, il direttore generale del Sisde, ma con il suo vice con cui avevo maggiori rapporti, il prefetto Fausto Gianni, perché una volta avuto il beneplacito del direttore venisse a Palermo e parlasse anche lui con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta.
FAVA, presidente della Commissione. Le dissero i suoi superiori se di questa proposta di collaborazione era stato informato anche l’esecutivo, cioè il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Assolutamente no, non me lo dissero né si è parlato di questo argomento. L’unica cosa che il Prefetto Gianni non era molto entusiasta di venire giù a Palermo…
FAVA, presidente della Commissione. Quando ci fu questo incontro con il Procuratore Tinebra?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Glielo dico subito, anche l’orario, perché ho la mia agenda… Il 24 luglio, ore 9.30, aeroporto Punta Raisi, arrivo Prefetto Gianni, dottor Sirleo, dottor Sergio Costa da Roma… Poi Caltanissetta, dal Procuratore della Repubblica Tinebra, presenti anche il dottor Antonio De Luca, il dottor Ruggeri, il dottor Narracci. Ruggeri è il capo centro (della Sicilia, ndr.), Narracci era il vice e De Luca era un vecchio funzionario della Squadra mobile ed era il capo centro di Catania. Venne anche lui.
FAVA, presidente della Commissione. Sulla sua agenda, poi acquisita agli atti del processo che la vide imputato, c’è scritto “colloquio su indagini, stragi Falcone e Borsellino”.
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Questo argomento di questo termine, ‘indagini’, è stato oggetto di una lunga disquisizione, come dire: «ma allora tu hai fatto indagini?». È un termine inappropriato parlando dell’attività informativa del servizio, dipende anche dalla mia deformazione professionale, ogni attività in questo campo per me è un’indagine.
FAVA, presidente della Commissione. I suoi colleghi del Sisde. C’erano altri PM della Procura assieme al Procuratore Tinebra a quell’incontro?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Sì, ce n’erano perlomeno due, però non so indicare, uno sicuramente doveva essere il dottor Petralia, l’altro non lo so chi era… Invece poi nella colazione di lavoro lo stesso giorno, all’hotel San Michele… io pretesi che i miei vertici fossero presenti… Non volevo farla apparire come una mia, come dire…
FAVA, presidente della Commissione. Una sua iniziativa.
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Una cosa personale, non avendone nessun titolo…. Dissi al Procuratore della Repubblica: «noi in aderenza a quelli che sono i compiti del Servizio possiamo svolgere attività informativa. Io ritengo che allo stato sia opportuno attingere quante più notizie, informazioni sui gruppi di mafia che possono avere avuto una parte in queste azioni efferate di criminalità…».
FAVA, presidente della Commissione. Mi scusi, dottor Contrada, ma questo tipo di attività anche informativa di ricostruzione del contesto mafioso e delle famiglie palermitane che potevano essere coinvolte nelle stragi non sarebbe stato più naturale che fosse una delega investigativa per la polizia giudiziaria? Per quale ragione il Procuratore di Caltanissetta doveva chiedere al Sisde un’attività che avrebbe potuto svolgere, forse con più strumenti, la polizia giudiziaria?
CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Non è stato il Procuratore della Repubblica che ha chiesto di svolgere questa attività informativa, è stata una mia idea che ho prospettato al Procuratore… Io non credo che avrei potuto dire al Procuratore di Caltanissetta, che in quel momento iniziava la sua opera per questi fatti così gravi, “per avere informazioni rivolgiti ad altri”! Non me la sentivo di dire, in quel momento, “sono affari che non mi riguardano”.
L’opinione di Martelli, ministro della Giustizia
In realtà esistevano “altri” corpi di polizia giudiziaria, perfettamente attrezzati per esperienza e cultura investigativa, per indagare su Capaci e via D’Amelio. Certamente lo era la Direzione Investigativa Antimafia, di recentissima costituzione, che fu messa inopinatamente da parte dalla procura di Caltanissetta. E che invece avrebbe ben potuto svolgere il lavoro di raccolta d’informazioni e di profiling criminale che si intestò il Sisde. Com’è potuto accadere? Lo abbiamo chiesto all’allora ministro della Giustizia Martelli, all’allora ministro degli Esteri Scotti (ministro dell’Interno fino a qualche settimana prima) e al dottor Ingroia, stretto collaboratore di Paolo Borsellino.
MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Beh, che sia stato possibile lo apprendo da lei adesso… Era stata già istituita la DIA e l’Agenzia aveva riunificato dentro di sé, in posizioni paritarie per evitare di suscitare gelosie, i reparti di intelligence dei carabinieri, della polizia di Stato, della guardia di finanza… e dunque semmai era alla DIA che il dottore Tinebra avrebbe dovuto rivolgersi per averne collaborazione… Da quel che io mi ricordo non abbiamo mai avuto notizia di simili iniziative, di un simile coinvolgimento contra legem di servizi di intelligence nelle indagini. Anche qui, se si guarda a quello che è successo dopo, e che non sorprende, siamo sempre in quella catena di omissioni, di responsabilità e forse di peggio che comincia con la mancata protezione di Borsellino.
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SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Io sono stato contrario, nettamente, a tutte queste forme particolari di indagine e di investigazione, cioè devono esserci i corpi dello Stato e la DIA era stata pensata come un corpo dello Stato, non come un corpo di “emergenza”. C’è uno scritto di Falcone su questo, quando lui dice che ad ogni uccisione, strage o azione, viene subito riproposto di costituire un organismo ad hoc, lui dice che questa non è una cosa corretta e funzionale alla lotta alla mafia. Ne discutemmo con Falcone ed io aderii alla sua posizione: ho una diffidenza ed una ostilità a queste strutture speciali perché non consentono mai di avere chiarezza necessaria per controllare quello che si fa e a chi si risponde.
FAVA, presidente della Commissione. Lei era Ministro degli Esteri il 19 luglio. Ci fu un momento in cui in Consiglio dei Ministri, vista la gravità e l’atrocità di quello che era accaduto, alcune scelte vennero discusse insieme? Penso, ad esempio, alla decisione di creare questo corpo speciale di investigazione: se ne parlò mai all’interno del Consiglio dei Ministri?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Io non ricordo se ci fu una discussione specifica in Consiglio dei Ministri, può darsi… Tra l’altro io ero a Bruxelles quella domenica sera perché lunedì mattina avevo una riunione con i Ministri degli Esteri. Fui raggiunto in ambasciata dalla troupe della Rai.. ed io dissi che quello era il segno che non potevamo più giocare nella lotta alla mafia: o c’era una strada o non c’era. Ebbi una telefonata cui mi si chiedeva di non interferire in quanto non più Ministro dell’Interno.
FAVA, presidente della Commissione. Chi la chiamò?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Il mio capo di Gabinetto, il quale era stato incaricato di dirmi questo.
FAVA, presidente della Commissione. Era stato incaricato da chi?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Non lo so.
FAVA, presidente della Commissione. Non chiese al suo Capo di Gabinetto chi lo aveva sollecitato a farle quella telefonata?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Misi il telefono giù.
FAVA, presidente della Commissione. Ma qual è, secondo lei, la ragione di questa sollecitazione, cioè “fai il Ministro degli Esteri, non sei più Ministro dell’Interno”? Cos’è che preoccupava di ciò che lei aveva dichiarato?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Io l’ho presa in termini buoni, cioè non volevano confusioni.
FAVA, presidente della Commissione. Lei ebbe modo di confrontarsi col nuovo Ministro dell’Interno, Mancino, sulle scelte investigative?
SCOTTI, già Ministro dell’Interno. Mai.
FAVA, presidente della Commissione. Esistevano sul campo altre strutture investigative, diciamo, “normali” che avrebbero potuto lavorare al fianco della Procura di Caltanissetta su quelle indagini?
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INGROIA, già magistrato. Ovviamente. Innanzitutto, la DIA, la Direzione investigativa antimafia.
FAVA, presidente della Commissione. Che invece venne esclusa.
INGROIA, già magistrato. Venne esclusa da Caltanissetta. All’epoca il capo della DIA era Gianni De Gennaro che aveva un ruolo di stretta collaborazione in passato sia con Falcone, sia con Borsellino. E che poi, come vedremo nelle indagini successive, percepì alcuni temi che, evidentemente, a Tinebra non interessava coltivare, compreso quello della cosiddetta trattativa Stato-mafia.
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