Il Procuratore Teresi ha ricordato una confidenza che il padre fece a Manfredi Borsellino. Disse: «Se mi ammazzano mi possono ammazzare qua perché qua non è stato fatto nulla»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Nessuna indagine sulla sciatteria istituzionale con cui fu gestita la sicurezza di Paolo Borsellino. E sulla deliberata scelta di non ricorrere a tutti gli strumenti che la tecnologia metteva già allora a disposizione per meglio tutelare le personalità a rischio. Proprio due mesi fa, l’11 maggio 2021, infatti, il programma televisivo Le Iene ha mandato in onda un servizio a firma di Alessandro Politi il cui titolo è di per sé emblematico: “Falcone e Borsellino, le stragi si sarebbero potute evitare con il Bomb Jammer?”. Ecco la sinossi redazionale dell’inchiesta di Politi:
I magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli uomini delle loro scorte, uccisi nel 1992 in due attentati, si sarebbero potuti salvare? Entrambe le bombe sono state innescate con dei comandi a distanza: c’era uno strumento per evitare le stragi di Capaci e di via D’Amelio? Ci concentriamo su un’apparecchiatura, il Bomb Jammer, che può disturbare le frequenze radio bloccando così anche i comandi a distanza degli ordigni. Ce ne parla un uomo che ha collaborato come consulente per le più importanti procure, proprio usando il Jammer per proteggere i magistrati. In Italia questa apparecchiatura è arrivata negli anni ’80: lui l’avrebbe avuta per la protezione dell’auto del pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Per quelle di Falcone e Borsellino il consulente sarebbe stato bloccato dalla burocrazia. (…)
Dunque la tecnologia jammer, nel 1992 aveva già trovato applicazione a tutela di personalità istituzionali ritenute a rischio? Se sì, perché non venne installato nelle auto di Falcone e di Borsellino? Lo abbiamo chiesto all’ex Ministro Martelli:
MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Non saprei cosa dirle, francamente ignoro se a quell’epoca fosse disponibile, se ve ne fossero a disposizione della questura di Palermo e della Procura Generale cui compete la tutela della sicurezza dei magistrati.
I ricordi di Antonio Ingroia
Ironia della sorte, uno dei primi ad accorgersi dell’importanza della tecnologia bomb jammer in chiave preventiva era stato proprio Paolo Borsellino che, di ritorno dalla sua trasferta tedesca insieme alla collega Principato, entusiasta ne aveva parlato con Ingroia, così come quest’ultimo riferisce al Csm il 31 luglio 1992.
INGROIA, già magistrato. Lui rimase molto impressionato… dal sistema di protezione che per lui era stato predisposto allorché si recò con la collega Principato in Germania 15 giorni prima della strage… Mi accennò anche ad una macchina che, conoscendo prima l’itinerario che avrebbe fatto il corteo, andava a fare la cosiddetta bonifica… mi disse anche che questa macchina aveva un’apparecchiatura che consentiva di rilevare gli esplosivi…
Ed è sempre Antonio Ingroia a tracciare per questa Commissione un collegamento tra la vicenda del jammer e la mancata trasmissione della nota del Ros a Paolo Borsellino. L’ex pm non sembra credere alle coincidenze.
INGROIA, già magistrato. Oggi, rileggendo i fatti che abbiamo scoperto, stento a credere che possa essere stato tutto frutto soltanto di un imperdonabile leggerezza. Troppe cose si sono sommate. Abbiamo fatto riferimento a questa cosa del jammer di Di Pietro, spero che qualche autorità giudiziaria lo stia verificando in un modo o nell’altro.
Via Mariano D’Amelio, nell’estate del 1992, non è un luogo qualunque.
È lo scenario perfetto per l’organizzazione di un attentato: non c’è la zona rimozione, nessun presidio fisso. Piazzare un’auto imbottita di esplosivo è un gioco da ragazzi, reso ancora più facile dalla poca solerzia che le istituzioni competenti, centrali e periferiche, continuano a mostrare in quelle settimane in tema di prevenzione.
Anche Borsellino ne è consapevole, e di tale circostanza danno ampia testimonianza i magistrati Roberto Scarpinato, Teresa Principato e Vittorio Teresi nel corso delle loro audizioni dinanzi al CSM nel luglio 1992.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. La sorella di Paolo Borsellino ha detto a Teresa Principato: «Paolo mi disse, se mi ammazzano, mi ammazzano qua». Ebbene, in via Mariano D’Amelio non c’era una zona di rimozione; in via Mariano D’Amelio non c’era una garitta che consentisse di visualizzare i movimenti nella strada. Allora possiamo dire, con grande senso di responsabilità, che quella strage, in quel momento, con quelle modalità, non era un fatto inevitabile.
La domenica sempre dalla madre
PRINCIPATO, Procuratore aggiunto di Palermo. Paolo evitava di seguire dei percorsi abituali. Una sola abitudine aveva, una sola: quella di recarsi ogni domenica a casa della madre, spesso anche durante la settimana, questa era la sua abitudine irrinunciabile, di questo tutti noi sapevamo… Era l’uomo, il magistrato più a rischio in tutta Italia in quel momento. Non lo sapevamo solo noi.
TERESI, già Procuratore aggiunto a Palermo. Non è assolutamente vero che la visita alla madre da parte di Paolo fosse occasionale, fosse imprevedibile, vi spiego perché, io ho notizie di prima mano in quanto sono stato amico d’infanzia dei nipoti di Paolo Borsellino, cioè i figli della sorella Adele vedova Gaetani… Il martedì quando c’era ancora la bara di Paolo nella camera ardente del tribunale, sia Carmelo che Diego Gaetani che la signora Adele, abbracciandomi e piangendo mi hanno detto: «guarda Vittorio che Paolo ci diceva sempre che se avessero voluto lo avrebbero ammazzato o sotto casa nostra o sotto casa di Rita»… Me lo ha ribadito Manfredi Borsellino, il figlio, il padre gli aveva detto: «se mi ammazzano mi possono ammazzare qua perché qua non è stato fatto nulla». Non credo che queste cose Paolo le abbia soltanto dette ai suoi familiari come sfogo, evidentemente le avrà anche fatte presenti (a chi di dovere, ndr), ma quand’anche non le avesse fatte presenti, a ma pare che l’approccio sui sistemi di sicurezza intorno a Paolo Borsellino sia stato veramente discutibile.
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