Il gruppo di fuoco era una vera e propria struttura militare. Dapprima ne era capo Graviano Giuseppe e dopo Mangano Antonino. Salvatore Grigoli ha raccontato che, insieme a Mangano, c’erano Giacalone Luigi, Lo Nigro Cosimo, Spatuzza Gaspare, Giuliano Francesco, Tutino Vittorio, Romeo Pietro e Di Filippo Pasquale
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a don Pino Puglisi, parroco che aveva sfidato i boss del quartiere Brancaccio a Palermo offrendo ai ragazzi un’alternativa ai fratelli Graviano, ucciso nel 1993.
Come è noto, e come hanno ben argomentato i primi giudici, il potere mafioso si avvaleva, all’epoca dell’omicidio di Padre Puglisi, e si avvale tuttora, di gruppi che operano sul territorio a vari livelli per la realizzazione delle singole operazioni criminali, che vanno dalle estorsioni alle rapine, al traffico di armi e stupefacenti ai sequestri di persone e agli omicidi.
Questi ultimi venivano portati a compimento da speciali corpi armati, dotati di cospicui arsenali, inseriti in una vasta rete protettiva di covi e reticoli relazionali in grado di assicurare coperture e latitanze.
Tali squadre avevano compiti specifici diversificati: vi erano i picchiatori, gli addetti a bruciare i negozi, a rubare macchine, a riscuotere il pizzo, a fare le telefonate estorsive, ad eseguire sequestri di persone ed uccisioni.
Organizzava e sovrintendeva i vari gruppi criminali una figura dominante, dotata di carisma e di capacità gestionali, la quale era in genere candidata a succedere alla massima carica del mandamento.
Tale aspirante capo era anche colui che dirigeva il così detto “gruppo di fuoco”: l’unità militare armata che custodiva e maneggiava le armi ed uccideva sparando alle vittime designate.
Il gruppo di fuoco era una vera e propria struttura militare, composta da killers abilmente selezionati dagli uomini di vertice di Cosa Nostra, i quali, dopo un periodo di tirocinio nell’esecuzione di reati meno gravi e di attenta osservazione delle capacità operative dimostrate, destinavano i più abili all’esecuzione degli omicidi.
Questi soggetti, specializzati nell’esecuzione di omicidi, occupavano una posizione privilegiata all’interno dell’ambiente mafioso, perché autorizzati a custodire e maneggiare le armi.
Attorno al ristretto gruppo di fuoco ruotava, poi, una cerchia di altri personaggi di fiducia e di provata capacità in grado di fornire supporto, ausilio e sostegno logistico.
Il gruppo di fuoco in assetto operativo era, dunque, una formazione militare costituita da soggetti feroci autorizzati a sparare e da altri soggetti pronti ad intervenire in funzione di appoggio o per offrire copertura. Per quel che qui interessa, Grigoli Salvatore ha raccontato che era divenuto killer di fiducia di Mangano Antonino, il quale lo aveva aggregato ad un gruppo specializzato nel commettere omicidi.
Tale gruppo operava all’interno del mandamento di Brancaccio ed aveva avuto una composizione variegata man mano mutata nel tempo col ricambio di nuovi personaggi che sostituivano quelli receduti (come ad esempio Di Filippo Emanuele) o via via arrestati. Dapprima ne era capo Graviano Giuseppe e dopo Mangano Antonino.
Il capo del commando
Mangano Antonino era sostanzialmente il capo di un “gruppo di fuoco feroce che aveva a disposizione una serie di personaggi killer”; eseguiva gli ordini impartiti dai Graviano e, dopo l’arresto di questi ultimi, era divenuto addirittura reggente della famiglia e del mandamento di Brancaccio.
In particolare, il Grigoli ha riferito di aver fatto parte del “gruppo di fuoco” della famiglia mafiosa dei Graviano insieme a Mangano Antonino, coordinatore del gruppo stesso, Giacalone Luigi, Lo Nigro Cosimo, Spatuzza Gaspare, Giuliano Francesco, Tutino Vittorio, Romeo Pietro e Di Filippo Pasquale; di aver ricevuto dai fratelli Graviano, tramite il Mangano, l’ordine di uccidere il sacerdote; di avere incontrato occasionalmente quest’ultimo per strada, mentre ritornava nella sua abitazione; di avere, insieme allo Spatuzza, al Giacalone ed al Lo Nigro, organizzato nella immediatezza l’omicidio già deciso in precedenza; di avere sparato al sacerdote alla nuca con una pistola munita di silenziatore con l’aiuto dello Spatuzza, mentre il Giacalone ed il Lo Nigro si trovavano alla guida delle rispettive autovetture ad aspettarlo.
Or bene il collaborante Calvaruso Antonio ha riferito che del gruppo di fuoco di Brancaccio, all’epoca dei fatti in esame, facevano parte, oltre che il Grigoli, Mangano Antonino, Spatuzza Gaspare, Lo Nigro Cosimo, Giuliano Francesco, Tutino Vittorio e Giacalone Luigi. Impartivano loro ordini dapprima Giuseppe Graviano e, dopo l’arresto di quest’ultimo, Mangano Antonino, il quale, - sempre secondo rivelazioni dei collaboranti - era divenuto il nuovo reggente del mandamento di Brancaccio.
Il Calvaruso ha precisato, altresì, che quando Giuseppe Graviano era stato catturato facevano parte del citato gruppo Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone, Vittorio Tutino; dopo l’avvento del Mangano si sono aggiunti Pietro Romeo e Pasquale Di Filippo.
Il gruppo di fuoco disponeva di diverse basi operative nonché di una nutrita dotazione di armi e munizioni, la maggior parte delle quali, allorchè il gruppo operava sotto le direttive del Graviano, era custodita dagli appartenenti al mandamento di Brancaccio-Ciaculli, mentre il resto era nella disponibilità di quelli di Corso dei Mille.
Di Filippo Emanuele ha dichiarato che «la famiglia di Roccella era stata data in mano a Mangano Antonino, insieme al Giacalone e al Grigoli». Queste persone erano dedite alle stesse attività illecite del gruppo di fuoco di Brancaccio: omicidi, estorsioni ed altro.
Romeo Pietro ha aggiunto che il “gruppo di fuoco” era specializzato nell’eseguire i crimini più gravi: «...uccidere le persone...lupare bianche...estorsioni, stragi...». Lo dirigeva prima Giuseppe Graviano; dopo l’arresto di quest’ultimo, Antonino Mangano. In effetti, dalle tante prove acquisite agli atti del processo risulta che erano i Graviano a trasmettere ordini dal carcere, indicando le persone che dovevano essere soppresse; chi operava in concreto era, tuttavia, il Mangano, coordinatore di detto “gruppo di fuoco”.
Ciaramitaro Giovanni, cooptato nell’organizzazione mafiosa nell’anno 1993, infine, ha riferito che del gruppo di fuoco hanno fatto parte anche Giacalone Luigi e Spatuzza Gaspare, come aveva saputo da Giuliano Francesco.
Quanto alla costituzione del “gruppo di fuoco” facente capo alla famiglia mafiosa dei Graviano ed alla individuazione dei soggetti che ne hanno fatto parte, quindi, la dichiarazione del Grigoli ha trovato ampia conferma nelle convergenti dichiarazioni dei numerosi collaboranti prima indicati, di guisa che l’attribuzione dell’omicidio di Padre Pino Puglisi (dagli amici chiamato affettuosamente 3 P, in quanto tutto comincia con la lettera P) a tale gruppo, ritenuta dai primi giudici nell’impugnata sentenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla Difesa, è, tra l’altro, anche una deduzione logica pienamente condivisibile da questa Corte. Senza pregio alcuno, inoltre, deve ritenersi anche l’altra censura difensiva riguardante il periodo di costituzione di detto gruppo, tenuto conto che dalle dichiarazioni di alcuni dei suddetti collaboranti è emerso che la formazione era operante ancor prima dell’arresto dei fratelli Graviano e che il capo coordinatore della stessa era il Mangano, il quale, come già detto, ha preso il posto dei Graviano dopo il loro arresto.
Alla luce delle rivelazioni del collaboratori di giustizia, che hanno trovato pieno riscontro negli accertamenti investigativi, adunque, risulta acclarata l’esistenza, coevamente all’uccisione del parroco della chiesa di San Gaetano, di una formazione militare costituita da un gruppo di uomini ferocissimi, con a disposizione armi potentissime, pronti a commettere qualsiasi tipo di crimine, e con una sede come base operativa per torture, scomparse ed assassinii (la così detta camera della morte); la commissione, da parte di questa formazione, di una serie interminabile di gravi delitti nel territorio in genere e nel contesto sociale del quartiere di Brancaccio in particolare; la diretta subordinazione di questo gruppo di uomini alle necessità funzionali della famiglia mafiosa capeggiata dai fratelli Graviano; infine, la evidente utilità di questi delitti al consolidamento del potere criminale e di terrore esistente in quel quartiere.
Di conseguenza, l’attribuzione dell’omicidio del povero padre Puglisi al “gruppo di fuoco” operante all’epoca nel territorio di Brancaccio, come espressamente riferito dall’imputato collaborante Grigoli Salvatore e come esattamente argomentato e ritenuto dai giudici di prime cure, non può che essere confermata pienamente anche da questa Corte, essendo evidente l’utilità di detto delitto al consolidamento del potere mafioso esistente in quel quartiere periferico della città di Palermo.
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