La sera del 15 settembre 1993, l’agente della Polizia di Stato Paolo Restivo, mentre cenava nella propria abitazione, aveva udito delle urla provenienti dall’esterno. Affacciatosi al balcone, aveva notato il corpo di un uomo disteso vicino al portone di ingresso del civico 5 di Piazza Garibaldi. Accorso sul posto, aveva rinvenuto sanguinante ma ancora in vita padre Giuseppe Puglisi
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a don Pino Puglisi, parroco che aveva sfidato i boss del quartiere Brancaccio a Palermo offrendo ai ragazzi un’alternativa ai fratelli Graviano, ucciso nel 1993.
In un primo contesto processuale venivano giudicati gli esecutori materiali del crimine, ad eccezione dell’odierno imputato Grigoli Salvatore. Tutti sono stati già condannati alla massima pena dell’ergastolo, con sentenza ormai divenuta irrevocabile, sulla base delle stesse fonti di prova del processo in esame.
In altro processo venivano giudicati i fiancheggiatori ed i favoreggiatori degli sterminatori di morte operanti nel quartiere di Brancaccio, e tra questi il medico Mangano Salvatore, il quale, come persona insospettabile, gli assassini avevano posto a controllo degli spostamenti del prete una volta deliberata la decisione di ucciderlo.
Un terzo contesto processuale, quello che ci occupa, vede imputati due mandanti, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, ed uno degli esecutori materiali apertosi successivamente alla collaborazione, appunto Grigoli Salvatore.
E ciò perché il contenuto delle varie dichiarazioni rese nel tempo dai collaboratori di giustizia, in relazione all’omicidio del parroco di Brancaccio, è caratterizzato da un dato comune: il riferimento costante ai così detti reggenti della famiglia mafiosa di quella periferia della città di Palermo, sicuramente ed indiscutibilmente individuati nei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, e l’indicazione di Grigoli Salvatore, quale componente del “gruppo di fuoco” che operava in quel contesto ambientale.
Per cui, dette propalazioni ed i tanti elementi certi raccolti in sede di accertamenti investigativi ed acquisiti agli atti sono sfociati dapprima nella emissione di una ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei fratelli Graviano Giuseppe e Graviano Filippo, quali mandanti dell’omicidio del sacerdote, nonché nei riguardi di uno degli esecutori materiali del crimine, Grigoli Salvatore, e successivamente nella richiesta di rinvio a giudizio dei tre soggetti sopra indicati, regolarmente formulata dal Pubblico Ministero nelle forme e nei termini di legge.
Il “gruppo di fuoco” a processo
Con decreto del 21 novembre 1995 il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Palermo, su conforme richiesta del Procuratore della Repubblica, disponeva il giudizio davanti alla Corte di Assise della stessa città nei confronti di Graviano Giuseppe e Graviano Filippo, in stato di detenzione, e di Grigoli Salvatore, latitante, per rispondere, i primi due, dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio premeditato in persona di Padre Giuseppe Puglisi, detenzione e porto illegale di arma e duplice violenza privata ed il terzo dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio premeditato, detenzione e porto illegale di arma.
Nel processo di primo grado svoltosi avanti la Corte di Assise si costituiva ritualmente la comunità civile, in quelle articolazioni locali della Provincia Regionale e del Comune di Palermo. Non si costituivano, invece, la comunità ecclesiale ed i parenti dell'ucciso.
Dopo la regolare costituzione delle parti e la dichiarazione di apertura del dibattimento, il Pubblico Ministero svolgeva la relazione introduttiva, procedendo ad una dettagliata esposizione dei fatti posti a sostegno delle imputazioni e all’indicazione delle prove a carico degli imputati di cui chiedeva l’ammissione.
Quella Corte, indi, provvedeva alla ammissione delle prove orali, così come regolarmente dedotte, ed alla acquisizione delle prove documentali, così come ritualmente indicate dall’accusa e dalla difesa degli imputati.
Si procedeva, pertanto, in varie udienze discontinue nel tempo a causa della concomitanza con molti altri procedimenti nei quali i Graviano erano pure imputati, ad una lunga e complessa attività di istruzione dibattimentale, nel corso della quale venivano sentiti numerosi testimoni, i consulenti tecnici e molti imputati di reato connesso e venivano acquisiti, altresì, gli atti ed i documenti di volta in volta offerti dalle parti.
In particolare, l’agente della Polstato Restivo Paolo, il sovrintendente Passafiume, i consulenti tecnici Dottori Milone e Pugnetti, gli esperti balistici Farnetti e Azzolina, hanno parlato dei tempi e delle modalità di esecuzione del commesso omicidio nonché dell’arma utilizzata, circostanze, queste, che hanno permesso di ricostruire in maniera precisa e puntuale la dinamica dei fatti.
E’ emerso, così, che la sera del 15 settembre 1993, alle ore 20 e 40 circa, l’agente della Polizia di Stato Restivo Paolo, mentre era intento a cenare nella propria abitazione, aveva udito delle urla provenienti dall’esterno. Affacciatosi al balcone, aveva notato il corpo di un uomo disteso supino per terra parallelamente al portone di ingresso ubicato al numero civico 5 della Piazza Garibaldi. Accorso sul posto, aveva rinvenuto sanguinante ma ancora in vita padre Giuseppe Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano in Brancaccio, il quale, trasportato in autoambulanza al vicino ospedale Buccheri La Ferla, era successivamente deceduto a causa delle lesioni riportate.
Attraverso l’esame autoptico si accertava che la morte era stata causata da gravi lesioni cranio-encefaliche prodotte da un unico colpo di arma da fuoco, esploso da una pistola semiautomatica, munita di congegno di silenziatore, calibro 7,65, corto, entro il limite delle brevi distanze, con direzione dall’indietro in avanti, da sinistra verso destra e dal basso verso l’alto, ad opera di uno sparatore posto alle spalle della vittima e lievemente alla sua sinistra.
Il sacerdote era stato attinto alla regione retroauricolare sinistra mentre si trovava a brevissima distanza dall’ingresso della sua modesta abitazione, sita al civico 5 della Piazza Anita Garibaldi, nel quartiere Brancaccio, ed era stato colto nell’atto di aprire il portone e proprio nel momento in cui stava introducendo le chiavi nella serratura.
Nel corso del sopralluogo veniva rinvenuto il bossolo calibro 7,65, corto, e, in sede autoptica, veniva trovato un proiettile di pari calibro. Attraverso l’esame dei reperti balistici in sequestro si accertava, inoltre, che l’arma utilizzata, una pistola marca Beretta, calibro 7,65, modello 34 o 35, era munita di silenziatore.
Un sopralluogo effettuato nell’abitazione della vittima, infine, consentiva di rinvenire un milione cinquecento cinquantamila lire e cento dollari USA, mentre non si rinveniva il borsello che padre Puglisi era solito portare sempre con sé.
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