Il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi” denunciò per primo l'induzione da parte di alcuni padroni a far assumere ai braccianti indiani della provincia di Latina particolari sostanze dopanti come metanfetamine, antispastici e soprattutto semi di bulbi di papavero essiccati. Alcuni imprenditori agricoli locali dichiararono che era tutta un'invenzione
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tratteremo il tema del caporalato e del lavoro che diventa schiavitù, arricchendo padroni e padroncini.
«Noi siamo sfruttati e non possiamo dire al padrone: “ora basta”, perché ci manda via. Allora alcuni indiani pagano per prendere una piccola sostanza per non sentire il dolore alle braccia, alle gambe e alla schiena. Il padrone ci dice: “lavora ancora, lavora, lavora, forza, forza”, e dopo 14 ore di lavoro nei campi come è possibile lavorare ancora? In campagna per raccogliere le zucchine gli indiani lavorano piegati tutto il giorno, spesso in ginocchio. Non è possibile e allora quella sostanza li aiuta per vivere e per lavorare meglio. No tutti lo fanno. Solo pochi indiani prendono quella sostanza per non sentire il dolore. Ma a loro serve per arrivare a fine mese e prendere i soldi per la famiglia. Tu capisci?». Questo è quanto K. Singh diceva a In Migrazione nel 2014 nell'ambito della ricerca che portò alla pubblicazione del dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”.
Il dossier denunciò per primo l'induzione agita da alcuni padroni ad assumere da parte dei braccianti indiani della provincia di Latina particolari sostanze dopanti come metanfetamine, antispastici e soprattutto semi di bulbi di papavero essiccati quale parte residuale del papavero da cui in precedenza è stata estratta la componente necessaria per la produzione di eroina. Alcuni imprenditori agricoli locali dichiararono che era tutta un'invenzione. Soprattutto alcune categorie datoriali, in convegni e con comunicati vari, affermarono, ancora una volta, che si trattava di un fenomeno marginale, nonostante gli arresti che intanto le forze dell'ordine pontine stavano compiendo ai danni di spacciatori indiani che vendevano quelle sostanza sotto le serre dei padroni e nei pressi delle residenze dei lavoratori. «Ne ho conosciuti a centinaia – dichiara Deep che per circa quindici anni ha lavorato come bracciante in varie aziende e cooperative agricole pontine – di miei connazionali ma anche bangladesi che assumevano queste sostanza per reggere le fatiche dello sfruttamento del lavoro. Ne conosco alcuni che le assumevano anche la sera prima di dormire per riuscire a prendere sonno. I dolori muscolari erano infatti molto forti e quelle sostanze servivano anche come calmante e sonnifero».
Il doping in agricoltura
Deep ora ha in contratto di lavoro a tempo indeterminato per una azienda che rispetta rigorosamente contratti e legalità, ed è uscito dal girone infernale dello sfruttamento. In passato ha invece lavorato per aziende agricole tra i Comuni di Sabaudia e Latina ed ogni volta si è trovato dinnanzi a padroni e caporali che lo obbligavano a lavorare senza soste e a tacere. La questione del doping è stata trattata anche in un recente documentario prodotto da Smk Videofactory dal titolo chiaro “Tha Harvest”, che ha fatto il giro del mondo. Mentre la politica e alcuni media erano titubanti e alcuni imprenditori invece negazionisti, il fenomeno del doping si allargava a dismisura, generando dipendenza nei lavoratori indiani che cercavano dosi sempre maggiori o sostanze sempre più forti. Si sviluppavano parallelamente anche circuiti economici criminali legati alla produzione, spaccio e consumo di queste sostanze. E dove c'è economia criminale, c'è violenza organizzata. Il 6 settembre del 2019, ad esempio, i carabinieri di Sabaudia traggono in arresto in flagranza di reati due italiani, Barbieri e Sinisi, rispettivamente 53 e 36 anni, entrambi residenti a Latina. I due uomini stavano cercando di convincere un uomo di 55 anni di origini indiane a spacciare eroina per conto loro. Al rifiuto dell'uomo, questi hanno iniziato ad aggredirlo con un bastone di legno e spray urticante, rubandogli infine il portafogli, 2 collane in argento e 175 euro in contanti. Chi erano questi signori? Criminali in ascesa dopo i numerosi arresti operati in provincia di Latina a danno degli esponenti del clan Ciarelli e Di Silvio. Ad aprile del 2019, dunque pochi mesi prima del violento pestaggio, venne trovato il corpo senza vita di un giovane indiano di 26 anni. Era riverso all'interno dell'ex sito dismesso Svar di via Romagnoli, alle porte del centro di Latina. A dare l'allarme al 113 è stato un familiare che lo cercava. L’esame del medico legale non lascia spazio a dubbi: overdose. Sul corpo, infatti, come riporta la stampa, non ci sono segni di violenza e, in un raggio di pochi metri, sono state trovate numerose siringhe. Ovviamente nessuno si preoccupa delle ragioni di quella morte. Tutti invece si impegnano nel denunciare il degrado di quell'area. Insomma, il problema sono i calcinacci e la polvere del luogo e non la morte, drammatica ed evitabile, di un uomo. Ma perché eroina? Perché dopo la denuncia di In Migrazione il fenomeno non è stato affrontato con i dovuti strumenti, lasciando alle forze dell'ordine la delega ad intervenire come se si trattasse solo di ordine pubblico o di spaccio di droga. Servivano invece politiche sociali avanzate, condotte da amministrazioni locali e regionali all'altezza della sfida lanciata. Invece si sono prodotti solo arresti. Il risultato è stato il precipitare di decine di indiani dalle sostanze dopanti alle droghe pesanti come l'eroina, peraltro acquistata da spacciatori indiani in particolare nei mercati dello spaccio di Roma e di Castel Volturno, in Campania. Tutto questo peraltro ha determinato un ulteriore legame tra i sistemi di caporalato e sfruttamento dei braccianti indiani e le mafie autoctone e straniere. Un legame che poteva essere evitato.
«Io lavoro con gli indiani e i bangladesi da decenni – dichiara Benedetto, bracciante italiano impiegato in alcune aziende agricole locali – e li vedo prendere queste sostanze anche in questi giorni. Sono sostanze necessarie se devi lavorare dalle 4 del mattino alle 18.00 di sera nella raccolta dei cocomeri. A volte se li portano nelle borse, oppure arrivare lo spacciatore dentro la serra ed entra con l'approvazione del padrone. Io posso rifiutare perché ancora riesco a fronteggiare il padrone, ma loro non possono. Se rifiutano vengono mandati via e perdono la possibilità di percepire le retribuzioni passate e ancora non corrisposte. Siamo alla follia. Poi quando svengono al massimo vengono soccorsi con della grappa o del caffè corretto. Io dico loro di denunciare tutto, anche perché diventano sempre più dipendenti da quelle sostanze e questo li rende sempre più ricattabili. Guarda che io lavoro con loro e so bene quello che accade sotto le serre».
L’inchiesta dei carabinieri
Se qualcosa cambia è ancora per merito della Procura e delle forze dell'ordine. I Carabinieri del Nas di Latina, infatti, a maggio del 2021, concludono una complessa e fondamentale indagine chiamata “No Pain”, coordinata ancora una volta dal Procuratore aggiunto Carlo Lasperanza, insieme al sostituto procuratore Giorgia Orlando della Procura della Repubblica di Latina. Finalmente si arriva a dama. Viene infatti dato esecuzione a Latina e a Sabaudia a un ordine di carcerazione nei confronti di un medico di medicina generale di Sabaudia, a tre misure cautelari interdittive della sospensione dai rispettivi pubblici servizi, per la durata di 1 anno, all’indirizzo del medico, di una farmacista e di un avvocato, e a una misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Latina a carico di 1 cittadina di nazionalità marocchina. La politica ora grida allo scandalo ma solo dopo sette anni dal dossier di In Migrazione. I 4 soggetti sono indagati a vario titolo per illecita prescrizione di farmaci ad azione stupefacente, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, frode processuale, falso e truffa ai danni dello Stato. Le misure cautelari, emesse dal Gip del Tribunale di Latina, Giuseppe Molfese, sono state eseguite con il supporto di militari del Comando Provinciale Carabinieri di Latina.
Il medico di medicina generale in convenzione con l’AUSL di Latina rilasciava illecitamente, per finalità non terapeutiche, ai suoi 222 assistiti di nazionalità indiana (per lo più impiegati nel settore agricolo), circa 1.000 prescrizioni mediche (per la gran parte a carico del S.S.N.) per la dispensazione di oltre 1.500 confezioni di un farmaco stupefacente (con principio attivo ossicodone), accertando che l’assunzione del medicinale avveniva non per curare patologie degli assistiti ma per poter loro consentire di effettuare dei gravosi turni di lavoro, che la maggior parte svolgeva nel settore agricolo attestando falsamente esenzioni di ticket sanitario causando cosi un danno al Servizio Sanitario Nazionale quantificato in 24.128,10 euro; ha prescritto indebitamente 3.727 ricette indicando falsamente il codice di esenzione ticket a favore di 891 pazienti provocando un danno al Sistema Sanitario Nazionale per 146.052,89 euro; prescriveva farmaci, a carico del SSN, mai consegnati ai pazienti intestatari delle ricette, il cui costo veniva rimborsato alla farmacista indagata e destinataria di misura interdittiva; in concorso con gli altri indagati, formava falsi certificati medici finalizzati all’illecita regolarizzazione di cittadini non comunitari, attestando falsamente la loro presenza sul territorio nazionale prima dell’8 marzo 2020; redigeva, in concorso con un avvocato del foro di Latina, peraltro referente politico di Fratelli d'Italia, un certificato medico in favore di un 51enne del luogo già colpito da “ordine di esecuzione per la carcerazione e decreto di sospensione del medesimo”, attestante false patologie psichiatriche da utilizzare per ottenere una misura alternativa alla detenzione. “Il problema è che non ci sono controlli – afferma Benedetto – anche se qualcosa in più si sta facendo. Io penso che senza noi braccianti i padroni non esisterebbero, nel senso che la loro prepotenza e ricchezza deriva dalla nostra subordinazione e dallo stato di sfruttamento che consente loro di spremerci come limoni. Lo Stato dovrebbe prevenire lo sfruttamento facendo controlli seri e continui. Il doping è la conseguenza dello sfruttamento e non la premessa. Solo sconfiggendo lo sfruttamento e le prepotenze, riusciremo a sconfiggere le agromafie e i padroni che pensano di essere intoccabili ma sono solo vigliacchi che se ne approfittano perché arricchiti con le nostre fatiche”. Doparsi per lavorare come schiavi non è un comportamento perverso ma in linea con un sistema di produzione fondato sullo sfruttamento e sull'omertà.
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