«Come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se all’inizio non c’è stata protezione nei confronti di Paolo Borsellino?», è il commento dell’ex Ministro Claudio Martelli
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Lo ha detto senza mezzi termini dinanzi questa Commissione l’ex Ministro della Giustizia Claudio Martelli: come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se all’inizio non c’è stata protezione nei confronti di Paolo Borsellino?
Non è la prima volta che Martelli propone una considerazione di questo tipo. Era già successo durante le indagini sulla strage di via D’Amelio quando, nella veste di testimone, viene sentito dal Procuratore di Caltanissetta Tinebra e dai suoi sostituti.
MARTELLI, già Ministro della Giustizia. La cosa che mi colpì è che anche a loro prospettai la questione della mancata protezione, della mancata tutela di Borsellino, ma la cosa lasciò Tinebra del tutto… «sì, sì», come se fosse un aspetto trascurabile e tutto l’interrogatorio poi che mi riguardò… mi ha dato la sensazione di essere un rito puramente formale, insomma, che non è che cercasse neanche spunti investigativi, suggestioni, fantasie o qualche fatto. Il fatto più grave l’avevo bello che sciorinato, ma su quello non s’è dato pena di fare alcun approfondimento.
Secondo quanto riferito da Martelli, dunque, il fatto che il dispositivo di sicurezza intorno a Borsellino presentasse più di una criticità non costituiva in quel momento per la procura nissena un elemento da approfondire e comunque da suggerire piste investigative degne di rilievo. Come se si fosse trattato solo di semplici disguidi. Aggiungiamo, come se attorno a Paolo Borsellino in quelle settimane tra Capaci e via D’Amelio non si fossero addensati presagi, avvertimenti, minacce, disvelamenti che avevano tutti (come vedremo nelle pagine che seguono) un comune denominatore: attentare alla vita del magistrato palermitano.
Facciamo un passo indietro e torniamo a sabato 23 maggio 1992. Una sola certezza riesce a farsi strada tra le macerie fumanti dell’autostrada A29: con l’uccisione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino diventa agli occhi dell’opinione pubblica, dei suoi colleghi, del governo, delle forze dell’ordine “il prossimo della lista”: se qualcosa accadrà, sanno e temono tutti, avrà come obiettivo il giudice Borsellino. E allora cosa succede? Niente! Parte soltanto un silenzioso conto alla rovescia che durerà per cinquantasette giorni. Fino a metà giugno, ci spiega Antonio Vullo, la scorta di Borsellino non ebbe alcun rafforzamento.
Senza neanche vigilanza fissa
FAVA, presidente della Commissione. Ci furono procedure particolari di sicurezza adottate (per Borsellino) dopo la strage di Capaci?
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Quando ho preso in custodia il giudice Borsellino siamo andati subito in via Cilea (dov’era l’abitazione del giudice, ndr.). Io immaginavo di trovare un bunker perché dopo la strage di Capaci pensavo che tutelare il giudice Borsellino fosse doveroso anche perché sapevamo tutti che dopo Falcone toccava a Borsellino, lo sapeva anche la gente comune. Solo che quando siamo arrivati… non c’era la vigilanza fissa e questo ci ha dato molto da pensare: eravamo solo un’auto con tre componenti e dovevamo controllare il box interno all’edificio dove abitava il giudice, l’androne, le scale, l’ascensore e tre uomini non sono sufficienti. (…) Difatti il giorno successivo chiedemmo l’ausilio della volante per fare la bonifica quando si arrivava all’abitazione del giudice Borsellino… Poi si sono fatte relazioni perché c’era bisogno della vigilanza fissa, e credo intorno al 16 o 17 di giugno sia stata messa sia la vigilanza fissa del reparto mobile di Palermo e sia una seconda auto che faceva un turno in seconda, ossia 8-14 e 14-20, mentre la scorta, di cui io facevo parte, faceva anche la sera e la notte.
FAVA, presidente della Commissione. Quindi dal 16 o 17 giugno eravate due auto più quella del dottore Borsellino che però aveva un autista del Ministero.
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Un autista giudiziario, sì, però il sabato pomeriggio e la domenica guidava sempre lui.
FAVA, presidente della Commissione. L’autista non era in servizio?
VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Non era in servizio.
Riepiloghiamo: muore Giovanni Falcone ma il dispositivo di protezione nei confronti di Paolo Borsellino per diverse settimane non viene modificato: una sola auto, nessuna bonifica a casa, nessun posto fisso sotto l’abitazione, nessun divieto di sosta davanti all’abitazione della madre in via D’Amelio... Alcune di queste misure verranno successivamente migliorate ma solo per le relazioni di servizio che gli agenti di scorta si impuntano a trasmettere ai loro uffici. Se non fosse stato per loro, e per le premure del collega Gioacchino Natoli1, il livello di protezione sarebbe rimasto minimo.
Resta inspiegabilmente priva di qualsiasi vigilanza l’abitazione materna di via D’Amelio, nonostante fosse una delle poche frequentazioni abituali del giudice Borsellino, come ha avuto modo di spiegare la moglie Agnese durante il processo di primo grado del “Borsellino 1”:
TESTE PIRAINO A.: Credo che il punto più vulnerabile era proprio questo dove abitava la mamma.
P.M. dott.ssa PALMA: Perché ci dice così?
TESTE PIRAINO A.: Perché i suoi spostamenti erano limitatissimi e sempre gli stessi: il Palazzo di Giustizia, la chiesa di fronte casa nostra e la mamma, dove lui andava sia per vederla sia per prestare quell'assistenza che era necessaria allorquando lei non stava bene. (…) E tutte le domeniche andava dalla mamma a trovarla. Sempre.
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