Sono una ventina i chilometri che separano Capaci dalla Kalsa e dai suoi vicoli arabi. Il quartiere è dall’altra parte del golfo di Palermo. Chiese sconsacrate, palazzi cadenti, tuguri abbandonati. Ma non è ancora tutta in disfacimento la Kalsa di quel 18 maggio del 1939 quando, in una famiglia della piccola borghesia siciliana, arriva Giovanni Falcone
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.
Sono una ventina i chilometri che separano Capaci dalla Kalsa e dai suoi vicoli arabi. Il quartiere è dall’altra parte del golfo di Palermo, via Castrofilippo è nascosta lì, dietro la piazza quadra della Magione. Chiese sconsacrate, palazzi cadenti, tuguri abbandonati. Ma non è ancora tutta in disfacimento la Kalsa di quel 18 maggio del 1939 quando, in una famiglia della piccola borghesia siciliana, arriva Giovanni Falcone.
C’è una Kalsa signorile abitata da commercianti, insegnanti, impiegati di pubblici uffici e poi c’è la Kalsa del porto, dei marinai, dei contrabbandieri, delle buttane e delle canaglie che si aggirano nei bassi. Il padre Arturo è un funzionario della Provincia, il direttore dell’Istituto di Igiene e Profilassi. La madre Luisa Bentivegna bada alla casa.
Ci sono già altri figli, due femmine: Maria che ha tre anni e Anna che ne ha nove. Arturo Falcone viene ferito nel primo conflitto mondiale, nel cranio ha un osso scheggiato. Uno zio paterno, Giuseppe, capitano d’aviazione, è abbattuto in combattimento. Uno zio materno, Salvatore, parte volontario e cade sul Carso colpito da una granata. È ancora tempo di guerra – un’altra guerra – e i Falcone sfollano per evitare i bombardamenti. Prima trovano riparo a Sferracavallo, poi nelle campagne intorno a Corleone da dove provengono i nonni materni. Tornano alla Kalsa dopo il 1945. L’educazione è rigorosissima.
«Mio padre si vantava di non avere mai bevuto al bar una tazzina di caffè», racconterà anni dopo il giudice. I genitori sono molto devoti. Giovanni cresce e serve messa a Santa Teresa, chierichetto. Il parroco è padre Giacinto, un carmelitano scalzo. A cinque anni le elementari al Convitto Nazionale, giocattoli fatti in casa, soldatini di piombo. Qualche volta una partita di pallone nello spiazzo della Magione, accanto alla bellissima basilica normanna.
Il primo “incontro” con Borsellino
Fra i ragazzini che si rincorrono c’è anche Paolo Borsellino, il figlio del farmacista di via Vetreria, quella a due passi dall’abitazione di Giovanni Falcone. Si conoscono da bambini. Si ritrovano trentacinque anni dopo in Tribunale. Muoiono insieme, a cinquantasei giorni l’uno dall’altro. Il liceo classico nel 1954. Le letture che condizionano le sue scelte, Mazzini, Marx, i libri di storia. Giovanni Falcone porterà sempre nel cuore il ricordo di Franco Salvo, il suo professore di filosofia all’Umberto I. Medico o ingegnere? Dopo la maturità con il massimo dei voti sceglie d’istinto: entra all’Accademia Navale di Livorno. Suo padre non approva e lo iscrive, senza dirglielo, a Giurisprudenza. Giovanni Falcone non resta molto in Accademia, la vita militare non gli piace. Lo mandano allo Stato Maggiore, si congeda e torna a Palermo. Si laurea in legge. Non pensa di diventare avvocato. E troppo incerto è il percorso per la carriera notarile senza un notaio in famiglia. Decide che farà il giudice.
È ancora un ragazzo. Le gite a Mondello, i balli il sabato sera nelle case degli amici, il canottaggio e il nuoto. È in quei mesi che conosce Rita Bonnici. È bella, bruna, Giovanni Falcone se n’innamora, nel 1964 si sposano. Ha appena vinto il concorso per entrare in magistratura. Il matrimonio, una nuova casa. Ci sono tutte le premesse per un’esistenza ordinata, senza scosse.
Ma il destino ha riservato altro a Giovanni Falcone. Uditore giudiziario a Palermo nel 1964, pretore a Lentini nel 1965, nel 1966 il trasferimento a Trapani. La città è piccola, il Tribunale un avamposto della giustizia. Sono pochi e fa di tutto: penale e civile, il sostituto procuratore, il giudice istruttore, il magistrato di sorveglianza. Trapani è una città mafiosa dove non accade mai niente. Tutto è sotto controllo, tutto è velato. Mai un omicidio, mai un botto che disturba. I rapporti con i colleghi sono cordiali, le relazioni fuori dal Palazzo di Giustizia piacevoli. Giovanni Falcone frequenta anche qualche avvocato. In quegli anni, i suoi familiari ricevono poche notizie da lui, sentono però che qualcosa è cambiato. Dagli sporadici incontri, per le feste comandate, si sono fatti l’idea che si è allontanato dalla fede ed è diventato comunista. Le sue sorelle sono turbate, Giovanni Falcone le rassicura. È sempre lo stesso. Più colto, più informato, più libero.
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