È interessante comprendere quanto, nonostante gli sforzi ed i risultati ottenuti dalla magistratura e dalle forze di polizia, di fronte alla potenza economica accertata della ‘ndrangheta sia risibile il livello dell’aggressione ai suoi patrimoni.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.
La forte incidenza della vera e propria patologia calabrese nella gestione ed erogazione dei fondi comunitari, legata anche al livello di penetrazione della ‘ndrangheta nelle istituzioni pubbliche, a vario titolo coinvolte nei procedimenti amministrativi di erogazione dei fondi, è ricavabile anche dall’analisi dei casi di frodi complessivamente svolta a livello annuale dall’Olaf.
L’incidenza finanziaria totale delle irregolarità, compresi i sospetti di frode, stimata per l’intera Unione Europea, era stata, nel 2006, di 1.155,32 milioni di euro, con 12.092 irregolarità comunicate da tutti gli stati membri. Il dato inquietante è che nella sola Calabria, con una popolazione pari a circa lo 0,4 per cento di quella europea, si consuma l’1,58 per cento del totale delle frodi ai danni del bilancio comunitario e le indebite percezioni in Calabria ammonterebbero a circa il 6,54 per cento del totale comunitario.
A fronte del quadro appena descritto risulta evidente che il rafforzamento economico e finanziario della ‘ndrangheta è passato anche attraverso una paziente ed incessante opera di appropriazione indebita di pubblici finanziamenti destinati al sistema delle imprese.
Questo costante travaso non è stato e non è sufficientemente contrastato dalle pubbliche amministrazione regionali e locali, anche quando esse non risultano contigue o non favoriscono direttamente le indebite appropriazioni.
Così come, assolutamente insufficiente appare la legislazione in materia di controlli sui procedimenti di aggiudicazione, lasciati esclusivamente al potere di auto-organizzazione delle stesse amministrazioni erogatrici dei finanziamenti, creando un meccanismo di commistione e di autotutela reciproca tra controllori e controllati.
Il potenziale economico della mafia calabrese, la capacità pervasiva dei suoi capitali ed il suo dinamismo sui mercati internazionali ripropongono la centralità dell’aggressione alle ricchezze ed ai capitali mafiosi per incrinare la forza delle cosche sul territorio e la loro capacità di conquistare consenso sociale.
Nel corso della XIII legislatura la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia approvò una relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria in cui veniva posto l’accento sul divario crescente tra ricchezze criminali e numero e valore dei beni individuati, a loro volta di gran lunga maggiori rispetto a quelli posti sotto sequestro ed a quelli poi fatti oggetto di confisca.
L’inchiesta condotta da questa Commissione ha consentito, in più occasioni, di riscontrare il permanere delle difficoltà in cui versa l’azione di contrasto patrimoniale; difficoltà accentuate dalla scelta operata dalle cosche di separare nettamente i canali della conduzione materiale del traffico di sostanze stupefacenti dai canali finanziari (attraverso cui vengono effettuati i pagamenti relativi al traffico di stupefacenti e gli investimenti dei profitti illeciti) e rese plasticamente visibili dall’enorme divario tra beni sequestrati e beni confiscati. È interessante comprendere quanto, nonostante gli sforzi ed i risultati ottenuti dalla magistratura e dalle forze di polizia, di fronte alla potenza economica accertata della ‘ndrangheta sia risibile il livello dell’aggressione ai suoi patrimoni.
I beni confiscati
Secondo i dati forniti dall’Agenzia del Demanio ed aggiornati al dicembre 2006, sul territorio della Calabria insistono 1.093 beni immobili confiscati dal 1982 al 2006, pari al 15 per cento degli immobili confiscati in totale sul territorio nazionale. Più in dettaglio, sul totale di 1.093 beni immobili confiscati, la consistenza per tipologie è la seguente: abitazioni 562, pari al 51,4 per cento del totale; terreni 363, pari al 33,2 per cento del totale; locali 122, pari all’11,1 per cento del totale; capannoni 18, pari all’1,6per cento del totale; altri beni immobili 28, pari al 2,6per cento del totale.
Per quanto concerne il rapporto tra il territorio calabrese e l’attività di confisca, i beni immobili confiscati nella regione sono 886, pari al 12 per cento del totale nazionale confiscato. All’esito di recenti indagini giudiziarie è stato accertato che, sul totale di 1.093 beni immobili confiscati esistenti nel territorio calabrese, oltre 800 sono i beni immobili confiscati nella sola provincia di Reggio Calabria; di essi, poco più di 300 risultano consegnati dall’Agenzia del demanio alle competenti amministrazioni comunali.
Dall’indagine è emerso che gli immobili confiscati e consegnati a 25 comuni della provincia di Reggio Calabria, compreso il comune capoluogo, hanno avuto la seguente sorte: - sono stati assegnati ad enti e/o associazioni con notevole ritardo; - alcuni di essi non sono stati mai assegnati ad alcun ente; - altri ancora risultano in uso e/o nella disponibilità dei soggetti nei cui confronti lo Stato aveva proceduto alla confisca.
In relazione ai fatti appena riportati in sintesi, sono state accertate responsabilità di rilievo penale a carico di amministratori e funzionari di 25 comuni della provincia di Reggio Calabria, compreso il comune capoluogo.
Peraltro, in alcuni casi sono state accertati diretti legami di parentela tra amministratori e funzionari dei Comuni in questione e soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta. Le condotte accertate nel corso delle indagini sono sintomatiche, da un lato, delle difficoltà a rendere efficace un’azione che miri alla sottrazione alle cosche della disponibilità di beni di provenienza illecita; dall’altro lato offrono la possibilità di comprendere quanta resistenza oppongano le organizzazioni colpite da provvedimenti di sequestro o confisca dei beni.
Un esempio dell’arrogante potere esercitato dalle cosche sul territorio anche con riferimento all’azione che lo Stato riesce a portare avanti in questo campo, può essere tratto dal comune di Gioia Tauro, ove sono state riscontrate situazioni in cui soggetti appartenenti a cosche molto forti come quelle facenti capo alle famiglie Piromalli e Molè hanno ancora nella propria disponibilità i beni ad essi confiscati; a ciò si aggiunga l’opposizione e la reazione delle cosche all’assegnazione dei beni confiscati a finalità sociali, come previsto dalla legge 109/1996: a tal proposito, non si può dimenticare, per restare agli avvenimenti degli ultimi tempi, la distruzione dei macchinari e danneggiamenti ai capannoni della cooperativa agricola Valle del Marro - Libera Terra nell’estate del 2007. […].
Simile la situazione per le aziende confiscate alla ‘ndrangheta. Dai dati forniti dall’Agenzia del Demanio emerge che nel periodo 1982/2006 in Calabria sono state confiscate 59 aziende, pari al 7per cento del totale delle aziende confiscate su scala nazionale. Più in dettaglio, la tipologia di beni aziendali confiscati risulta la seguente: imprese individuali 35, pari a circa il 60 per cento del totale; società in nome collettivo 5, pari all’8,5 per cento del totale; soc. in accom. semplice 9, pari a circa il 15per cento del totale; soc. a responsab. limitata 9, pari a circa il 15per cento del totale; società per azioni 1, pari a circa l’1,5per cento del totale.
Rispetto al dato nazionale si rileva una differenza: la maggior parte delle aziende confiscate, circa il 60per cento, è costituita da imprese individuali, alle quali si aggiunge circa il 24per cento di società di persone (s.a.s. e s.n.c.). La media nazionale, invece, evidenzia che il 51per cento delle aziende confiscate è rappresentato da società di capitali.
Le aziende confiscate operavano nei seguenti settori: costruzioni (16), commercio (18), alberghi e ristoranti (2), agricoltura (14), trasporti e magazzinaggio (3), manifatturiero (2), estrazione di minerali (1), pesca (1), altre attività (2).
Questi dati molto parziali indicano la tendenza della ‘ndrangheta ad investire nei settori del commercio, delle costruzioni e dell’agricoltura.
Anche per la Calabria, infine, si confermano i gravi limiti, fino al danno per la credibilità del contrasto ai patrimoni ed alle ricchezze mafiose, dell’azione dell’Agenzia del Demanio nella gestione dei beni. Si ripropone, quindi, l’esigenza di un suo superamento parallelo all’adeguamento dell’intera legislazione sulla materia
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