In sostanza il compito affidato ad Aldo Ercolano fu quello di rendere palese al clan quella che era stata la decisione del capo supremo e di far sì che si passasse celermente agli aspetti organizzativi ed operativi dell’omicidio.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
In sostanza il compito affidato ad Aldo Ercolano fu quello di rendere palese alla consorteria quella che era stata la decisione del capo supremo e di far sì che si passasse celermente agli aspetti organizzativi ed operativi dell’omicidio.
E un compito siffatto Ercolano espletò subito già nell’immediato, cooptando nella esecuzione del delitto Cortese Antonino, che venne direttamente presentato a Santapaola in occasione dell’incontro avvenuto a Siracusa nella casa della Amato: per come si è detto sopra, la autoaccusa di Cortese in ordine alla partecipazione all’omicidio di Fava (confidata a Pattarino e da questi rivelata) appare scarsamente attendibile e quindi non è noto agli atti del processo quale sia stata in concreto l’attività spiegata dal Cortese, ma è verosimile che egli abbia svolto degli appostamenti in quel di Palazzolo Acreide, dove si era in un primo tempo cercato di eseguire l’omicidio di Fava, che era nativo di quelle parti (per come si deduce proprio dalla dichiarazione della Amato) e dove avrebbe potuto essere sfruttato il rapporto di frequentazione che vi era tra Santapaola Piera e Filloramo Francesco (rispettivamente sorella di Benedetto Santapaola e cognato dello stesso) con Nigro Maria, che lavorava quale domestica in casa di Fava Elena (figlia di Giuseppe Fava) ed era originaria anch’essa di Palazzolo Acreide.
Venuta meno e comunque sfumata la opzione Cortese per motivi che non sono noti agli atti, Aldo Ercolano pensò bene di riferire ad Avola Maurizio che «lo zio si lamentava che si doveva portare a compimento l’omicidio», con ciò implicitamente officiando lo stesso Avola in ordine al compito di organizzare l’omicidio e sollecitando lo stesso ad eseguire il delitto, per come nel processo è stato riferito chiaramente dallo stesso Avola, il quale ha dichiarato in maniera del tutto inequivoca che Aldo Ercolano si fece portatore presso di lui appunto di una impellente volontà di Benedetto Santapaola di procedere alla uccisione di Fava, anche perché nel frattempo a seguito del venir meno della opzione Cortese si era perso del tempo prezioso e la uccisione di Fava era divenuta assolutamente improcrastinabile, ragion per cui Aldo Ercolano ritenne appunto di cooptare Avola, il quale, a scapito della giovane età, era già divenuto, sia pure da poco tempo, uomo d’onore e mostrava già all’epoca doti certamente superiori alla media nella organizzazione ed esecuzione di piani omicidiari.
Dichiarazioni attendibili
Nessun dubbio può nutrirsi con riferimento alla attendibilità intrinseca della dichiarazione della Amato e del Pattarino, che grande rilievo hanno in ordine alla posizione di Santapaola ed Ercolano.
Ed, invero, innanzi tutto deve rilevarsi, in ordine alla autonomia di dette dichiarazioni, che trattasi di contributo narrativo assolutamente originale, dato che nessuno prima aveva mai riferito dei contatti intercorsi tra Santapaola ed Ercolano aventi per oggetto l’omicidio di Fava.
Nessuna conoscenza potevano avere la Amato e Pattarino della dichiarazione resa il 20.3.1993 da Grancagnolo Carmelo, il quale peraltro nulla aveva detto di specifico sul tema del movente (a parte una generica indicazione, per cui Fava in ambito associativo era ritenuto un uomo che dava fastidio in quanto nei suoi scritti spesso parlava male della mafia, ed un altro riferimento ancora più evanescente ad un input dato dai palermitani) e niente affatto sul tema dei rapporti intercorsi tra Santapaola ed Ercolano (perché il suo racconto prende le mosse dal pomeriggio del 5.1.1984 nella campagna di Alfio Longo).
Preme alla Corte poi evidenziare che le dichiarazioni suddette sono state rese dalla Amato e dal Pattarino in un momento in cui Avola Maurizio (che è l’altro collaborante le cui dichiarazioni vengono utilizzate con riferimento alla posizione degli imputati suddetti) non aveva neanche iniziato a collaborare ed era detenuto in carcere a seguito dell’arresto effettuato il 28.2.1993.
Nessun contatto quindi era ipotizzabile neanche in astratto tra Avola, la Amato ed il Pattarino.
Peraltro va notato che il contenuto della propalazione di Avola, anche limitatamente alla posizione di Santapaola ed Ercolano, è diverso da quello relativo alle dichiarazioni della Amato e di Pattarino in coerenza assoluta con i rispettivi segmenti del fatto riferiti.
Ed, invero, mentre la Amato e Pattarino hanno riferito in ordine ai comportamenti di Santapaola ed Ercolano tenuti nell’arco temporale compreso tra settembre 1982 e Aprile 1983 in coincidenza della permanenza di Santapaola a Siracusa in casa della Amato e del Pattarino, il racconto di Avola prende le mosse da un’epoca successiva, e cioè da quando (a seguito del venir meno della opzione Cortese) egli venne cooptato da Aldo Ercolano nella organizzazione del delitto.
I due racconti però (quello della Amato e di Pattarino prima e quello di Avola dopo), pur riferendosi ad archi temporali diversi in quanto succedutisi l’uno all’altro, con riferimento alla posizione di Santapaola quale mandante dell’omicidio e di Ercolano quale portavoce ufficiale della volontà omicidiaria di Santapaola ed intermediario tra quest’ultimo e gli affiliati in libertà, si coniugano perfettamente, saldandosi il secondo al primo, attingendo ad un unico comune denominatore, costituito dalla decisione omicidiaria ricollegabile alla volontà di Santapaola rimasta assolutamente ferma nel tempo (da dicembre del 1982 al 5.1.1984), della quale (permanendo, si badi bene, sempre immutato lo stato di latitanza del Santapaola con tutti gli effetti conseguenti in ordine alla necessità oggettiva di un raccordo tra il capo supremo ed i vertici associativi in libertà) Aldo Ercolano con pari fermezza e uguale costanza si fece portavoce ufficiale ed intermediario in seno alla consorteria, riferendo sempre inequivocabilmente la decisione omicidiaria di Benedetto Santapaola e la motivazione della stessa, officiando all’uopo prima Nino Cortese e poi Maurizio Avola e mantenendo sempre i contatti con Santapaola, che andava sempre a trovare nei luoghi in cui questi trascorreva la latitanza, informandolo che si stava “curando l’omicidio Fava”, per come riferito da Avola.
E trattasi di riferimento che, in ordine alla posizione di Ercolano, appare rilevantissimo, perché sta a significare che questi mantenne sempre il suo ruolo di tramite tra il latitante Santapaola ed i vertici associativi delegati di organizzare l’omicidio di Fava, tanto da consentirgli di poter riferire a Santapaola che nella consorteria si stava «curando l’omicidio Fava».
© Riproduzione riservata