Maurizio Avola ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso, Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso. La sera del delitto il gruppo era arrivato vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” per eseguire un sopralluogo. Avendo visto Fava uscire da solo, prendere l’auto e dirigersi verso Catania, con le loro macchine lo avevano seguito
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
Avola Maurizio ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso, Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso.
Nel 1982-1983, all’interno dell’organizzazione, era maturato il progetto di uccidere il Fava e si era incominciata anche un’attività di individuazione del giornalista e di acquisizione di notizie circa le sue abitudini, il luogo di abitazione, la sua attività lavorativa, i movimenti.
Le prime notizie sul Fava le aveva avute Marcello d’Agata, tramite un suo amico di Faenza, tale Claudio Balsamo, del cui apporto si avvaleva per commettere rapine a Bologna. Era stato proprio Claudio Balsamo che aveva informato D’Agata della presenza del Fava al palazzo di Giustizia di Catania e lo stesso D’Agata insieme a Claudio Balsamo aveva individuato il giornalista.
Successivamente D’Agata aveva rivisto il Fava al Motel Agip. Il collaboratore ha fornito puntuali dichiarazioni in ordine a Claudio Balsamo e, pur mostrando di non ricordarne esattamente il cognome - indicato come “Balsamo”- ha specificato che abitava vicino al Selene, nello stesso immobile dove abitava, all’epoca, il gioielliere Avolio e che, prima di trasferirsi in tale immobile, aveva abitato in un appartamento sito dopo la Costa Azzurra. Ha descritto il “Balsamo” indicandolo come soggetto un pò più alto di lui, capelli lunghi, sfrontato, brizzolato, bianco. Ha aggiunto che era cognato del titolare di un esercizio di vendita di ceramiche e arredamenti per bagni, la ditta Eldford sito in via Asiago, e ha, anche, precisato ulteriormente che era a conoscenza di questa particolare attività del cognato del Balsamo, perchè, nel 1983, questi aveva chiesto al D’Agata di collocare un ordigno esplosivo alla Eldford, in modo che, poi, sarebbe stato lo stesso Claudio “a sistemare l’estorsione”.
Sempre il Claudio aveva fatto da basista per una rapina a Bologna, organizzata da Avola. Il Claudio, infatti, che era originario di Faenza, aveva parenti a Bologna. Avola ha aggiunto che, prima della consumazione dell’omicidio, c’erano stati altri tentativi di uccidere il Fava e che lui stesso vi aveva preso parte insieme al D’Agata. Una prima puntata era stata effettuata alla fine del 1983, nel Bar “La Villetta”, sito nella piazza centrale di Sant’Agata Li Battiati, vicino alla redazione de “I Siciliani”. In quell’occasione, l’Avola si trovava insieme a Marcello D’Agata, ma non si era fatto niente, perchè, nel momento in cui Avola stava entrando all’interno del Bar, aveva visto uscire un carabiniere. Una seconda volta, il solo Avola aveva visto il giornalista mentre si trovava al Ristorante “Il Palmento” sito sul lungomare di Catania.
Avola ha puntualmente descritto il locale, dichiarando: “c’erano delle scale esterne, sono salito, c’era la sala, c’era la bocca diciamo della pizzeria ed entrando il Fava era seduto a capotavola sulla destra, che mi dava le spalle entrando dalla porta io. Ho girato verso la pizzeria e l’ho visto di fronte”. In quella circostanza, si era accorto della presenza del Fava perché aveva visto la sua auto posteggiata di fronte al ristorante, accorgendosi anche che dentro la macchina del giornalista c’era il giornale dei “I Siciliani”. Era andato ad informare Marcello D’Agata al Motel e, poi, era ritornato sul posto con una pistola cal. 38, ma l’omicidio non era stato commesso perché c’era troppa confusione e poteva essere rischioso. Il D’Agata era rimasto ad aspettarlo in una traversina nei pressi del locale.
In sede di controesame, ha chiarito di avere visto l’auto del Fava nel posteggio del ristorante, percorrendo la strada che è sopraelevata rispetto al locale. In quell’occasione, la certezza che si trattasse della macchina del Fava era derivata anche dal ricordo del primo numero della targa che era il 39. Seduta accanto al Fava, all’interno del ristorante ed esattamente alla destra del giornalista, c’era una donna, forse sua moglie. Dopo il fallimento dei primi tentativi, finalmente si era incominciato ad organizzare l’operazione definitiva.
Avola era in possesso di una pistola cal. 7,65, rubata da tale Fresta Salvatore, un ragazzo vicino al gruppo di Ognina, poi, morto per malattia. È stato contestato all’Avola che, nelle dichiarazioni rese il 10/3/1993, aveva indicato tale Di Giacomo come la persona che gli aveva consegnato l’arma e sul punto il collaboratore di giustizia ha precisato che aveva parlato del Di Giacomo per non coinvolgere il Fresta, malato di Aids in fase terminale e, poi, infatti, deceduto. Il D’Agata era in possesso di un silenziatore artigianale che già era stato utilizzato per l’omicidio di Andrea Finocchiaro, verificatosi tre mesi prima dell’omicidio Fava.
La ricostruzione dell’omicidio
Si trattava di un silenziatore artigianale che D’Agata teneva custodito presso un garage di sua pertinenza sito in via Feudo Grande ad Ognina (di proprietà di tale Macaluso, amico del D’Agata). Avola si era, quindi, recato da un meccanico, tale Sgroi, titolare di un’officina sita in via Messina, per portargli la canna della pistola e il silenziatore artigianale e lo Sgroi aveva provveduto alla filettatura della canna; dopo qualche giorno, Avola insieme al D’Agata, si era recato dallo Sgroi per ritirare la canna. In ordine allo Sgroi, Avola ha specificato che lo conosceva da tempo, perché si trattava del meccanico del quartiere e che, comunque, si trattava di persona amica del D’Agata, il quale spesso si rivolgeva a lui per fare riparare i motorini delle proprie figlie.
Lo Sgroi, anzi, aveva già predisposto la filettatura di un’altra canna ma Avola non ha ricordato in quale occasione. Avola, in compagnia del D’Agata, si era, quindi, recato a Cannizzaro, dove si era verificata la funzionalità dell’arma, esplodendo due colpi contro un cartello autostradale. Era pomeriggio ma già si era fatto buio. Nonostante la predisposizione del silenziatore, l’arma si era rivelata rumorosa, sicché, per ovviare a quest’inconveniente, lo stesso Avola e il D’Agata avevano messo, all’interno del silenziatore, un po’ di ovatta e qualche gommino.
Avola, nel corso dell’esame, ha puntualmente descritto le modalità di fabbricazione di un silenziatore artigianale e, poi, proseguendo nel suo racconto, ha descritto le fasi salienti dell’omicidio. Ha dichiarato che, nel pomeriggio (prima serata), si era incontrato con Aldo Ercolano e Santapaola Vincenzo presso il rifornimento Agip e, all’interno dello scantinato, Ercolano aveva effettuato una prova di sparo esplodendo due colpi contro il muro.
Dopo la prova di sparo anzi erano rimasti due buchi nel muro, tanto che lo stesso Avola, anni dopo, esattamente nel 1990, aveva consigliato al D’Agata di far ripulire la parete per eliminare eventuali tracce, anche perché, essendo il periodo in cui erano iniziate alcune collaborazioni con l’autorità giudiziaria, si era creato, in ambito associativo, un clima di tensione.
D’Agata aveva fatto ripulire il muro da tale Cannavò, un amico dello stesso D’Agata, con il quale anzi era in rapporti societari, ma aveva informato Avola che tracce di proiettili non ne erano state rinvenute.
Quanto ai movimenti della serata del 5/1/1984, immediatamente precedenti l’uccisione del Fava, Avola ha ricordato che, dopo l’effettuazione della prova di sparo, al Motel era sopraggiunto Giammuso, che ancora non era a conoscenza del piano, ma che, informato dal D’Agata, aveva messo immediatamente a sua disposizione la sua autovettura, una Renault 18 bianca.
L’altra autovettura utilizzata dal gruppo omicidiario era la Fiat 131 del D’Agata. Il gruppo era partito dal rifornimento verso le ore 20.00.
Avola, a specifica contestazione del Pm, ha, poi, precisato che la partenza era avvenuta intorno alle ore 19.00-20.00. Circa la composizione degli equipaggi a bordo delle due autovetture, Avola ha specificato che, sulla Fiat 131, avevano preso posto lui stesso e il D’Agata, mentre sulla Renault 18 di Giammuso, il quale era al posto di guida, Santapaola Vincenzo e Aldo Ercolano. Durante il tragitto, Ercolano aveva proposto una sosta presso la salumeria di sua zia, Piera Santapaola, sposata con Franco Filloramo. Il gruppo si era fermato presso la salumeria per circa un quarto d’ora per, poi, spostarsi nell’appartamento dei Filloramo, sito in una traversa distante circa un chilometro dalla salumeria e, comunque, raggiungibile a piedi in cinque minuti.
Nella casa dei Filloramo, Aldo Ercolano aveva provveduto alla sostituzione dei proiettili. Avola ha, anzi, specificato di avere, poi, saputo, dopo la commissione dell’omicidio, che la sig.ra Santapaola si era lamentata con il nipote perché quella sera c’era stato troppo movimento. La zia di Aldo Ercolano aveva manifestato soprattutto preoccupazione per il fatto che persone della zona avessero potuto vedere il gruppo sotto casa sua e potessero essersi insospettite per il movimento di macchine che c’era stato.
Così i sicari inseguirono Fava
Proseguendo nel suo racconto, Avola ha aggiunto che il gruppo era arrivato vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” intorno alle ore 21.00. D’Agata e Avola erano scesi dalla macchina e si erano messi in una traversa, nelle vicinanze di una pizzeria, mentre gli altri erano rimasti in macchina. Avola, dopo avere precisato di essere già stato, prima dell’omicidio presso la redazione de “I Siciliani”, allo scopo di eseguire un sopralluogo, ha così descritto l’esterno dell’edificio: «c’è una scivola e....c’è un cortile, uno spiazzo e poi ci sono tipo due banchine, una più bassa, che fa parte della strada e una più alta, che va verso “I Siciliani”, tipo uno spiazzo, dove si posteggiano le macchine la sera diciamo quelli che abitano nello stabile».
Avevano visto il Fava uscire da solo, prendere l’auto, posteggiata lungo una scivola all’interno del cortile della redazione e dirigersi verso Catania e, con le loro macchine lo avevano seguito. Fava aveva, quindi, posteggiato l’auto di fronte al teatro sulla sinistra con due ruote sul marciapiedi. L’autovettura, a bordo della quale si trovavano D’Agata e Avola era stata posteggiata un paio di metri prima del teatro, dopo la Renault di Fava, sulla destra e in doppia fila. Avola ha, poi, fornito ulteriori indicazioni circa i movimenti successivi del gruppo di fuoco.
In particolare, ha così dichiarato: «Noi altri (Avola e il D’Agata) ci siamo messi un po’ più avanti, quasi vicino il teatro e, invece, Giammuso posteggia la macchina nella traversina sulla destra (a circa 10/15 m. di distanza), diciamo che costeggia lo stabile del teatro e da lì vedo sbucare Aldo e svoltandoci si vede che lui sale sulla panchina ed esplode il primo colpo, si sente più forte perché manda in frantumi il vetro e poi gli altri molto proprio silenziosi, che neanche si capiva che erano colpi di pistola. Sempre Aldo se ne torna indietro, frazione di secondi è stata, noialtri spostiamo con la macchina e lui con la Renault 18 con Giammuso verso un’altra strada».
In sede di controesame, Avola ha chiarito che Ercolano gli aveva riferito di avere esploso esattamente cinque colpi e ha confermato che aveva udito il primo colpo più forte e gli altri più attutiti.
Da Aldo Ercolano o da Marcello D’Agata aveva saputo, la stessa sera dell’omicidio o l’indomani, che Fava, prima di essere ucciso, stava per estrarre le chiavi dal cruscotto.
Nella circostanza Ercolano era vestito con un giubbotto verde, un pantalone verde scuro, una camicia chiara e una cravatta sul verde, lo stesso abbigliamento con cui era ritratto in una foto esposta nella casa di sua madre, in via dei Villini a mare.
Prima dell’omicidio, Avola aveva seguito i movimenti di Ercolano e, voltandosi, lo aveva visto passare dalla strada e dirigersi verso la macchina del Fava.
Dopo l’agguato
Dopo l’agguato, le autovetture si erano divise: l’auto guidata dal Giammuso aveva proseguito la sua marcia lungo la traversina ove era posteggiata, mentre Avola aveva percorso il v.le M. Rapisardi e si era disfatto dei proiettili che deteneva e che erano rimasti nella sua disponibilità dopo il cambio avvenuto in casa del Filloramo; temeva, infatti, un controllo della polizia che, tra l’altro, aveva visto arrivare, quando, una volta consumato l’omicidio, insieme al D’Agata, si era fermato all’incrocio, prima di imboccare il v.le M. Rapisardi.
Dopo l’omicidio, si erano, poi, incontrati in casa del Licciardello, cognato di Mangion, che, in quel periodo, ospitava quest’ultimo durante la sua latitanza. Il Mangion aveva commentato l’omicidio dicendo che “con una fava si erano presi due piccioni, nel senso che avevamo fatto questo favore ai Palermitani e l’altro ai Cavalieri”.
In quella stessa circostanza era stata aperta una bottiglia di champagne per brindare e successivamente il Licciardello si era disfatto della pistola compresa di silenziatore e di tutto, dicendo poi, quand’era ritornato nell’appartamento, che l’aveva buttata in un tombino vicino casa sua. Dopo circa un’ora, i partecipi alla spedizione omicidiaria erano andati via.
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