La Corte di Assise di Catania ha affermato la responsabilità degli imputati Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Vincenzo Santapaola e Franco Giammuso quali esecutori materiali dell’omicidio pluriaggravato in danno di Giuseppe Fava ed inoltre per i reati satelliti di detenzione e porto illegale di una pistola cal. 7,65.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
La Corte di Assise di Catania ha affermato la responsabilità degli imputati Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Vincenzo Santapaola e Franco Giammuso quali esecutori materiali dell’omicidio pluriaggravato in danno di Giuseppe Fava ed inoltre per i reati satelliti di detenzione e porto illegale di una pistola cal. 7,65.
I difensori degli imputati suddetti hanno proposto appello, assumendo in estrema sintesi (posto che l’analisi specifica dei gravami sarà fatta via via in seguito) che le chiamate in correità di Maurizio Avola e di Carmelo Grancagnolo non sono attendibili intrinsecamente e che tra le stesse non è ravvisabile alcuna convergenza, e chiedendo l’assoluzione degli imputati medesimi per non avere commesso il fatto.
Premesso che le posizioni degli imputati suddetti sono tutte uguali, si passa ora alla analisi delle dichiarazioni di Carmelo Grancagnolo e di Maurizio Avola e poi sarà trattato il tema del preteso riscontro incrociato tra le suddette dichiarazioni.
La testimonianza di Grancagnolo
Carmelo Grancagnolo così testualmente ha riferito al pm in seno alla dichiarazione del 20.3.1993, che si riporta integralmente per la importanza e rilevanza della stessa nella economia della valutazione del quadro probatorio relativo all’omicidio di Fava.
“Ricordo che un giorno, recandomi in campagna a Paternò, nel podere di tale “Affiu Giamma”, ivi incontrai Giuseppe Pulvirenti, Angelo Grazioso e Pappalardo Giuseppe, quest’ultimo ucciso nell’estate del 1989 all’interno dell’Etna Bar. Preciso che tutti costoro erano al tempo latitanti. Dopo essermi soffermato a parlare con costoro di argomenti vari, Piero Puglisi mi incaricò di andare al Motel Agip di Ognina per vedere se gli altri avevano bisogno di me. Preciso che il Motel Agip era il luogo ove si incontravano abitualmente Marcello D’Agata e gli altri, così come ho avuto modo di riferire nel corso di un mio precedente interrogatorio. Portatomi al Motel Agip ivi incontrai Marcello D’Agata, in compagnia di Enzo Santapaola, Aldo Ercolano, Franco Giammuso, Tuccio Salvatore ed Maurizio Avola. Io mi rivolsi al Tuccio e ad Aldo Ercolano dicendo che mi mandavano “Piero” e “Zu Pippu” e che ero a loro disposizione; il Tuccio e l’Ercolano mi dissero che non avevano bisogno di me e mi ringraziarono. Successivamente Enzo Santapaola si rivolse a Maurizio Avola dicendo: «O pigghia i pezzi».
Da lì a qualche momento, sebbene io abbia inteso che Enzo Santapaola si era riferito a delle armi che sapevo erano nascoste allo interno dello stesso bar del Motel Agip, anzi dico meglio all’esterno del bar, nel locale ove vi è un ponte per sollevare le autovetture, tornò Maurizio Avola portando con se due pistole, una calibro 9, e una calibro 7,65.- Entrambe le armi erano avvolte in una pezza di colore bianco, ma allorché Avola arrivò all’interno del bar tolse la pezza, così che rese visibili a noi che eravamo presenti le armi in questione. Preciso che Maurizio Avola posò le armi sul banco frigorifero e tutti noi andammo attorno per vedere. Fu lo stesso Maurizio Avola a dire che si sarebbero portate quelle, in particolare si trattava di una pistola calibro 9 corto, tipo guerra. Entrambe le armi non avevano caratteristiche particolari che io ricordi. Successivamente Marcello D’Agata e tutti gli altri andarono via a bordo di due auto, tra cui una Renault 18, colore metallizzato, di Franco Giammuso, che partecipava alla spedizione assieme agli altri. Prima di andare via gli chiesi ancora se avevano bisogno di me e loro mi dissero che non avevano bisogno e che era tutto a posto. Naturalmente avevo ben compreso che il gruppo stava partendo per compiere un omicidio e consapevolmente mi ero messo a loro disposizione proprio perché questo era stato che mi era stato impartito da u “Zu Pippu Pulvirenti”. Quella sera stessa non seppi più niente. Il giorno dopo appresi dello omicidio del giornalista Pippo Fava e subito collegai detto fatto di sangue a quanto era accaduto al Motel Agip di Ognina la sera prima. Ebbi ulteriore conferma di ciò allorché mi portai la stessa mattina nella campagna di “Affiu Giamma Giamma” a Paternò per trovare il Pulvirenti e Piero Puglisi. In particolare feci ad entrambi un resoconto di quanto era avvenuto la sera prima e cioè del fatto che ero andato, obbedendo alle loro indicazioni, al Motel Agip che mi ero messo a disposizione di Marcello D’Agata e degli altri, i quali mi avevano detto che non avevano bisogno di me. Alla fine mi lasciai andare nei confronti del Pulvirenti e del Puglisi ad una considerazione, dicendo: «u ficiru stautru purpettu»; né il Pulvirenti né il Puglisi mi risposero, anche se entrambi si misero a ridere, di fatto annuendo a quanto io avevo detto. Devo dire infatti che come regola all’interno della nostra organizzazione non si parla mai, ne tanto meno si chiedono notizie in ordine ai delitti commessi. Infatti chi chiede notizie in ordine a detti fatti viene giudicato persona poco seria, così da far venir meno il rapporto fiduciario con gli altri componenti dell’organizzazione. Per lo stesso motivo successivamente non si parò più dell’omicidio del Fava. Soltanto allorché gli organi di stampa diffusero notizie in ordine alle dichiarazioni rese in merito da pentiti, il commento fatto da tutti quelli che lo sapevano era che si trattavano di stupidaggini.
Tutti coloro che io incontrai all’interno del Motel Agip, e cioè Marcello D’Agata, Enzo Santapaola, Aldo Ercolano, Franco Giammuso, Maurizio Avola e Salvatore Tuccio presero posto a bordo delle loro autovetture e partirono dirigendosi verso Catania, percorrendo la circonvallazione. Questo avvenne intorno alle ore 19,00 – 19,30 e comunque tra le ore 19,00 e le ore 20,00 della sera in cui venne ucciso Pippo Fava.
Ho appreso dalla stampa della utilizzazione per la commissione dell’omicidio del Fava di una pistola calibro 7,65; ma non anche della pistola calibro 9 corto che io vidi quella sera nella disponibilità del gruppo di fuoco. Posso ritenere pertanto che detta ultima arma non sia stata utilizzata. Nulla so della dinamica dell’omicidio perché, come ho già detto, non mi furono riferite né io potevo chiedere, indicazioni in merito. Non ricordo quale fosse l’altra autovettura a bordo della quale il D’Agata e gli altri partirono dal Motel Agip verso Catania”.
Tutte falsità?
[...] Il problema che riguarda la dichiarazione di Grancagnolo non è l’autonomia, ma ben altro: innanzi tutto la effettiva valenza della stessa in funzione di una accusa individualizzante nei confronti dei soggetti chiamati in reità come autori materiali del delitto e poi la veridicità di quanto riferito, che deve essere analizzata ed accertata a fronte dell’unico ma grave sospetto che potrebbe in astratto sorgere e profilarsi, e cioè quello di un tentativo fatto da Grancagnolo, ad un mese e mezzo dall’inizio della sua collaborazione, di accreditarsi presso gli inquirenti di un contributo collaborativo rilevante [...]: e nella specie il contributo collaborativo del Grancagnolo avrebbe potuto essere rilevantissimo, sia per il fatto che l’omicidio di Giuseppe Fava era stato eclatante, sia perché erano state del tutto fallimentari le rivelazioni di chi prima di lui aveva riferito sul punto.
Orbene, per quanto riguarda il profilo della costanza e della reiterazione della propalazione, osserva la Corte che in seno alla dichiarazione resa al dibattimento all’udienza del 21.1.1997 il racconto fatto dal Grancagnolo non ha subito modificazioni rilevanti sul piano quantitativo, salvo però che in due punti altamente qualificanti ed assolutamente fondamentali, concernenti i contatti con Pulvirenti Giuseppe, che assumono grande rilievo perché incidono su un versante della dichiarazione che è rilevantissimo, alla luce del dictum di Pulvirenti, in ordine alla valutazione della attendibilità intrinseca della dichiarazione resa da Grancagnolo.
Ed, infatti, al dibattimento Grancagnolo ha riferito che il 5.1.1984 l’ordine di mettersi a disposizione al Motel Agip gli venne conferito solo da Puglisi e non anche da Pulvirenti e che il giorno dopo, allorché egli tornò nella campagna del Longo, ebbe a riferire la battuta del “purpettu” solo al Puglisi (che si mise a ridere), mentre Pulvirenti non era presente e quindi non ebbe a ridere.
Va subito notato, con la massima fermezza, che su questi due punti il dictum dibattimentale del Grancagnolo diverge profondamente e diametralmente da quello originario, nel quale, con pari fermezza, va evidenziato invece che il collaborante al Motel si era rivolto a Tuccio ed a Ercolano dicendo loro che era stato mandato da “Piero” e da “Zu Pippu” (da identificarsi senza alcun dubbio con Pulvirenti Giuseppe) e che era a loro disposizione; ed anzi a pag. 49 del verbale del 20.3.1993 Grancagnolo ha detto testualmente che, allorché vide che i componenti del commando si erano allontanati verso Catania con due autovetture, si rese conto che essi stavano andando a fare un omicidio e consapevolmente si era messo a disposizione loro “proprio perché questo era stato l’ordine che gli era stato impartito da “u zu Pippu Puvirenti”.
[…] La divergenza di queste affermazioni rispetto a quelle dibattimentali suindicate è assolutamente insanabile (dato che attiene alla presenza ovvero alla assenza di Pulvirenti in due precisi contesti storici) né può ritenersi che la rievocazione del ricordo effettuata al dibattimento è quella esatta, poiché la dichiarazione dibattimentale già di per se stessa è scarsamente compatibile con un ricordo sopravvenuto rispetto alla dichiarazione originaria avvenuta circa quattro anni prima, e comunque la divergenza suddetta non è stata giustificata affatto dal collaborante: essa si appalesa, a parere della Corte, fortemente e gravemente sospetta per come in seguito sarà detto. […].
La clamorosa smentita di Pulvirenti
La dichiarazione di Grancagnolo subisce invece una clamorosa smentita per effetto della dichiarazione di Pulvirenti Giuseppe sul versante degli eventi relativi al pomeriggio del 5.1.1984, quando il Grancagnolo si sarebbe recato nella campagna di Alfio “Giamma”, dove avrebbe trovato Pulvirenti Giuseppe e Piero Puglisi che lo avrebbero mandato al Motel Agip di Ognina, per mettersi a disposizione di quanti stavano ivi, sia pure senza una indicazione precisa di cosa si dovesse fare.
Ebbene Pulvirenti Giuseppe, interrogato dal PM il 22.9.1994, proprio all’inizio della sua collaborazione (e quindi in un stato di assoluta genuinità, spontaneità ed autonomia, perché nessun contatto poteva ancora avere avuto con altri collaboranti), ebbe a riferire con la massima chiarezza e precisione che egli, mentre era latitante, ebbe a trovarsi una volta nella campagna di Alfio Longo (dove pernottò all’interno di una autovettura, “una centoventisette” intestato alla moglie) assieme ai due generi Grazioso Angelo e Piero Puglisi, pure latitanti, oltre che a Grancagnolo (che “è venuto e si è accattato il vino”), e che in tale frangente vi fu una irruzione dei carabinieri in occasione della quale egli scappò.
[…] Il PM poi il 22.9.1994 chiese al Pulvirenti se, il giorno in cui egli si trovava nella campagna di Alfio Giamma allorché ci fu la irruzione dei carabinieri (cioè il 6.1.1984 il giorno successivo alla uccisione di Fava), il genero Puglisi ebbe ad accennargli qualcosa sull’evento suindicato ed il Pulvirenti rispose: «non me lo ricordo dottore, dico una cosa…per dire…”hanno ammazzato ad uno a Fava” può essere magari che me lo hanno detto questo….certo se, per dire, avevano ammazzato a questo, è Sucasangu (cioè Grancagnolo) ce l’avrà potuto venire a dire Sucasangu, se nui altri eravamo in campagna coricati, per dire “hanno ammazzato a questo” sarà potuta uscire magari questa discussione, io però….ma ora non ci penso ora, non è che posso….ma però io non sono venuto mai a conoscenza chi è stato e chi non è stato…mai…mai».
Il pm a questo punto incalzò e chiese testualmente al Pulvirenti: «in questo momento non si tratta appunto di contestarle l’omicidio fatto, cui sappiamo che lei è estraneo, in questo momento il problema è che lei ci deve, perché se decide di collaborare, deve dirci, perché questo è tra gli obblighi del collaborante, tutto quello che sa su questo omicidio»; come si vede il PM, in maniera assolutamente ineccepibile, mise il Pulvirenti con le spalle al muro dinanzi alle sue responsabilità di neo collaborante, ricordando espressamente al Pulvirenti i precisi doveri che egli aveva in quel momento; ed il Pulvirenti (che in quel momento aveva certo tutto l’interesse ad assecondare l’intento investigativo del pm espressamente manifestato, poiché egli era ancora detenuto con un programma di protezione tutto da concedere) così testualmente rispose: «e “ddocu” non so niente» (cioè: su questo punto non so niente); a questo punto il PM, che conosceva ovviamente la dichiarazione resa il 20.3.1993 da Grancagnolo, inchiodò il Pulvirenti sul dato specifico chiedendogli: «ma lei per esempio, sappiamo che il giorno dopo (l’omicidio di Fava) si incontra con Grancagnolo ed avete commentato il fatto, ed il giorno prima lei aveva detto qualcosa a Grancagnolo di mettersi in contatto con qualcuno, questa è la contestazione che io le faccio, perché lei ha dato delle indicazioni a Grancagnolo, cose sull’omicidio» e Pulvirenti così testualmente rispose: «ma non può essere mai, mai, mai dottore, gliela faccio io la contestazione, mai»; ed infine sul punto (che, ripetesi, è decisivo in ordine alla valutazione della attendibilità intrinseca della dichiarazione di Grancagnolo in ordine al segmento fondamentale dell’incontro pretesamente avvenuto nel pomeriggio del 5.1.1984 tra Grancagnolo e Pulvirenti nella campagna di Alfio Giamma) il pm incalzò chiedendo al collaborante: «rispetto a questo momento (quello della irruzione dei CC del 6.1.1984) la volta prima che aveva visto Grancagnolo quando è stata?» e Pulvirenti rispose: «Ma io penso che era molto tempo prima, non è vero che il giorno prima io avevo visto Grancagnolo. Non esiste. Non esiste. Non esiste. Io posso anche fare il confronto con Grancagnolo, perché non esiste questo fatto che è successo. Completamente. Perché se la cosa non è giusta».
[...] Ed a questo punto sorge spontaneo il rilievo come non sia affatto vero che i collaboranti hanno supportato in tutto e per tutto, in maniera per così dire istituzionale, l’impianto accusatorio eretto dal pm, per come spesse volte invece è stato detto dai banchi della difesa nel corso del processo.
Divergenze insanabili
Nel caso in esame infatti Pulvirenti ha detto e ripetuto (rectius: ha gridato) che egli è arrivato nella campagna di Alfio Giamma il giorno della irruzione dei CC (e cioè il 6.1.1984) e che, in epoca antecedente a tale giorno, egli era stato in detta campagna un anno-due prima (il che già esclude che vi possa essere stato il giorno precedente 5.1.1984); e comunque, per chiudere in maniera decisiva e definitiva l’argomento ed eliminare qualunque residua incertezza, Pulvirenti il 22.9.1994 ha detto al pm espressamente (a pag. 63 del verbale relativo) che il giorno precedente a quello della irruzione dei carabinieri nella campagna di Alfio Giamma egli non si era affatto visto con Grancagnolo (“non esiste, non esiste, non esiste”).
E una rappresentazione siffatta (rimasta assolutamente ferma al dibattimento) smentisce clamorosamente la dichiarazione di Grancagnolo proprio al “cuore” della stessa, nel suo segmento per così dire costitutivo di tutta la impalcatura della propalazione: non è assolutamente vero che il pomeriggio del 5.1.1984 Grancagnolo si sia incontrato nella campagna di Alfio Giamma con Giuseppe Pulvirenti e che da questi sia stato quindi mandato al Motel Agip di Ognina per mettersi a disposizione di altri affiliati che ivi si trovavano, per come dallo stesso Grancagnolo dichiarato.
[...] In altri termini tra il racconto di Grancagnolo e quello di Pulvirenti non vi è incompatibilità sul versante del 6.1.1984, ma bensì su quello del giorno cinque pomeriggio. [...] La incompatibilità evidenziata tra la dichiarazione di Grancagnolo e quella di Pulvirenti sul versante del 5.1.1984 è ben più grave, perché la valenza indiziante sul piano accusatorio della dichiarazione di Grancagnolo (anche se minima sul piano della attendibilità intrinseca di altri segmenti, per come sarà esposto, ed assolutamente nulla sul piano del riscontro individualizzante a carico degli imputati, per quello che si dirà in seguito) è riveniente esclusivamente dalla presenza di Grancagnolo al Motel Agip alle ore 19/19,30 circa del 5.1.1984 e tale presenza appare già fortemente dubbia, se uno dei due committenti che gli avrebbero dato l’incarico di recarsi ivi (e cioè Pulvirenti Giuseppe) ha escluso categoricamente di avere dato una commissione siffatta.
Racconti sospetti
Si comprende a questo punto quanto sia piena di sospetto la dichiarazione resa da Grancagnolo al dibattimento (il 21.1.1997) nella parte in cui il collaborante ha riferito che a mandarlo al Motel Agip il pomeriggio del 5.1.1984 sarebbe stato solo Piero Puglisi (e non anche Pulvirenti), e per mera coerenza logica nella parte in cui la battuta sul “purpettu” sarebbe stata fatta solo a Puglisi dopo che i due si sarebbero appartati (e non anche al Pulvirenti).
Quanto paradigmatica era stata la dichiarazione di Pulvirenti al PM il 22.9.1994, tanto emblematica di un tentativo di adeguamento va reputata la dichiarazione dibattimentale di Grancagnolo del 21.1.1997 nella parte suindicata, perché a questo punto è verosimile che Grancagnolo, una volta acquisita la libertà, nelle more tra il 20.3.1993 ed il 21.1.1997 era venuto a sapere che Pulvirenti (il quale peraltro era stato esaminato in un pubblico dibattimento all’udienza del 4.12.1996) aveva escluso il suo avvento nella campagna di Alfio Giamma il pomeriggio del 5.1.1984, onde era necessario, al fine di rendere compatibili i due racconti, che egli fosse stato incaricato di andare al Motel Agip solo da Puglisi e, per coerenza, a questo punto anche che il Pulvirenti (non avendo dato al Grancagnolo alcun incarico di recarsi al Motel Agip il giorno precedente) scomparisse dalla scena della discussione sul “purpettu” del giorno sei mattina.
Peraltro devesi rilevare che, in base alla dichiarazione di Pulvirenti del 22.9.1994, anche la presenza del solo Piero Puglisi nella campagna di Alfio Giamma il pomeriggio del 5.1.1984 (tanto da potere incaricare da solo Grancagnolo di andare al Motel Agip, per come riferito da Grancagnolo al dibattimento in maniera sfacciatamente non genuina) diventa fortemente dubbia: ed infatti Pulvirenti ha detto che ad arrivare la stessa mattina del giorno 6.1.1984 nella campagna di Alfio Giamma fu non solamente il Pulvirenti medesimo, ma questi assieme agli altri, se è vero che lo scandaglio che stava conducendo il pm il 22.9.1994 concerneva l’avvento in detta campagna di tutti i soggetti che prima il collaborante aveva indicato come presenti sul posto, e cioè Pulvirenti, Grazioso, Puglisi e Grancagnolo; ed infatti il pm ha chiesto al collaborante: “rispetto al giorno in cui c’è stata la irruzione di carabinieri, voi da quanto tempo vi trovavate lì?….cioè eravate arrivati in quel posto il giorno prima, quella mattina?” e la risposta del Pulvirenti, per come sopra detto, fu: “niente, poco era….no no era quella mattina stessa quando sono venuti i carabinieri”, onde deve dedursi logicamente che l’avvento verificatosi nella stessa mattinata del 6.1.1984 si riferisce logicamente a tutti i soggetti presenti nella campagna suddetta (ivi compreso perciò Puglisi), e ciò tanto più ove si consideri che lo stesso Pulvirenti ha detto che il genero Puglisi “era latitante insieme con me” (cioè con il Pulvirenti).
Al dibattimento poi all’udienza del 4.12.1996 Pulvirenti ha ulteriormente specificato questo dato dicendo: «(Puglisi) era latitante perché eravamo insieme nella macchina, non avevamo nemmeno un posto. Nuatri ierimu propriu nella macchina ierimu insieme. Mi ricordo questo che aveumu pernottato dentro la macchina, dentro la 127, dentro una campagna così in una campagna però estranea»; quindi Pulvirenti e il genero Puglisi trascorsero la latitanza insieme, per cui appare strano che proprio il 5.1.1984 essi si siano separati.
Ma, ripetesi, una affermazione siffatta non è stata in alcun modo ventilata neanche dallo stesso Grancagnolo in occasione della dichiarazione originaria del 20.3.1993, in seno alla quale i due (Pulvirenti e Puglisi) sono stati menzionati sempre insieme.
Un altro punto sul quale va misurata la attendibilità intrinseca del dictum di Grancagnolo è la incostanza relativa al riferimento fatto alla presenza di Salvatore Tuccio al Motel Agip la sera del 5.1.1984.
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