Le dichiarazioni di Carmelo Grancagnolo non portano ad una accusa certa, per di più individualizzante, nei confronti degli imputati a cui è stato contestato il concorso materiale nell’omicidio di Giuseppe Fava; sul racconto di Maurizio Avola, invece, rimangono zone d’ombra
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
Sono state nel corso della precedente trattazione prese in esame prima la dichiarazione di Carmelo Grancagnolo, che, a parere della Corte, per come già detto, nessuna concreta incidenza può avere ai fini di potere integrare una vera e propria accusa, per di più individualizzante, nei confronti degli imputati a cui è stato contestato il concorso materiale nell’omicidio di Giuseppe Fava e comunque la detta dichiarazione non supera la soglia minima della attendibilità intrinseca, e poi quella di Maurizio Avola, che, invece, contiene una indicazione accusatoria puntuale, specifica e pienamente individualizzante a carico dei soggetti a cui è stato contestato il concorso, quali esecutori materiali, nell’omicidio di Giuseppe Fava, ma che, a parere della Corte, sul piano della attendibilità intrinseca presenta delle zone di ombra, per come già visto.
[…] Ciò premesso la Corte invece non può non evidenziare che, in tema di riscontro incrociato delle due dichiarazioni in questione, sussistono numerose, gravi ed insuperabili divergenze tra il racconto di Avola e quello di Grancagnolo, che incidono pienamente sul nucleo essenziale delle rispettive propalazioni.
Una prima fondamentale divergenza tra il racconto di Grancagnolo e quello di Avola attiene alla presenza di Salvatore Tuccio al Motel Agip la sera del 5.1.1984 in un fascia oraria compresa tra le 17,30/18 e le 19/19,30/20.
Grancagnolo ha detto che Tuccio era lì presente ed anzi, al suo arrivo al Motel Agip, egli ebbe a rivolgersi proprio allo stesso Tuccio e ad Aldo Ercolano, per comunicare loro di essere stato mandato da Pulvirenti e da Puglisi e che egli era a loro completa disposizione; Tuccio ed Ercolano risposero che quella sera non avevano bisogno di Grancagnolo e lo ringraziarono sentitamente.
[…] Avola invece, da parte sua, ha sempre negato decisamente che Tuccio nella circostanza suindicata il pomeriggio - sera del 5.1.1984 fosse stato presente anche un solo momento al Motel Agip ed in sede di confronto con Grancagnolo del 7.12.1994 Avola non è arretrato di un solo centimetro da tale affermazione.
[…] Il punto fondamentale è, invece, costituito dalla considerazione assolutamente ineluttabile per cui la presenza di Tuccio, se questi effettivamente fosse stato fisicamente presente quella sera al Motel, non poteva essere assolutamente indifferente e marginale agli occhi di Avola, tanto da essere oggetto di una operazione di rimozione mnemonica da parte dello stesso Avola, per come è stato affermato dal primo giudice e dalla Pubblica Accusa.
[…] In questa situazione, a parte la particolare connotazione che (secondo il racconto di Grancagnolo) avrebbe avuto nella specie in punto di fatto il comportamento di Tuccio, il ruolo e la figura di quest’ultimo erano tali che mai e poi mai Avola avrebbe potuto rimuovere dalla sua memoria la presenza di Tuccio perché marginale e casuale; Tuccio in quel contesto ed in quel momento era il personaggio più autorevole assieme a D’Agata e la sua presenza, anziché essere rimossa dalla memoria, doveva restare letteralmente scolpita nella memoria di Avola, il quale in quel frangente avrebbe dovuto rendere conto proprio a Tuccio, il quale rappresentava la famiglia.
Non può, perciò, convenirsi affatto con quanto sostenuto dalla Pubblica Accusa per cui vi sarebbe compatibilità nel racconto dei due collaboranti, nel senso che entrambi erano presenti al Motel quella sera ed entrambi hanno avuto la possibilità di vedere Tuccio, che era pure in realtà presente, per come è stato rappresentato da Grancagnolo e per come invece sarebbe stato solamente dimenticato da Avola, ipotesi quest’ultima assolutamente insostenibile (per come sopra detto).
[…] In conclusione per quanto riguarda la posizione di Tuccio vi è profonda ed insanabile divergenza nel racconto di Avola ed in quello di Grancagnolo e trattasi di divergenza che, ripetesi, nella economia della dichiarazione di Grancagnolo, non incide affatto su un elemento marginale, ma bensì sul nucleo fondamentale della stessa dichiarazione, che è costituito dalla partenza dal Motel Agip alle ore 19/19,30/20 di sei soggetti armati (compreso Tuccio) a bordo di tre auto, avviatesi poi lungo la circumvallazione in direzione di Catania, dalla quale Grancagnolo uscì al primo semaforo, così finendo per ignorare nel dettaglio quale fosse stato il successivo iter delle tre autovetture e sopratutto la destinazione finale delle stesse, per cui sotto questo profilo non può farsi alcuna distinzione tra le due auto, da un lato, che egli vide avere proseguito lungo la circumvallazione ed il Fiorino di Tuccio, dall’altro lato, che fu invece perso di vista perché procedeva più lentamente e che lo stesso Grancagnolo non ha escluso affatto che potesse avere proseguito parimenti lungo la circumvallazione.
Ciò che invece (purtroppo per l’accusa) accomuna le tre auto nello stesso nucleo c.d. fondamentale della dichiarazione di Grancagnolo è il fatto che per tutte tre le autovetture suindicate Grancagnolo non conosca affatto la destinazione finale.
Un’altra divergenza
Una seconda profonda e dirompente divergenza ravvisabile nella narrazione di Avola ed in quella di Grancagnolo è quella relativa alla esposizione delle due pistole cal. 7,65 e cal. 9 sulla pezza bianca poggiata sul banco frigorifero ubicato all’interno del bar annesso al distributore di benzina Agip, che Avola avrebbe effettuato secondo il racconto di Grancagnolo e che Avola stesso ha invece sempre decisamente negato, evidenziando la estrema inverosimiglianza della circostanza, per come sopra si è detto allorché è stata esaminata la attendibilità intrinseca della dichiarazione di Grancagnolo.
[…] Ed, ancora maggiori perplessità sorgono dalla constatazione che Grancagnolo, in sede di confronto del 7.12.1994, alla contestazione di Avola se quella sera avesse visto la pistola cal. 7,65 con il silenziatore già montato ovvero se la detta pistola non era ancora munita di silenziatore ed alla precisa domanda che sul punto gli è stata fatta dal PM, ha risposto espressamente escludendo di avere visto quella sera all’interno del bar alcun silenziatore (né montato sulla pistola cal. 7,65 né smontato) seppure il detto silenziatore avesse la lunghezza di venti centimetri ed un diametro di una moneta da cento lire.
E non c’è dubbio che, per quanto Grancagnolo non fosse un intenditore in tema di armi [...], assolutamente inescusabile è per il Grancagnolo il fatto di non essersi accorto né che la pistola cal. 7,65 era munita di silenziatore già in canna né che lo stesso silenziatore si trovasse a parte ancora non montato sulla canna della detta pistola.
La divergenza di cui si è detto è dirompente, perché la esibizione delle pistole di cui ha detto Grancagnolo fa parte di uno spaccato che nel suo complesso è del tutto assente nel racconto di Avola, in cui - si badi bene - non c’è spazio alcuno per una permanenza dei sette soggetti suindicati all’interno del bar annesso al distributore di benzina del D’Agata, nel corso della quale ci sarebbe stata prima la uscita di Avola per andare a prelevare fuori le armi e poi, al ritorno dello stesso, la incredibile esibizione delle pistole (posto che le vicende che quel pomeriggio si erano succedute hanno, nel racconto di Avola, uno sviluppo completamente diverso ed incompatibile, tanto da potersi affermare che si è in presenza di due scenari distinti, per come si vedrà tra poco).
La divergenza è poi assolutamente non conciliabile perché la tesi della rimozione mnemonica da parte di Avola, sposata dalle sentenze impugnate, in questo caso verrebbe ad investire, non tanto la presenza di un terzo ovvero un fatto esterno al dichiarante Avola, quanto lo stesso comportamento tenuto dal collaborante medesimo, il quale avrebbe dimenticato la sua permanenza al bar, l’invito fattogli da Enzo Santapaola di andare a prendere le pistole, la sua fuoriuscita per prelevare le armi ed infine il rientro immediato all’interno del bar con la incredibile esibizione delle pistole sulla pezza bianca posizionata sul banco frigorifero.
È mai credibile che Avola abbia potuto dimenticare tutto ciò?
Ma c’è di più!
Nel caso in esame Avola non solo, in funzione per così dire negativa, avrebbe rimosso dalla propria memoria tutto quanto sopra detto ma, in positivo, avrebbe costruito tutto uno sviluppo dei fatti, sostitutivo di quello dimenticato, in maniera del tutto diversa da quello descritto da Grancagnolo.
In conclusione per quanto riguarda il segmento del racconto di Grancagnolo relativo alla prelievo ed alla successiva esposizione sul banco frigorifero del bar delle due pistole, vi è profonda ed insanabile divergenza nel racconto di Avola ed in quello di Grancagnolo e trattasi di divergenza che, ripetesi, nella economia della dichiarazione di Grancagnolo, non incide affatto su un elemento marginale ma sul nucleo fondamentale della stessa dichiarazione, che è costituito dalla partenza dal Motel alle ore 19/19,30/20 di sei soggetti armati di due pistole a bordo di tre auto, avviatesi poi lungo la circumvallazione in direzione di Catania.
Una terza profonda (e già preannunziata) divergenza tra il racconto di Grancagnolo e quello di Avola attiene allo snodo degli eventi di quel pomeriggio del 5.1.1984 ed, inoltre, al ruolo di Franco Giammuso in particolare.
[…] E, per finire sul tema in esame, va rimarcata quella che è la divergenza tra la dichiarazione di Avola e quella di Grancagnolo avente per così dire carattere assorbente, quella cioè che consentirebbe già di per se stessa di chiudere sull’argomento in esame con l’affermazione che nessuna convergenza vi può essere, mai e poi mai, già in partenza tra i due racconti.
Avola ha detto e ripetuto (anche con toni visibilmente irridenti nei confronti di Grancagnolo in sede di confronto del 7.12.1994) che Grancagnolo quel pomeriggio al Motel non fu assolutamente presente; Avola ha inoltre inteso supportare il suo dictum riferendo che ciò peraltro era avvenuto in altri tre episodi delittuosi, in cui Grancagnolo aveva rivendicato un suo ruolo operativo, pur essendo stato del tutto assente agli stessi, e precisamente in occasione dell’omicidio di Ignazio c.d. “Tranquillo”, della estorsione in danno della Mediterranea Mobili e dell’omicidio di un tale Pistorio nella zona di San Berillo Nuovo.
E, peraltro, a riprova del fatto che Grancagnolo è reiteratamente recidivo nella autoattribuzione pretestuosa di ruoli operativi in occasioni di imprese delittuose, va ricordato il caso dell’omicidio di tale Calandra Sebastianello Pasquale (oggetto del processo Ariete 1), in ordine al quale in sede di confronto con Grazioso Giuseppe, Leonardi Giuseppe e Licciardello Alfio è rimasto clamorosamente smentito il ruolo partecipativo che Grancagnolo si era autoattribuito.
Grancagnolo, pertanto, non poteva riferire sui fatti così come rappresentati sulla base di scienza diretta, ma solo sulla base di informazioni ricevute da terzi, e precisamente da Piero Puglisi, per come riferito da Avola.
[…] La Corte reputa di non potere condividere i tentativi fatti dai primi giudici di potere coniugare le indicazioni fatte da Avola con quelle fatte da Grancagnolo.
Orbene non c’è dubbio, sulla base di quanto finora detto, che il nucleo fondamentale delle dichiarazioni suddette, anziché registrare la convergenza, evidenzia le suindicate gravi dirompenti ed insanabili divergenze.
[…] Tutto ciò premesso, in riforma delle sentenze impugnate ed in accoglimento degli appelli spiegati nell’interesse di Marcello D’Agata, Vincenzo Santapaola e Franco Giammuso, i detti imputati vanno assolti, per non avere commesso il fatto, dal reato loro ascritto di concorso, quali esecutori materiali, nell’omicidio pluriaggravato in danno di Giuseppe Fava e di concorso nei reati satelliti di detenzione e porto illegale di una pistola cal. 7,65, loro rispettivamente contestati ai capi A) e B) del decreto che fissava il giudizio del 6.6.1995.
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