Nel 1993 Grancagnolo aveva raccontato che, dopo essersi soffermato al Motel Agip, tra le 19.00 e le 20.00, «Marcello D’Agata, Enzo Santapaola, Aldo Ercolano, Franco Giammuso, Maurizio Avola e Salvatore Tuccio [...] andarono via a bordo di due auto, tra cui una Renault 18 colore metallizzato di Franco Giammuso [...] dirigendosi verso Catania percorrendo la circonvallazione»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
In seno alla dichiarazione originaria al pm del 20.3.1993 Grancagnolo ha detto che, appena giunto al Motel Agip, si rivolse proprio a Salvatore Tuccio ed a Aldo Ercolano, dicendo loro che era stato mandato ivi da Piero Puglisi e Pulvirenti Giuseppe, e si mise a loro disposizione, ma il Tuccio ed Ercolano gli avrebbero detto che non avevano bisogno del Grancagnolo e lo ringraziarono; dopo essersi soffermato circa un’ora/un’ora e mezzo al Motel Agip, Grancagnolo ebbe modo di vedere che alle ore 19/19,30/20 «tutti coloro che io incontrai all’interno del Motel Agip, e cioè Marcello D’Agata, Enzo Santapaola, Aldo Ercolano, Franco Giammuso, Maurizio Avola e Salvatore Tuccio»….«andarono via a bordo di due auto, tra cui una Renault 18 colore metallizzato di Franco Gammuso»…«dirigendosi verso Catania percorrendo la circonvallazione»; il collaborante ha precisato poi di non ricordare quale fosse stata l’altra autovettura a bordo della quale i componenti del commando si allontanarono verso Catania e di avere ben compreso che gli stessi stessero partendo per andare a compiere un omicidio.
Quindi non c’è dubbio che nella rievocazione fatta da Grancagnolo il 20.3.1993 Tuccio Salvatore era certamente presente all’avvento del Grancagnolo al Motel e lo stesso Tuccio era uno di quei soggetti che, a bordo di due auto (di cui una era una Renault 18 ed un’altra non era meglio nota al collaborante), partirono alla volta di Catania lungo la circumvallazione per compiere quello che al collaborante sembrò essere un omicidio.
Il Grancagnolo venne poi il 7.12.1994 messo a confronto con Avola (il cui racconto dello stesso accaduto, per come si dirà analiticamente appresso, è totalmente diverso ed esclude financo la presenza dello stesso Grancagnolo nel contesto suddetto oltre che del Tuccio) ed in tale incombente Avola ebbe ad inchiodare Grancagnolo, mettendolo con le spalle al muro in ordine al racconto che questi aveva fatto dell’accaduto (per come si dirà) ed assumendo espressamente che il Grancagnolo quella sera al Motel Agip non c’era stato e che quanto rivelato gli sarebbe stato riferito da Piero Puglisi.
Tra le altre cose Avola contestò chiaramente al Grancagnolo che quella sera Tuccio non era stato affatto presente e di ciò si dirà in seguito allorché sarà analizzato se i due racconti di Avola e di Grancagnolo possono essere ritenuti convergenti, riscontrandosi reciprocamente, per come è stato ritenuto dal primo giudice.
Ebbene il profilo che invece in questa sede si intende ora evidenziare è altro ed è interno al dictum di Grancagnolo.
Questi, in sede di confronto con Avola, ha introdotto una novità in assoluto, che è relativa alla posizione di Tuccio ed è di per se stessa fortemente sospetta, perché sintomatica di un maldestro tentativo di avvicinamento al dictum di Avola, ma da quest’ultimo non recepito affatto.
Nuovi particolari
Grancagnolo in sede di confronto ha detto infatti che Tuccio era presente al Motel, ma ha al contempo specificato che il Tuccio “non che era presente all’omicidio, attenzione”; egli poi ha aggiunto che Tuccio era lì con il suo Fiorino bianco e che, quando il commando tra le ore 19 e le ore 20, si mosse verso la circumvallazione, partirono non più due macchine ma tre (le due di cui aveva parlato prima, più il Fiorino guidato da Tuccio) oltre quella dello stesso Grancagnolo; per il collaborante quindi Tuccio partì dal Motel assieme agli altri aggiungendo: “poi non so se Tuccio se ne è andato con loro o ha cambiato strada”.
In sostanza in sede di confronto è stata introdotta da Grancagnolo la novità concernente la presenza del Fiorino di Tuccio e trattasi già di per se stessa di circostanza sospetta (oltre che strumentale per come in seguito si dirà), perché nessuna prova è in atti che Tuccio (ovvero la sua azienda) fosse stato all’epoca proprietario di un Fiorino bianco, mentre è in atti la prova che la ditta di pertinenza del Tuccio ebbe ad acquistare un Fiorino solo il 10.1.1989.
Ma soprattutto preme alla Corte evidenziare che è stata proclamata per ben due volte da Grancagnolo una sorta discolpa di Tuccio, che è sicuramente molto strana ed al contempo sintomatica dei limiti propri della propalazione di Grancagnolo, perché, se il collaborante ha inteso riferirsi al fatto che egli, avendo lasciato la circumvallazione in direzione di Nicolosi al primo bivio all’altezza della concessionaria Alfa Romeo, non era in grado di sapere se il Tuccio poi ha preso parte effettivamente all’omicidio, avrebbe dovuto proclamare la medesima discolpa per tutti i soggetti dallo stesso collaborante menzionati (che si trovavano nella stessa identica situazione agli occhi di Grancagnolo, che ha lasciato per la strada il corteo delle tre macchine), mentre, se il collaborante ha in realtà inteso tirare fuori ed estromettere il Tuccio dal novero di coloro i quali uccisero Fava (per come sembrerebbe dal tenore letterale della dichiarazione), si sarebbe trattato di un palese tentativo di avvicinamento al dictum di Avola (per il quale Tuccio era del tutto assente), rispetto al quale era strumentale l’inserimento del Fiorino che consentiva al Tuccio di defilarsi rispetto alle due macchine con a bordo i killers.
Insomma vi è stata da parte di Grancagnolo, in sede di confronto con Avola, una difesa di ufficio, spontanea ed accalorata, della posizione di Tuccio del quale è stata proclamata la estraneità, che, se non estesa alla posizione degli altri soggetti chiamati in reità da Grancagnolo, non ha fondamento alcuno sulla base dei fatti così come sono stati allegati dal collaborante, i quali erano tali da coinvolgere (rectius: interessare ovvero meramente riguardare) Tuccio nella stessa identica misura degli altri.
Ma allora è evidente che Grancagnolo ha inteso avvicinarsi in sede di confronto con Avola alla posizione di quest’ultimo, il quale è stato da parte sua irremovibile nella sua prospettazione dei fatti, per cui Tuccio quella sera non si vide affatto al Motel Agip, ove non si vide affatto pure Grancagnolo (per come si dirà).
Dichiarazioni sospette
È d’uopo a questo punto analizzare la logica interna della dichiarazione di Grancagnolo ed anche su questo versante insorgono alla Corte gravi perplessità.
Innanzi tutto appare già strano che Pulvirenti e Puglisi abbiano potuto dare al Grancagnolo l’ordine di recarsi al Motel per mettersi a disposizione di D’Agata e “gli altri”, senza che in quel contesto i committenti avessero minimamente reso edotto Grancagnolo dell’affare per cui questi doveva mettersi a disposizione: non si capisce la logicità di un ordine siffatto, che sarebbe stato assolutamente indeterminato sia con riferimento all’oggetto sia con riferimento alla indicazione degli stessi soggetti nei confronti dei quali Grancagnolo avrebbe dovuto mettersi a disposizione.
Sorgono a questo punto spontanee le domande: ma che cosa avrebbe dovuto fare Grancagnolo al Motel Agip secondo i committenti Pulvirenti e Puglisi? Partecipare ad un omicidio, ad una rapina, ad una estorsione, ad un sequestro, ad un incendio ovvero semplicemente prendere parte ad una riunione mafiosa? E Grancagnolo accettò l’ordine dei suoi commitenti senza chiedere minimamente di cosa si sarebbe trattato? E come doveva recarsi Grancagnolo al Motel armato o no? E non avrebbe potuto Grancagnolo sospettare che dietro quel misterioso incarico si celasse un tranello mortale nei suoi confronti, egli che sotto questo profilo aveva le “fisse” e soffriva di un vera e propria mania di persecuzione? Ma, poi, il sospetto suddetto non diventava angosciante per Grancagnolo per effetto della ignoranza assoluta dei soggetti nei cui confronti avrebbe dovuto mettersi a disposizione, senza peraltro avere chiesto di essere per lo meno accompagnato da qualcuno (perché se era vero che egli doveva andare a Motel Agip, che era il luogo tradizionale di ritrovo degli affiliati che gravitavano nella zona di Ognina, era altrettanto vero che Grancagnolo non era uno di costoro ed egli doveva sapere, o per lo meno sospettare, per esempio di non essere molto amato e neppure benvoluto da Avola, per come è emerso chiaramente dal confronto tra i due)? E perché di tutto ciò, che certamente era avvolto da un alone di mistero, non ha parlato affatto con il cognato e confessore Samperi, del quale conosceva peraltro la vicinanza con Puglisi, per cui avrebbe potuto indirettamente cercare di conoscere il motivo di quel misterioso incarico?
Sono tutti interrogativi che non trovano una agevole risposta nel processo.
Ma c’è di più.
Grancagnolo arrivò al Motel e si mise a disposizione “in incertam destinationem” e Tuccio ed Ercolano gli dissero che non avevano bisogno per quella sera di lui e lo ringraziarono sentitamente.
Una logica appena media vuole che, se fosse stato vero che Ercolano e compagni al Motel Agip si stessero preparando per andare ad eseguire l’omicidio di Giuseppe Fava (la cui eclatanza era certo nota a costoro), essi avrebbero dovuto immediatamente invitare Grancagnolo cortesemente a togliere il disturbo e ad allontanarsi da quel posto.
Ed, infatti, ciò era imposto con forza dalla esigenza di assicurare una certa riservatezza necessaria in quel momento al fine di evitare che del piano omicidiario in itinere fosse venuto a conoscenza un soggetto che nell’ambito della associazione era totalmente squalificato e disistimato da tutti, oltre che privo di un qualunque appoggio politico, ed anche al fine di favorire la concentrazione del commando in vista di un durissimo impegno: osserva la Corte che nessun senso ha avuto, per un consesso di uomini di onore in procinto di partire per andare ad uccidere Giuseppe Fava, stare al Motel Agip per fare salotto per circa un’ora e mezzo con Carmelo Grancagnolo, prendendo financo il caffè al bar, quando proprio la circostanza relativa all’avvento di Grancagnolo quella sera al Motel Agip avrebbe dovuto lasciare fortemente perplessi ed al contempo preoccupati Ercolano e compagni, essendosi in sostanza Grancagnolo (che, ripetesi, era nessuno dal punto di vista associativo) autocandidato a partecipare al più eclatante degli omicidi compiuti dalla famiglia catanese di cosa nostra, senza che ciò fosse stato minimamente richiesto ovvero sollecitato da alcuno dei presenti.
Ma il profilo della incredibilità logica non è finito qui nel dictum di Grancagnolo.
Egli ha affermato che, mentre tutti i presenti si trovavano all’interno del locale bar annesso al distributore di benzina gestito da D’Agata e sito vicino al Motel Agip, Avola, su richiesta di Enzo Santapaola, sarebbe uscito per andare a prelevare nelle vicinanze due pistole avvolte in una pezza bianca ed, una volta ritornato all’interno del bar (che è notoriamente a Catania un vero e proprio porto di mare, con un flusso continuo ed ininterrotto di avventori) intorno alle ore 19,30 circa del 5 gennaio (e quindi ancora in un periodo abbastanza vicino alle festività di inizio anno), lo stesso Avola avrebbe aperto la pezza e dispiegato le pistole su un banco frigorifero ubicato all’interno del locale bar, per fare bella mostra di se stesse dinanzi a D’Agata e compagni (tra cui ovviamente anche Grancagnolo) e soprattutto, ma incredibilmente, dinanzi a tutti gli avventori del bar, con il rischio molto concreto che per esempio un poliziotto in libera uscita con la fidanzata fosse entrato dentro il bar per sorbire un buon caffè ovvero per comprare le sigarette ed al contempo avesse notato, vicino alle Marlboro ed alle Muratti Ambassador, una pistola calibro 9 ed una pistola calibro 7,65 brillanti e lucenti, in bella mostra di sé, esposte su una bellissima pezza bianca!
Una ricostruzione inattendibile
È un racconto che ha semplicemente dell’incredibile, che connota di palese inattendibilità il dictum di Grancagnolo anzicchè accreditarlo (per come invece è stato detto), perché sarebbe bastato un incidente di percorso, così banale ma altrettanto probabile, per fare naufragare ad un consesso autorevolissimo, composto da ben cinque uomini di onore che costituivano il gotha della famiglia catanese di cosa nostra, il più eclatante degli omicidi commessi dalla famiglia suddetta e per mettere tutti costoro praticamente alla berlina degli affiliati alla consorteria, non appena fosse trapelata la notizia dell’eventuale arresto per la detenzione delle due pistole esposte, che sarebbe scattato in danno dei soggetti presenti, oltre che di D’Agata quale gestore del bar.
E tale, peraltro, si badi bene, è stata la sensazione avuta non solo e non semplicemente dalla Corte, perché anche Avola Maurizio, cui ovviamente non fa difetto né l’arguzia né l’intelligenza e che ovviamente tale circostanza ha ferocemente (!) negato (anche perché indubbiamente egli, quale esibitore delle pistole nel contesto incredibile suddetto, avrebbe fatto una figura certo mediocre sul piano della propria reputazione criminale), in sede di confronto ha letteralmente irriso e devastato Grancagnolo, così dicendo a quest’ultimo a riprova di quanto dallo stesso Avola fermamente sostenuto, e cioè che Grancagnolo quella sera al Motel non vi era stato affatto e che egli riferiva notizie ricevute da Puglisi e quindi storpiate nel loro passaggio da una fonte all’altra: “non possono uscire le armi là, dottore, è impossibile perché è un porto di mare, entrano carabinieri, poliziotti, di tutto entra e lui lo sa, è impossibile uscire un’arma là…..e allora come le hai visto tu, le potevano vedere tutti…..là arrivano le guardie ogni due minuti, tu lo sai, ma quale frigorifero, Carmeleddo, finiscila per davvero, frigorifero, Marcello (D’Agata), Aldo (Ercolano), mi facevano prendere le pistole e me le facevano mettere là sopra va, ma che stiamo scherzando, dentro il bar di Marcello non lo sai quanto era camurriusu (alias: pignolo)”.
In claris non fit interpretatio!
Ed, infine, preme alla Corte evidenziare un dato che appare decisivo e che attiene alla esatta determinazione della valenza accusatoria della dichiarazione di Grancagnolo a carico di Ercolano, D’Agata, Santapaola Vincenzo e Giammuso quali presunti esecutori materiali dell’omicidio di Giuseppe Fava.
Ebbene, prescindendo per mera ipotesi di lavoro da tutto quanto è stato finora detto in ordine alla attendibilità intrinseca della dichiarazione di Grancagnolo (dal quale in verità non può prescindersi affatto), osserva la Corte che in realtà, a ben vedere, dalla dichiarazione di Grancagnolo (ove la stessa fosse in ipotesi emendabile di tutti i rilievi suesposti relativi al profilo di attendibilità intrinseca) nessun elemento concreto è desumibile per potere inferire con certezza l’affermazione (in ordine alla quale poi eventualmente ricercare il riscontro esterno) che furono costoro i soggetti che si recarono il 5.1.1984 dinanzi al Teatro Stabile, dove alle ore 22 circa essi uccisero Giuseppe Fava.
Ed, infatti, dal racconto di Grancagnolo emerge solamente che il commando composto da Ercolano, D’Agata, Avola, Enzo Santapaola, Giammuso e Tuccio, armato con le due pistole suddette, intorno alle ore 19/19,30/20 partì dal Motel Agip di Ognina a bordo di una Renault 18, di un’altra auto non meglio identificata e del Fiorino di Tuccio in direzione di Catania, imboccando la circumvallazione in direzione del Tondo Gioeni; Grancagnolo intuì ex sé che il commando era diretto a commettere un omicidio e si mosse pure lui in macchina seguendo il corteo delle tre auto, ma giunto praticamente alla prima uscita della circumvallazione all’altezza della concessionaria Alfa Romeo in prossimità del Villaggio Dusmet, ebbe a girare a destra per dirigersi verso casa sua a Nicolosi, mentre il corteo proseguì la sua strada lungo la circumvallazione; null’altro è a conoscenza diretta ovvero anche de relato di Grancagnolo, il quale l’indomani mattina apprese dai giornali della uccisione di Fava e collegò il fatto con quanto aveva visto la sera precedente; Grancagnolo si recò quindi nella campagna di Alfio Giamma a Paternò ed ivi ebbe ad incontrare Pulvirenti Giuseppe e Piero Puglisi, ai quali fece un resoconto di quello che la sera precedente aveva fatto su commissione degli stessi e disse loro: “u ficiru stautru purpettu”; né il Pulvirenti né Puglisi risposero ma entrambi si misero a ridere, di fatto annuendo a quanto egli aveva detto.
Questo è il racconto di Grancagnolo ed a questo punto sorge spontaneamente e drammaticamente alla Corte la necessità di porsi un angoscioso interrogativo: ma chi lo ha detto e dove è scritto nel dictum di Grancagnolo che i soggetti suindicati, dopo che Grancagnolo ebbe a lasciare la sede stradale della circumvallazione in direzione di Nicolosi, in un’ora che è collocabile intorno alle ore 20,15 circa, abbiano proseguito tutti, ad eccezione di Tuccio Salvatore, per un lungo tragitto lungo la circonvallazione di Catania, per poi immettersi (dopo una lunga peregrinazione attraverso Gravina e Sant’Agata Li Battiati, dove sarebbe stato intercettato il Fava) all’interno della città, fino ad arrivare in via dello Stadio dinanzi al Teatro Stabile ed ivi tutti (sempre, si badi bene, con la esclusione di Tuccio) abbiano in concorso tra loro ucciso Giuseppe Fava intorno alla ore 22?
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