Il 23 Aprile 1981, a seguito di una telefonata anonima, i poliziotti della Squadra Mobile di Palermo arrivavano in via Aloi, dove era stata segnalata una sparatoria. Qui veniva trovato un cadavere dentro un’Alfa Romeo Giulietta 2000 ferma. Era quello di Stefano Bontate, il “Principe di Villagrazia”
Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.
Il 23.4.1981, alle ore 23.30 circa, a seguito di telefonata anonima, personale della Squadra Mobile di Palermo si portava in questa via Aloi, all'angolo con via Della Regione Siciliana, dove, era stata segnalata una sparatoria.
In detta via veniva rinvenuta una autovettura Alfa Romeo Giulietta 2000 ferma a ridosso di un muro di cinta con, al posto di guida, il cadavere di un uomo avente il volto devastato da colpi d'arma da fuoco. Nei pressi dell'autovettura, sull'asfalto, venivano rilevate tracce ematiche ed impronte lasciate da calzature sporche di sangue.
Il cadavere, addosso al quale veniva rinvenuta una pistola calibro 7.65 parabellum con matricola abrasa e con colpo in canna, veniva ben presto identificato per quello di STEFANO BONTATE. Appariva subito significativo che un uomo navigato come il BONTATE circolasse armato, con ciò rischiando di essere arrestato.
Evidentemente temeva molto per la sua vita.
La vedova del BONTATE, TERESI MARGHERITA, non forniva, come era prevedibile, alcun contributo alle indagini. Sosteneva che il marito non le aveva mai esternato alcuna preoccupazione per la propria incolumità, e che non era in grado di riferire nulla su come il marito avesse trascorso le ultime ore di vita perché, quel pomeriggio, essa era uscita lasciando in casa il marito, il quale l'aveva avvertita che, da lì a poco, sarebbe uscito anch'egli per rientrare l'indomani.
[…] Già dalle prime indagini, dunque, emergeva, nonostante l'ambiente omertoso, che STEFANO BONTANTE temeva di subire qualche attentato, tanto che andava in giro armato e spesso dormiva fuori di casa.
Appariva chiaro, altresì, che egli era stato ucciso mentre si recava, appunto, nel fondo Magliocco per trascorrervi la notte e che pertanto l'agguato era stato preparato da chi ben conosceva le sue abitudini e le precauzioni che negli ultimi tempi aveva adottato; cominciava a farsi strada, quindi, l'ipotesi che qualcuno a lui vicino lo avesse tradito.
Di notevole interesse si presentavano le risultanze della perizia medico-legale sul cadavere e sulle tracce ematiche rinvenute sull'asfalto; veniva accertato, infatti, che:
- il BONTATE era stato attinto da cinque proiettili camiciati, muniti di tracciante, esplosi da un mitra verosimilmente di fabbricazione straniera, nonché da un colpo di fucile calibro 12, caricato a lupara;
- i proiettili del mitra avevano raggiunto il bersaglio da tergo ed erano stati esplosi da oltre le "brevi distanze" e, cioè, da circa tre-quattro metri, mentre la fucilata aveva raggiunto il BONTATE alla testa ed era stata esplosa da poco più di 50-60 centimetri da un killer "che fronteggiava la vittima, alquanto spostato sulla sinistra";
- il sangue umano sul selciato era del gruppo a1 e, cioè, dello stesso gruppo di quello del BONTATE.
Era possibile ipotizzare, così, che al momento dell'agguato la vittima si trovava sola nella vettura, mentre dopo la sparatoria era intervenuto qualcuno che era entrato nella macchina per prestare soccorso, sporcandosi le scarpe di sangue e lasciando le tracce sull'asfalto.
Quanto, poi, alle modalità dell'attentato, era evidente che il BONTATE, nel percorrere con l'auto la via Aloi, era stato colpito proditoriamente alle spalle dai colpi del mitra; ferito mortalmente, aveva proseguito per pochi metri finendo, quindi, con la vettura contro il muretto sito al bordo sinistro della strada, ricevendo alla fine il "colpo di grazia" con un fucile caricato a lupara.
Questa ricostruzione dell'agguato trovava un preciso riscontro, come si è visto, nelle dichiarazioni di SALVATORE DI GREGORIO.
Quest'ultimo riferiva, infatti: "(IL BONTATE), la sera in cui venne ucciso, stava recandosi da casa sua verso la sua proprietà sita in contrada Magliocco. STEFANO BONTATE si trovava in macchina da solo ma era preceduto da un'altra autovettura che gli faceva da battistrada, condotta da DI GREGORIO STEFANO di anni 35 circa, abitante nella zona di Falsomiele. Il DI GREGORIO, proveniente dalla via Aloi lato mare, riuscì a passare l'incrocio con viale Regione Siciliana e ad immettersi nella via Aloi, lato monte, precedendo così STEFANO BONTATE per fargli trovare il portone d'ingresso aperto. STEFANO BONTATE, invece, restò bloccato al predetto incrocio perché trovò il semaforo rosso. Il DI GREGORIO, giunto al portone di accesso della proprietà e non vedendo arrivare STEFANO BONTATE, tornò indietro ripercorrendo la stessa strada fatta all'andata e trovando così la Giulietta di BONTATE addossata al muro.
Inizialmente credette ad un incidente ed, aperta la porta dell'auto, trovò il corpo del BONTATE esanime. Entrò dentro la Giulietta scuotendo anche il corpo di BONTATE e fu così che si sporcò di sangue una delle scarpe e lasciò tracce di sangue sull'asfalto. STEFANO DI GREGORIO era una delle persone che accompagnava abitualmente STEFANO BONTATE. L'altra persona che gli faceva da autista era PINO DI FRANCO.
Il DI GREGORIO non si limitava a queste, pur importanti, dichiarazioni sulla dinamica dell'omicidio di STEFANO BONTATE; egli, infatti, senza mezzi termini, qualificava il BONTATE un grosso "boss" mafioso molto legato agli INZERILLO, [...].
Il DI GREGORIO era altresì a conoscenza che, in epoca successiva all'omicidio BONTATE, GIROLAMO TERESI, GIUSEPPE DI FRANCO e i due fratelli FEDERICO erano stati attirati ad un appuntamento da persona che ritenevano amica ed erano stati eliminati.
STEFANO DI GREGORIO, chiamato in causa da SALVATORE DI GREGORIO, non si presentava in Questura, benché regolarmente convocato, e soltanto il 28.12.1981 poteva essere sentito, come teste, dal P.M. Egli ovviamente negava quanto riferito da SALVATORE DI GREGORIO e, addirittura, assumeva di conoscere solo di nome GIROLAMO TERESI e di non conoscere il DI FRANCO e i due FEDERICO.
Ammetteva soltanto di avere lavorato stabilmente alle dipendenze di STEFANO BONTATE, quale bracciante agricolo, negli agrumeti da lui posseduti in territorio di Palermo.
Il 4.1.1982, a meno di una settimana, cioè, dallo esame testimoniale di DI GREGORIO STEFANO, scompariva nel nulla SALVATORE DI GREGORIO. […].
La paura di Salvatore Contorno
Il CONTORNO, in particolare, ha riferito quanto segue: «Il BONTATE è stato ucciso la notte del suo compleanno e, come al solito, aveva tenuto un banchetto, in campagna, per festeggiare la ricorrenza. Io gli avevo fatto gli auguri il giorno prima, non ritenendo opportuno, data la mia qualità di latitante, di correre il rischio di partecipare ad una riunione, sia pure motivata da fini leciti, che avrebbe potuto provocare qualche controllo di polizia.
Appresi della morte del BONTATE il giorno successivo, mentre mi trovavo nell'appezzamento di terreno di mio padre, in contrada Conte Federico. Ovviamente, la notizia mi sconvolse dati i rapporti di affetto che mi legavano al BONTATE stesso e corsi subito a casa di MIMMO TERESI, o meglio, al "baglio" di STEFANO BONTATE (baglio BONTATE in via Villagrazia) per incontrarmi col TERESI. […] Dopo un po' che mi trovavo al baglio, sopraggiunse il TERESI, anch'egli sconvolto, e mi disse che si sarebbe recato da MICHELE GRECO per vedere il da farsi. […]».
Tali dichiarazioni sono veritiere anche sul punto del festeggiamento del compleanno di STEFANO BONTATE, nella casa di campagna di S. Maria di Gesù, come si deduce dalle pur reticenti dichiarazioni della vedova, TERESI MARGHERITA.
La stessa, infatti, omettendo di ricordare ai verbalizzanti che quel giorno era il compleanno del marito, ha riferito che quest'ultimo l'aveva informata che sarebbe uscito nel primo pomeriggio e avrebbe dormito fuori. Evidentemente, il BONTATE, sapendo di essere in pericolo, intendeva ricevere gli auguri, di parenti ed amici fuori casa e trascorrere la notte altrove per evitare possibili attentati.
Ciò significa che soltanto a seguito di un "tradimento" compiuto da persone vicinissime al BONTATE - e, quindi, in grado di conoscerne gli spostamenti - i suoi avversari erano potuti venire a conoscenza tempestivamente che egli, quella notte, avrebbe dormito nel fondo Magliocco.
E che un tradimento ci sia stato si evince dalla scarsissima affluenza di "uomini d'onore" della "famiglia" nel baglio del BONTATE per le condoglianze.
Il CONTORNO, infatti, completamente estraneo al complotto, vi si era recato per rendere omaggio alla salma e per stabilire il da farsi ed aveva notato con sorpresa la presenza di pochissime persone. Perfino l'affluenza ai funerali era stata molto scarsa: le uniche mogli di uomini d'onore presenti erano quella di MICHELE GRECO e quella di MASINO SPADARO: e del resto, se si pensa che MICHELE GRECO era il capo di "Cosa Nostra" e MASINO SPADARO era compare del defunto, era ovvio che le loro mogli non potevano mancare, altrimenti la loro assenza avrebbe significato implicita ammissione di non estraneità all'omicidio.
Dopo l'uccisione di BONTATE, SALVATORE CONTORNO - dotato di scarsissima cultura ma di grande intuito e di estrema sensibilità nel fiutare le situazioni di pericolo - si era reso subito conto della gravità della situazione e, ritenendo scontato che l'ordine di uccidere BONTATE proveniva dai corleonesi, si era astenuto dall'avvicinare qualsiasi membro della sua "famiglia", perché non si fidava più di nessuno ad eccezione nel vice di BONTATE, GIROLAMO TERESI. Egli sospettava maggiormente dei fratelli GIOVANBATTISTA ed IGNAZIO PULLARA', per la loro parentela con BERNARDO BRUSCA, fidatissimo alleato dei corleonesi.
Nei giorni successivi, le idee del CONTORNO si chiarivano ancora di più alla luce dei seguenti eventi, di univoco significato:
- MICHELE GRECO ripeteva continuamente a GIROLAMO TERESI che stava assumendo informazioni per accertare chi aveva ucciso il BONTATE, così lasciando passare inutilmente i giorni e dimostrando in modo assolutamente chiaro che anch'egli faceva parte del complotto per uccidere il BONTATE;
- pur essendo ancora in vita GIROLAMO TERESI, vice del defunto BONTATE, erano stati nominati reggenti della "famiglia" di S. Maria di Gesù PIETRO LO JACONO e GIOVANBATTISTA PULLARA', anziché il TERESI che avrebbe dovuto essere il successore naturale: ciò significava che sia i PULLARA' sia il LO IACONO non erano estranei alla uccisione del BONTATE;
- dovendosi nominare il nuovo capomandamento della famiglia di S. Maria di Gesù a seguito della morte del BONTATE, che ricopriva anche tale incarico, era stato preferito, guarda caso, NINO GERACI, della "famiglia" di Partinico, che aveva ormai sostituito il vecchio ed omonimo "ZU NENE'" GERACI.
[…] Il LO IACONO, arrestato in occasione del c.d. blitz di Villagrazia, era stato trasferito al carcere di Ascoli Piceno, dove era detenuto anche SALVATORE CONTORNO. In occasione del loro unico incontro in carcere, il LO IACONO si mostrava molto reticente, evitava l'argomento degli omicidi di STEFANO BONTATE e di SALVATORE INZERILLO e, quanto al proprio arresto, si limitava a dire che era avvenuto in una villa mentre giocava a carte con amici; naturalmente, nulla riferiva né sui motivi della riunione né sulla identità degli "amici". Quella stessa giornata, poi, il LO IACONO veniva trasferito in un altro settore del carcere, inaccessibile ad esso CONTORNO, evidentemente su sua richiesta e perché ne temeva le reazioni.
Il racconto di Buscetta
«Ritornato in Brasile (gennaio 1981: n.d.r.) appresi dai giornali, dopo alcuni mesi, dell'uccisione di STEFANO BONTATE e mi recai, pertanto, da Rio a San Paolo dove feci notare ad ANTONIO SALAMONE che la profezia si era avverata e lo invitai ad informarsi a Palermo di quanto stava accadendo».
«ANTONINO SALAMONE, quando gli telefonai per parlare dell'omicidio di STEFANO BONTATE e lo preavvertii del mio arrivo a San Paolo, mostrò di essere già informato di tale evento.
Quando, poi, mi recai a trovarlo, mi disse che si sarebbe posto in contatto telefonico col "PAPA" e, cioè, con MICHELE GRECO al fine di avere notizie al riguardo. Poi, per telefono, mi fece sapere che MICHELE GRECO gli aveva detto di essere all'oscuro di ogni cosa circa autori e moventi di tale omicidio; anzi, il SALAMONE mi disse che era meravigliato del fatto che MICHELE GRECO non lo aveva invitato a venire a Palermo per discutere di un fatto tanto importante.
Il SALAMONE mi riferì anche di avere parlato per telefono con SALVATORE INZERILLO, il quale gli aveva detto di essere convinto che anche tale omicidio era opera dei corleonesi e che non credeva affatto che MICHELE GRECO non sapesse nulla al riguardo; proprio perché nutriva dei sospetti nei confronti del GRECO, si era astenuto dall'andare a trovarlo......
Inoltre, secondo quanto riferitomi da ANTONIO SALAMONE, INZERILLO gli aveva detto che STEFANO BONTATE era stato ucciso il giorno del suo compleanno e che era andato a trovarlo, poco prima che venisse ucciso, PIETRO LO IACONO, il quale aveva appreso dallo stesso BONTATE che quest'ultimo stava per uscire per recarsi nella sua casa di campagna, dove avrebbe trascorso la notte. Il LO IACONO, appena uscito, aveva avvertito LUCCHESE GIUSEPPE, nipote di TOMMASO SPADARO, il quale, via radio (e, cioè, con un apparecchio ricetrasmittente), aveva informato dell'uscita di BONTATE i killers che si trovavano in agguato nei pressi della casa di campagna del predetto; il LUCCHESE, invece, era a bordo di un'autovettura nei pressi della casa del BONTATE, in modo da poterne controllare l'ingresso. […] Preciso ancora che, secondo quanto riferitomi dal SALAMONE, SALVATORE INZERILLO, nel dirgli che MICHELE GRECO aveva affermato di non sapere nulla dell'omicidio di BONTATE, aveva commentato sarcasticamente tale atteggiamento del "PAPA", facendo rilevare che era impossibile che egli non sapesse nulla, dato che un uomo della sua "famiglia" (LUCCHESE GIUSEPPE) aveva preso parte attiva all'omicidio del BONTATE stesso. [...]».
Le dichiarazioni del BUSCETTA - rese, si badi bene, molto prima di quelle del CONTORNO - ne rispecchiano in modo impressionante il contenuto circa le modalità dell'omicidio del BONTATE e consentono di individuare in PIETRO LO IACONO il "traditore" che, tramite GIUSEPPE LUCCHESE, informò i killers circa il luogo in cui il capo di S. Maria di Gesù si stava recando per trascorrervi la notte. […].
Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo. Estratto fotografico proveniente dall'Archivio della redazione del giornale “L'Ora” custodito nella Biblioteca centrale della Regione Siciliana
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