Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Paolo Borsellino, un giorno, deve affrontare un viaggio molto lungo, arrivare fino in Brasile per interrogare quattro mafiosi a Belo Horizonte. Gli altri, così, scoprono che ha paura di volare.

Salire su un aereo per lui è un incubo. Si affida sempre a riti scaramantici. Sono in quattro, in Brasile. C’è Falcone. C’è il sostituto procuratore Giuseppe Ayala e c’è anche Ninni Cassarà, il capo della sezione investigativa della squadra mobile.

La sentenza ordinanza del maxi processo nell’estate del 1985 è quasi conclusa. Ma, a pochi mesi dall’inizio del dibattimento, Ninni Cassarà muore ammazzato. Una settimana prima hanno ucciso anche Giuseppe Montana, il suo collega che dà la caccia ai latitanti.

Un funzionario di polizia avverte il consigliere istruttore Antonino Caponnetto che una sua «fonte», all’interno delle carceri, gli ha raccontato che stanno per far fuori anche due giudici. Prima Borsellino e poi Falcone.

I due giudici vengono caricati dopo poche ore su un elicottero. Borsellino, la moglie Agnese, i tre figli. Falcone, la compagna Francesca e la madre di lei. Conoscono il luogo dove li nasconderanno solo in volo: l’isola dell’Asinara. Li rinchiudono in un carcere di massima sicurezza. Sono al sicuro soltanto in mezzo al mare.

La tragedia pubblica di Palermo per Paolo Borsellino è anche una grande tragedia privata.

Lucia, la figlia più grande, si ammala. Non mangia più. Da molti mesi è scivolata in un malessere profondo. È una ragazzina, la vita blindata del padre la sta devastando. La sera prima dell’Asinara, nella loro casa sul mare di Villagrazia irrompono all’improvviso gli agenti dei corpi speciali. C’è anche un mezzo blindato per trasportare la famiglia Borsellino fino all’aeroporto.

Su quei giorni all’Asinara, il ricordo di Lucia è affidato al giornalista Umberto Lucentini:

Sono lì da una settimana quando decido di passeggiare, di esplorarla un po’ quest’isola dove ci hanno spedito lontano dal pericolo di vendetta della mafia. È il momento che mi rendo conto che nemmeno all’Asinara possiamo stare tranquilli… Nell’attimo in cui metto un piede fuori dal giardino che circonda la foresteria e mi incammino con mia sorella tra i campi, scorgo un corteo di persone che ci

seguono, si nascondono dietro i cespugli, con i mitra spianati… mi crolla il mondo addosso, altro che rifugio sicuro.

Da quell’attimo mi passa la voglia di passeggiare, di fare qualsiasi cosa. Mi rinchiudo in camera per cinque giorni di fila. Non ho

più fame. Ogni giorno che passa è sempre peggio. Mio padre capisce subito cosa sta succedendo. Io no: quando mi chiede «Perché non mangi?» non so dargli risposta. Gli dico che vorrei tornare a casa.

Papà sa che il rischio è altissimo, ma non sente ragioni: prende me e Fiammetta, ci infila in gran segreto in elicottero e ci accompagna fino a Palermo. Restiamo con i nonni a Villagrazia, lui torna all’Asinara. Sono ridotta a uno scheletro quando papà torna a Palermo. Da quel momento papà non mi lascia un secondo.

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