Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Palermo l’ha indurito, vive nel dolore. I suoi figli stanno crescendo in una città che non riconosce più. Lo sa che rischia lui e rischia anche tutta la sua famiglia.

Ma Paolo Borsellino ha passione, sentimenti forti, resiste a ogni compromesso, è di una semplicità disarmante, vero, colto, capace di parlare per mezz’ora in un siciliano strettissimo e poi, all’improvviso, di recitare a memoria il Paradiso o i versi di Goethe sulla sua Palermo in tedesco.

È un uomo che ha paura per sé e per i suoi figli ma non arretra mai. È indignato.

Non ci pensa un istante a mollare. E finisce giù anche lui.

Muore neanche due mesi dopo la strage di Capaci. Come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino viene dalla Kalsa. Da bambini hanno abitato a pochi passi l’uno dall’altro. 

La farmacia è lì dalla fine dell’Ottocento. Il palazzo dove vivono è proprio difronte, in via della Vetreria. Al piano nobile ci sono i padroni, i marchesi Salvo, al secondo piano c’è la loro casa. Dieci stanze, pavimenti con i mosaici, soffitti altissimi, un grande terrazzo dal quale si scorge il mare del Foro Italico.

Diego Borsellino e Maria Lepanto si sposano nel 1935. Nello stesso anno si ritrovano tutti e due dietro il bancone di legno

della farmacia.

Nel 1938 la prima figlia, Adele. Nel 1940 nasce Paolo. Nel 1942 Salvatore. Nel 1945 arriva Rita.

È una famiglia rispettata alla Magione, quella dei Borsellino.

È benestante, molto religiosa. In casa sono conservatori, credono nel fascismo e sono affascinati dal Duce. Quando la guerra finisce e sbarcano gli americani crolla un mondo.

In via della Vetreria c’è anche lo zio Ciccio, fratello della madre, ex ufficiale di cavalleria, che fa rivivere Mussolini e l’Impero con i suoi strabilianti racconti sulle «campagne» d’Africa.

Paolo Borsellino non ha ancora dieci anni e lo ascolta estasiato. Raccoglie tutto quello che trova sui Savoia, studia la storia di Umberto I e di Vittorio Emanuele III, cataloga tutto quello che trova sulla famiglia reale.

Cominciano però i tempi duri, alla Kalsa. Quello che più di mille anni prima era approdo di emiri e condottieri, ora è un quartiere sopravvissuto ai bombardamenti. Paolo Borsellino cresce in una Palermo che fa fatica ad uscire dalla miseria. La farmacia di via della Vetreria non ha più i clienti di una volta, i Borsellino cambiano casa. Vanno ad abitare in una più piccola, in via Roma.

Il gelato è solo nei giorni di festa.

Alla Marina, sotto la passeggiata delle Mura delle Cattive. Da Ilardo. Spongati. Spumoni. Pezzi duri. Semifreddi. Fette brasiliane e fette gianduia.

Dopo le medie Paolo s’iscrive al «Meli», il liceo classico. La maturità nel 1958. Poi Giurisprudenza. E la politica. Entra alla «Giovane Italia» che poi diventerà Fuan, il Fronte Universitario di Azione Nazionale. È un movimento neofascista.

Davanti alle facoltà ci sono sempre scontri fra studenti. Una mattina c’è una rissa violenta. Feriti. Lì in mezzo c’è anche lui.

Lo denunciano. L’inchiesta finisce a Cesare Terranova, un magistrato che non nasconde le sue simpatie per i comunisti. Paolo Borsellino viene ascoltato in Tribunale. Dice che non c’entra niente con il pestaggio. Terranova gli crede. Archivia.

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