Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Sono passati appena quattro giorni dalla morte di Salvo Lima e un nuovo inquietante messaggio scuote i Palazzi. Questa volta arriva dagli uffici del Viminale.

È un telegramma inviato dal capo della Polizia, Vincenzo Parisi, a prefetti e questori, comandanti dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per segnalare il rischio di una campagna terroristica in grande stile che punterebbe all’eliminazione di politici di primo piano dei maggiori partiti.

L’allarme, che fa riferimento a documenti e telefonate anonime, parla di “eventi omicidiari” e “strategie destabilizzanti che in breve tempo potrebbero insanguinare il Paese”.

Il capo della Polizia teme stragi. Fra i personaggi a rischio vengono indicati il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, i ministri siciliani Calogero Mannino, Carlo Vizzini e Salvò Andò, il ministro della Giustizia Claudio Martelli.

Ma il suo avvertimento cade nel vuoto.

«È lo scherzo di un pataccaro», si precipita a dichiarare il capo del governo Andreotti. Anche il presidente della Repubblica Cossiga ridimensiona il pericolo.

Alcuni degli uomini politici nel mirino della mafia siciliana però hanno paura. Vogliono salvarsi la pelle. E, dopo l’omicidio di Salvo Lima, sanno bene che potrebbe toccare a loro.

Così incaricano uomini di fiducia dei servizi segreti e dei reparti investigativi di agganciare i boss per fermare i sicari.

È il principio di quella che – si scoprirà solo molti anni dopo – diventerà la prima trattativa fra Stato e mafia. Un patto che non cerca la mafia ma che vuole lo Stato.

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