Uno spostamento delle simpatie politiche della mafia e di una sua utilizzazione nella «strategia della tensione» e in collegamento con le trame nere. I giudici Turone, Caizzi ed Arcai considerano il rapporto tra mafia e trame nere «qualcosa di più di una semplice ipotesi di lavoro».
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.
In questo quadro un elemento nuovo si viene a delineare: quello di un certo spostamento delle simpatie politiche della mafia e di una sua utilizzazione nella «strategia della tensione» e in collegamento con le trame nere. I giudici Turone, Caizzi ed Arcai considerano il rapporto tra mafia e trame nere «qualcosa di più di una semplice ipotesi di lavoro».
È noto che durante le elezioni regionali del 1971, che videro una forte avanzata del Msi, gruppi notevoli di mafiosi di borgate palermitane e di certi quartieri popolari spostarono la loro attività elettorale dalla Dc al Msi.
I corrieri del tritolo scoperti a La Spezia confermano gli interrogativi sui collegamenti tra contrabbando e traffico di armi e di esplosivi e attuazione di alcuni sequestri di persona. È casuale la fuga di Leggio nel novembre del 1969 — alla vigilia della strage di Piazza Fontana — e il suo scegliere Milano come base operativa?
E la scelta, da parte di grossi mafiosi, di Pino Mandatari, già candidato del Msi, come consulente finanziario è pure casuale?
E le voci su una utilizzazione di killers mafiosi per l'assassinio di dirigenti politici nazionali in caso di golpe da parte del gruppo Pomar-Micalizio, non sono forse indicative?
Questi elementi e gli interrogativi ancora aperti assumono rilievo e diventano oltremodo preoccupanti se si tiene presente che la mafia, in passato, ha sempre avuto un ruolo di punta nella battaglia delle forze reazionarie contro il movimento popolare.
La mafia come “strumento” antidemocratico
Le cosche mafiose sono state utilizzate in maniera spregiudicata contro il movimento operaio e contadino siciliano dalle forze del blocco agrario per impedire la riforma agraria; la lotta del popolo siciliano per la sua emancipazione è punteggiata da decine di martiri trucidati dalla mafia al servizio della conservazione.
Questa rapida messa a punto sull'evoluzione del fenomeno mafioso e sulle caratteristiche che è venuto assumendo negli anni più recenti ci conduce ad alcune conclusioni.
I cambiamenti anche profondi che sono intervenuti nel modo di essere della mafia non consentono, comunque, di affermare che essa abbia perduto la sua caratteristica originaria della incessante ricerca del collegamento con il potere politico. Tale collegamento continua ad esistere e trova alimento in un potere oligarchico e clientelare che rifiuta sistematicamente una vera dialettica democratica, mortifica le istituzioni rappresentative, impedisce lo sviluppo di forme nuove di partecipazione e controllo democratico dei cittadini.
L'inchiesta condotta sulla vicenda Mangano-Coppola-Spagnuolo, sul caso Rimi alla Regione Lazio, sulla fuga di Luciano Leggio dalla clinica romana, eccetera ha consentito alla Commissione di raccogliere una documentazione imponente sul come, anche fuori dalla Sicilia, la mafia possa utilizzare il sistema di potere clientelare per svolgere la sua attività. La requisitoria del Pubblico ministero dottor Caizzi nel processo contro Leggio e le cosche mafiose operanti in Lombardia, che la Commissione ha acquisito ai suoi atti, sottolinea ancora il collegamento dei mafiosi con alcuni uomini politici.
Ecco perché sarebbe un grave errore l'accoglimento da parte della Commissione della tesi secondo la quale si sarebbe esaurito il rapporto mafia-potere politico. Nella città di Palermo, per esempio, tutta la documentazione raccolta nel corso dell'inchiesta negli anni '60 conserva la sua validità. Il comportamento, ancora oggi, del gruppo dirigente della DC nella gestione del Comune e della Provincia di Palermo offre il terreno più favorevole al perpetuarsi del sistema di potere mafioso. Ciò non significa che non vi siano dei cambiamenti.
Si cerca di dare veste di apparente modernità alla gestione dei vari enti. Ma, nella sostanza, il sistema di potere resta clientelare e mafioso. Di questa triste realtà hanno preso coscienza in vari momenti esponenti qualificati della DC. Ma tutte le iniziative adottate, sino ad oggi, non hanno avuto successo.
© Riproduzione riservata