La mafia in provincia di Caltanissetta ha avuto sempre «un ruolo politico di primo piano. Basti ricordare i nomi di don Calogero Vizzini e di Giuseppe Genco Russo. La mafia nissena si è sempre caratterizzata per la sua capacità di garantire «l'ordine» in quella provincia, come dimostra l’assenza di gravi fatti di sangue e di altri clamorosi reati.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.
Le cosche mafiose della provincia di Caltanissetta hanno avuto sempre «un ruolo politico di primo piano. Basti ricordare i nomi di don Calogero Vizzini e di Giuseppe Genco Russo.
La mafia nissena si è sempre caratterizzata per la sua capacità di garantire « l'ordine » in quella provincia. L'assenza di gravi fatti di sangue e di altri clamorosi reati ha consentito a determinati uomini politici e funzionaci «responsabili» di affermare che la mafia a Caltanissetta sarebbe ormai scomparsa. Improvvisamente, invece, nella seduta del 12 settembre 1972 del Consiglio comunale di Caltanissetta il sindaco, professar Raimondo Collodoro, denuncia di aver subito intimidazioni mafiose. Quell'episodio ripropone il problema dello scontro fra diversi gruppi di potere nei Settori dell'urbanistica, dell'attività edilizia e del mercato ortofrutticolo.
Il Comune di Caltanissetta in qual momento doveva predisporre i programmi per l'approvazione della legge per la casa con la cessione delle aree dei piani zonali alle cooperative già finanziate. L'intimidazione mafiosa nasceva dalla volontà di gruppi di speculatori privati di impedire la creazione di un mercato competitivo di aree.
Contemporaneamente, manovrando gli organi di controllo, si cercava di vanificare una delibera del Consiglio comunale che poneva un vincolo a vende nel Parco Testasecca che un gruppo di speculatori mafiosi intendeva, invece, accaparrarsi.
Si sono poi avute le conferme clamorose della presenza maliosa in provincia di Caltanissetta con il caso Di Cristina, i suoi rapporti con l'Ente minerario e i suoi legami elettorali con l'onorevole Gunnella.
Gli interessi verso il polo industriale
Ma le cosche mafiose hanno manifestato la loro presenza anche nel polo di sviluppo industriale di Gela. Ecco, a questo proposito, quanto è stato denunciato nell'interrogazione che gli onorevoli La Marca, Mancuso e Vitali hanno rivolto in data 26 marzo 1975 ai Ministri delle partecipazioni statali, interno e lavoro: « I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri delle partecipazioni statali, dell'interno e del lavoro e della previdenza sociale per sapere:
se sono a conoscenza del pesante clima di tensione esistente attornio al complesso petrolchimico di Gela e, più specificatamente, nell'ambito delle imprese appaltatrici di lavori e servizi dell'Anic, dove episodi di brutale sfruttamento di lavoratori (spesso culminati in infortuni anche mortali), di corruzione, di connivenza tra imprese appaltatrici ed alcuni tecnici dell'azienda di Stato, nonché di intimidazioni maliose contro le organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil si vanno verificando con un crescendo impressionante, fimo al punto, non soltanto di turbare la tranquillità necessaria all'ambiente di lavoro, ma amene di mettere in serio pericolo la stessa incolumità dei lavoratori e dei dirigenti sindacali.
Significativi di tale grave situazione sono gli episodi verificatisi negli ultimi mesi e precisamente: a) la costruzione di due villini in contrada Desusino, di proprietà di due tecnici dell'Anic addetti all'ufficio manutenzione edile dello stabilimento, eseguita dall'impresa Mecos, appaltatrice di lavori dell'Anic, a mezzo di operai dipendenti da detta impresa, costruzione denunziata dalla Camera del lavoro di Gela l'8 febbraio 1975 e confermata dalla ispezione effettuata dall'Ispettorato provinciale del lavoro il 12 febbraio 1975; b) l'intimidazione di pretta marca mafiosa contro il segretario della Camera del lavoro di Gela al quale, la sera dell'11 febbraio 1975, veniva incendiata l'auto; c) la sparatoria (8 colpi di pistola) ad opera di un pregiudicato non nuovo ad aggressioni del genere contro il direttore dell'impresa Smim (anche questa appaltatrice di lavori dell'Anic), per fortuna rimasto illeso insieme con altri operai che si trovavano dietro la macchina del citato direttore, presa di mira dallo sparatore all'interno del petrolchimico il 7 marzo 1975;
se risulta a verità che noti delinquenti comuni, assunti come operai dalle imprese Mecos e Smim e da queste regolarmente retribuiti, svolgono la duplice mansione di prese e di informatori del locale Commissariato di Pubblica sicurezza;
se, dopo la scoperta della costruzione di due villini da parte dell'impresa Mecos per conto di due tecnici dall'Anic, abbia trovato conferma la voce, secondo la quale la stessa impresa sta costruendo a Caltanissetta un villino per conto di un funzionario di quell'Ispettorato provinciale del lavoro;
se, alla luce dei fatti sopra riportati, i Ministri non ritengono di dover intervenire, con un'azione concertata, per rompere l'intreccio sviluppatosi, all'ombra del rigoglioso bosco degli appalti-Anic, tra alcuni tecnici dello stabilimento petrolchimico, le imprese appaltatrici, il Commissariato di Pubblica sicurezza e lo stesso Ispettorato provinciale del lavoro.
In particolare si chiede al Ministro delle partecipazioni statali se non sia giunto armai il momento di affrontare il grave problema della pratica degli appalti ancora recentemente, e non soltanto a seguito dei gravi fatti sopra denunziati, sollevato dalle organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil, con la precisa richiesta di abolire la concessione in appalto di servizi e lavori all'interno dello stabilimento che potrebbero essere condotti direttamente dall'azienda di Stato».
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