Durante le fasi più dure della pandemia e in particolare durante il lockdown, si sarebbe registrato un aumento tra il 15 e il 20 per cento del numero dei lavoratori e lavoratrici migranti sfruttati nelle campagne italiane. Numeri che la regolarizzazione del governo ha scalfito solo marginalmente
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tratteremo il tema del caporalato e del lavoro che diventa schiavitù, arricchendo padroni e padroncini.
«Noi braccianti abbiamo lavorato come muli durante questa pandemia per l'Italia», dichiara Harbhajan Ghuman, presidente dell'associazione indiana Eknur che da anni denuncia le condizioni di sfruttamento in agricoltura in cui vivono migliaia di suoi connazionali. «Però – continua Harbhajan – non è stato riconosciuto il nostro lavoro e il nostro sacrificio. Abbiamo lavorato anche di notte per garantire a tutti gli italiani la frutta e la verdura nei supermercati. I padroni sono diventati più ricchi. I commercianti sono diventati più ricchi, soprattutto quelli delle grandi catene. Ma noi braccianti siamo rimasti poveri e sfruttati. Anzi, a volte il padrone si è comportato come un vero mafioso, obbligandoci ad acquistare autonomamente le mascherine, i guanti e il gel, oppure a lavorare di notte sotto la minaccia di licenziamento o di violenze fisiche, come pure è capitato. Noi continuiamo a lavorare come asini, a vivere in povertà e a volte a morire sul posto di lavoro. Eppure non siamo considerati. I nostri bisogni non sono ascoltati e i nostri diritti non sono riconosciuti, mentre la voce del padrone arriva sempre all'orecchio del governo. È in questo modo che questo Paese vuole sconfiggere le mafie? Così i padroni e le mafie diventano più ricche e più forti».
Più lockdown, più schiavi
Secondo Tempi Moderni, come riportato nel dossier Immigrazione di Idos (2020), durante le fasi più dure della pandemia e in particolare durante il lockdown, si sarebbe registrato un aumento tra il 15 per cento e il 20 per cento del numero dei lavoratori e lavoratrici migranti sfruttati nelle campagne italiane. Numeri che la regolarizzazione del governo ha scalfito, come si vedrà, solo marginalmente.
Il Covid, ancora secondo Tempi Moderni, avrebbe prodotto un aumento di circa 40-55 mila persone sfruttate che si è manifestato nella duplice direzione del peggioramento delle condizioni lavorative e nella crescita dell’orario giornaliero di lavoro. Ad esempio, nel corso del biennio 2018-2019, il tasso di irregolarità lavorativa in agricoltura era del 39 per cento.
Durante invece il periodo Covid-19, il tasso di irregolarità è giunto al 48 per cento. Ciò significa che quasi un bracciante immigrato su due, in agricoltura, durante la pandemia, è stato impiegato in modo irregolare. Molti datori di lavoro, infatti, hanno percepito il Covid-19 come una grande occasione per moltiplicare i propri profitti, leciti e illeciti, peggiorando le condizioni di lavoro e di sfruttamento della manodopera immigrata, ri-organizzandone la gestione e le forme di impiego in un tempo estremamente breve, compromettendo ulteriormente i salari e le libertà fondamentali. Se, ad esempio, più di 300mila lavoratori immigrati agricoli, ovvero quasi il 30 per cento del totale, lavorava, nella fase precedente alla pandemia, secondo quanto dichiarato ufficialmente dai datori di lavoro, meno di 50 giornate l’anno sebbene in realtà ne lavorasse almeno il triplo, durante il Covid-19 il numero delle giornate di lavoro ufficialmente registrate dalle aziende agricole è diminuito del 20 per cento, con un aumento delle ore giornaliere effettuate e non registrate e dell'intensità di lavoro quotidiana.
Secondo Pina Sodano, vice presidente di Tempi Moderni, «sono necessarie norme e procedure migliori, controlli più avanzati e servizi professionali e di lungo periodo per raccogliere le testimonianze dei lavoratori e delle lavoratrici e nel contempo per accompagnarli in un percorso di emancipazione definitiva. Ciò che abbiamo rilevato durante quella fase è stato un aumento esponenziale dell'attività lavorativa con la conseguente diminuzione, ad esempio, dell'orario di pausa, l'allungamento generale dell'orario di lavoro quotidiano, l'aumento del rischio di incidenti anche gravi». Proprio come accaduto nell'Agro Pontino a danno di un bracciante indiano di 32 anni caduto da una serra il 22 agosto scorso, l'organizzazione del lavoro notturno e l'abbassamento esponenziale, causa lockdown, della vertenzialità dei lavoratori immigrati.
La retribuzione registrata, inoltre, è variata, durante il Covid-19, in media, tra i 15 e i 25 euro al giorno, il lavoro a cottimo è stato retribuito circa 3/4 euro per un cassone da 375 chili e il salario mensile è risultato inferiore di circa il 60 per cento rispetto ai Ccnl e Cpl. I lavoratori e le lavoratrici migranti, nel Nord come nel Sud del Paese, sono stati reclutati mediante modalità più sofisticate rispetto alle tradizionali “piazze degli schiavi”, come, ad esempio, i gruppi Whatsapp o chiamate telefoniche dirette.
I lavoratori immigrati hanno, inoltre, continuato a pagare il trasporto da e per il posto di lavoro in media 5 euro al giorno, viaggiando spesso senza la mascherina anti Covid-19 che, peraltro, in molti casi non è stata fornita gratuitamente dall'azienda, costringendo i lavoratori ad acquistarla privatamente con una decurtazione non indifferente del loro potere economico di spesa, considerando che tale acquisto, per la veloce usura della stessa, doveva essere replicato in media ogni due giorni.
L’orario medio nell'Italia del Covid-19 per i lavoratori immigrati dell'agricoltura è oscillato tra le 8 e le 15 ore al giorno, registrando anche in questo caso un aumento soprattutto nelle aziende agricole di medie e grandi dimensioni, anche per la loro capacità di intercettare, mediante la grande distribuzione, l'aumento della domanda di tali beni venduti nei centri commerciali e supermercati urbani.
E i controlli? Durante questa specifica e drammatica fase, sono saltati. Nessuno controllava, in particolare gli ispettori dell'Inps, e questo ha determinato una sorta di “liberi tutti” per migliaia di padroni che si sono sentiti in diritto e nella possibilità di sfruttare senza rischiare nulla. Per quanto riguarda invece le braccanti immigrate, durante la fase 1 del Covid-19, esse hanno continuato a percepire un salario inferiore del 20-30 per cento rispetto ai loro colleghi uomini e connazionali. Il lockdawn peraltro ha comportato una loro maggiore emarginazione sociale, con aumento dei casi di violenza sul lavoro e in famiglia.
Tra rassegnazione e immutabilità
Un altro aspetto da considerare riguarda l'aumento esponenziale dell'arrendevolezza per il senso di immutabilità della condizione di sfruttato ed emarginato vissuta dai lavoratori immigrati. Ciò probabilmente deriva dal clima emergenziale diffuso nel Paese, che ha fatto percepire agli immigrati di essere secondari rispetto ai destini del Paese e degli italiani.
La comunicazione istituzionale che il governo Conte 1 ha prodotto durante la fase pandemica è stata tutta in lingua italiana e, dunque, rivolta agli italiani, tralasciando ogni mediazione dei suoi contenuti al lavoro, spesso orientato e strumentale, di soggetti non qualificati o interessati a tradurre in modo corretto, come i datori di lavoro, caporali, truffatori anche di origine straniera. Afferma Gurwinder Singh, bracciante indiano impiegato in un'importante azienda agricola dell'Agro Pontino: «Sono mesi che lavoro per 3,50 euro l'ora anche se so che il mio contratto prevede 9 euro lorde l'ora per lavorare 6,30 ore al giorno. Ed invece lavoro anche 14 ore al giorno, domenica compresa. Ma non posso lamentarmi, anche se il padrone mi paga meno e non mi fornisce la mascherina che sono costretto a comprarmi. Non credo che la mia denuncia in questa fase verrà ben considerata dal giudice italiano o dalla polizia. Io lo so che ho diritto ma in questa fase sto in silenzio». Ciò ha contribuito, nel caso dei lavoratori immigrati, ad auto-considerarsi secondari o subordinati non solo nei riguardi degli interessi dei datori di lavoro sfruttatori ma anche del Paese.
Insomma un sovranismo istituzionale strisciante che ha continuato a produrre emarginazione e a legittimare lo sfruttamento considerando gli immigrati già sfruttati utili solo per reggere, come ripetutamente dichiarato dall'allora Presidente Conte in diretta nazionale con una profonda dose di retorica, i destini dell'Italia e degli italiani.
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