Emerge anche l'esistenza di un codice di comunicazione conosciuto ai soli componenti della famiglia Saguto, secondo cui non bisognava mai parlare troppo esplicitamente al telefono delle questioni economiche, che poi venivano risolte in modo non lecito da parte di Cappellano Seminara.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla vicenda di Silvana Saguto, la giudice del Tribunale di Palermo che gestiva i beni sequestrati alla mafia finita al centro di un’indagine partita nel 2015 dalla procura di Caltanissetta. Nella condanna di primo grado i magistrati hanno accertato scambi di favori e di soldi tra la Saguto, avvocati e amministratori giudiziari.
La dazione di denaro in contanti da parte di Gaetano Cappellano Seminara avvenuta il 30 giugno 2015 è stata, ad avviso del Tribunale, pienamente dimostrata nel corso del processo.
La cronologia dei contatti che si sono susseguiti tra Cappellano Seminara e la Saguto dall'8 al 30 giugno 2015, così come dettagliatamente verrà di seguito ricostruita attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali, valutate unitamente alle dichiarazioni rese dal teste Caronia (nella parte in cui esse sono da ritenere attendibili), dimostrano che la visita effettuata da Cappellano Seminara presso l'abitazione della dottoressa Saguto la sera del 30 giugno 2015 alle ore 22,35 aveva come precipuo scopo la consegna del denaro ripetutamente richiestogli dalla Saguto nel corso delle conversazioni intercettate.
I dialoghi captati in quel periodo danno prova, infatti, della situazione di profonda crisi economica, caratterizzata da un elevato indebitamento bancario e da una carenza di liquidità, in cui versava il nucleo familiare nei mesi da maggio a luglio 2015 e delle pressanti richieste dalla Saguto, ripetutamente formulate al Cappellano, di fornirle dei "documenti", non meglio precisati, che, comunque, nel contesto del discorso apparivano come necessari per fronteggiare i gravi problemi economici.
Di seguito si riporta il fittissimo crescendo di conversazioni telefoniche ed ambientali, relative alle difficoltà economiche vissute dalla famiglia Saguto-Caramma e alle richieste di denaro, più o meno esplicite, formulate dalla Saguto all'indirizzo di Cappellano Seminara, e culminate, il 30 giugno 2015, con la visita di quest'ultimo a casa di Silvana Saguto, intorno alle 22,30.
L'8 giugno del 2015 la Saguto (D) parlava nel suo ufficio con Cappellano Seminara (UI):
[...]
D - Ma dico quindi ci sono problemi allora per queste cose?
UI -No, non ci dovrebbero essere problemi.
D - Perché sono ... sia quelli di Riesi poi ..
UI - No, no. Non ci dovrebbero essere.
D - ... sia di Riesi che di qua ... si potrebbero capitalizzare.
UI - No, Riesi è già fatto. Quello del rigetto è già fatto.
D - Del rigetto?
U1 - Certo.
D - Riesi e Caltanissetta.
Ul - Novemila e rotti euro. È stato fatto.
D - Quando?
Ul - La settimana scorsa, è da una settimana.
D - Forse allora non sono ..., non erano arrivati. Lunedì.
Ul - C'erano quelli ... , come si chiama ...
D - Delle cave.
UI - C'era il resto delle cave, che non so se è stato fatto o deve essere fatto.
Emerge chiaramente che la Saguto e Cappellano Seminara stavano discutendo dei compensi spettanti a Lorenzo Caramma per le collaborazioni quale coadiutore di Cappellano Seminara.
Più precisamente i due parlavano dei compensi di Riesi (ovvero della procedura di prevenzione pendente a quell'epoca a Caltanissetta), di quelli di Agrigento (cosi dovendo essere correttamente intesa la parola trascritta "rigetto" dai periti) e dei compensi delle cave (procedura Buttitta).
Nel corso del suo esame e nelle sue dichiarazioni spontanee la Saguto ha più volte affermato di non essersi mai interessata alle questioni professionali ed economiche del marito, ma tale affermazione è platealmente smentita proprio dalla superiore intercettazione, che ha invece restituito plasticamente l'immagine della Saguto mentre, all'interno del suo ufficio di Presidente della Sezione, è intenta a chiedere ad uno dei suoi amministratori giudiziari di liquidare quanto spettante a suo marito (“...si potrebbero capitalizzare..."), distinguendo, nel dettaglio, procedura per procedura e pure quantificando l'ammontare preciso dei compensi ("novemila euro...") e mostrando così di essere perfettamente a conoscenza del quantum debealur al marito.
L’affitto da pagare
Qualche giorno dopo aver saputo da Cappellano che aveva già provveduto a certi pagamenti, il 10 giugno 2015, la Saguto parlava a telefono con il marito […]. I due coniugi parlavano della loro difficile situazione economica, in particolare di un loro conto corrente in sofferenza, e la Saguto chiedeva al marito se gli erano arrivati i pagamenti di Cappellano «...Invece a te non è arrivato niente di Cappellano.. delle cave .. ?» e Caramma rispondeva: «No no, assolutamente no. Ho guardato e non c'è niente»,
L'11giugno 2015 la Saguto esortava il figlio Elio – che si lamentava perché non avrebbe potuto percepire lo stipendio fino a settembre “a fare qualche lavoretto" e "a tirare'' e gli diceva «speriamo che arrivino le cose che devono arrivare».
Di nuovo, 1'11 giugno 2015, la Saguto parlava con il figlio Elio: […]. I due stavano parlando dell'affitto della casa nella quale viveva Elio Caramma, il cui canone mensile andava pagato entro il giorno 5 del mese e la Saguto diceva al figlio di avere pazienza perché "..dovrebbero arrivare".
[…] Dalle conversazioni sopra riportate emerge, dunque, che alla data dell'11 giugno 2015 la situazione economica della famiglia Saguto-Caramma era problematica: il conto corrente era in sofferenza di €1.150,00, l'affitto di casa di Elio Caramma doveva essere pagato, Lisetta, la collaboratrice domestica, non aveva ricevuto ancora lo stipendio.
Di fronte a tali difficoltà, la Saguto, parlando con la madre, prospettava come soluzione che "dovrebbero arrivare dei soldi a Lorenzo".
Non può revocarsi in dubbio, quindi, che, nelle conversazioni sopra riassunte, l'allusione al fatto che dovesse arrivare qualcosa ("invece a te non è arrivato niente", "dovrebbero arrivare", "speriamo che arrivino le cose che devono arrivare") conteneva il riferimento al denaro. […] E certamente ancora di denaro parlava la Saguto anche nella successiva telefonata sempre dell'11 giugno 2015, quando diceva a Cappellano Seminara che "quei documenti non sono arrivati" e che "siamo un poco persi ...”[...].
Il 12 giugno 2015 Elio Caramma sollecitava ancora la madre per il pagamento dell'affitto di casa "ma hai parlato con papà?" e la Saguto rispondeva: "No, non ho niente da dire a papà. Già ci siamo ... abbiamo parlato. Elio ci sono alcune giornate che devono ... purtroppo io con altri devo parlare, non con papà. Non ho che cosa dire, non abbiamo ... Stai tranquillo, ci pensiamo noi, è un problema nostro. è un pensiero nostro. Non ti preoccupare. Non ho che fare”, alludendo cosi al fatto che la soluzione, almeno temporanea, dei loro problemi economici non poteva essere data dal marito, ma che avrebbe dovuto rivolgersi a qualcun altro, ossia - come sarà ancora più chiaro tra breve - a Gaetano Cappellano Seminara.
[…] Madre e figlio si sentivano di nuovo nel corso del 12 giugno 2015, precisamente alle ore 11.35, e la Saguto riferiva ad Elio che non sarebbe andata al mare quel giorno e che avrebbe cercato Cappellano ( ... poi con questa storia, ora vedo di vedere Cappellano che mi interessa di più'').
Alla ricerca di denaro
[…] Nonostante l'utilizzo di un linguaggio criptico, nel corso di quest'ultima telefonata Cappellano Seminara lasciava intendere alla Saguto - come poi sarà confermato dalla dazione di denaro del 30 giugno 2015 ..... che non sarebbe riuscito a "capitalizzare" denaro dalle società in sequestro nell'ambito delle quali Lorenzo Caramma rivestiva l'incarico di coadiutore e che avrebbe dovuto pensarci lui personalmente "devo intervenire."per forza io .. " e la Saguto prendeva atto che avrebbe dovuto ancora attendere "... sopravviverò ...". […]. Il 15 giugno 2015 aveva luogo, all'interno dell'ufficio della Saguto, una rilevante conversazione con Cappellano Seminara, nel corso della quale la Saguto rappresentava, stavolta in termini più drammatici, le sue difficoltà economiche: " .. lo pure, sono disperata. Non puoi capire. Non ce la posso..., devo trovare qualcos'altro. Non è che voglio.… .. distruggerti l'esistenza”.
[...] Emerge chiaramente la situazione di difficilissima difficoltà economica (“...quindi noi siamo rovinati. Significa che io potrei vendermi la casa...... la luce il 20 ce la tagliano ...”) della Saguto, che ne parlava con Cappellano Seminara, aspettandosi che fosse lui a trovare una soluzione, come si capisce chiaramente dal suo commento "Non è che voglio ...... distruggerli l'esistenza."
Dopo una serie di conversazioni, per lo più telefoniche, stavolta i due si trovavano l'uno di fronte all'altro e la Saguto era più esplicita, verosimilmente ritenendo impossibile un'intercettazione all'interno del proprio ufficio nel palazzo di Giustizia. La Saguto informava Cappellano Seminara che, anche se lui le avesse pagato 8500 euro "per il calcestruzzo" (evidentemente riferendosi alla procedura Buttitta o alla procedura Calcestruzzi), comunque non sarebbe stato sufficiente ("Anche se fa il calcestruzzo, tu mi fai poi.. 8.500 euro, poi banca. lo non ho più soldi ...”), lo portava a conoscenza del suo debito con il gestore della carta di credito American Express di circa diecimila euro e gli faceva presente che, nell'eventualità in cui il debito non fosse stato saldato entro il giorno 30, ciò avrebbe determinato il blocco della carta; ancora, gli riferiva di avere già speso tutto il denaro che le era stato corrisposto come risarcimento per l'incidente al ginocchio.
E' da notare come la Saguto riferiva direttamente a se stessa "... tu mi fai, tu mi fai 8500 euro banca. io non ho più soldi" il pagamento di somme che formalmente erano invece spettanze proprie del marito.
Si tratta di un'ulteriore conferma del sinallagrna corruttivo - tutt'altro che velato, tutt'altro che non esplicito, tutt'altro che evanescente come ha sostenuto la difesa - in atto in quel periodo con Cappellano Seminara e di una circostanza che smentisce totalmente anche la tesi difensiva della non ingerenza di Silvana Saguto nei rapporti professionali del madto Caramma.
Dalle predette captazioni emerge piuttosto il centralissimo ruolo ed il protagonismo del giudice corrotto non solo nella gestione degli incarichi dalla stessa conferiti a Cappellano Seminara come Presidente del Tribunale misure di prevenzione di Palermo, ma anche nei rapporti debito/credito in atto tra il marito e Cappellano Seminara rispetto a misure di prevenzione di competenza di altra autorità giudiziaria.
Dopo il dialogo intrattenuto con Cappellano Seminara sui problemi economici della famiglia, alle 15.42 dello stesso 15 giugno 2015 la Saguto parlava con il figlio Elio che le chiedeva «ma notizie del mio affitto? No, niente». E la Saguto rispondeva: «No, no, gioia, non ce ne sono notizie. Cioè dovremmo averne. Oggi ci ho parlato, però ora si vede». Elio Caramma, non domandandole nulla, dimostrava di avere capito con chi avesse parlato sua madre per risolvere il problema dell'affitto.
Risulta quindi evidente l'esistenza di un codice di comunicazione conosciuto dai componenti del nucleo familiare Saguto-Caramma, secondo cui non bisognava mai parlare troppo esplicitamente al telefono delle questioni economiche, che poi venivano risolte in modo non lecito da parte di Cappellano Seminara, rinviando eventualmente ad incontri di presenza i chiarimenti necessari.
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