Provenzano non poteva essere catturato perché rappresentava la garanzia dell’adempimento da parte dei mafiosi degli accordi e quindi la garanzia di una direzione di Cosa nostra verso prospettive più moderate, verso la prospettiva di abbandono definitivo di quella strategia stragista che ancora aveva prodotto i suoi effetti e le sue conseguenze tragiche...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Luigi Ilardo il pentito di mafia che aveva deciso di collaborare con la giustizia e che è stato ucciso il 10 maggio del 1996, cinque giorni prima di entrare nel programma di protezione. Ilardo stava portando gli investigatori verso il latitante Bernardo Provenzano.
Provenzano non poteva essere catturato perché rappresentava la garanzia dell’adempimento da parte dei mafiosi degli accordi e quindi la garanzia di una direzione di Cosa nostra verso prospettive più moderate, verso la prospettiva di abbandono definitivo di quella strategia stragista che ancora aveva prodotto i suoi effetti e le sue conseguenze tragiche con gli attentati del ’93 e fino al fallito attentato dell’Olimpico nel gennaio del ’94.
C’è un altro motivo: Provenzano non poteva essere catturato perché un eventuale suo arresto, l’eventualità anche teorica di una sua collaborazione con la giustizia avrebbe scoperto le carte. Avrebbe sparigliato gli accordi. Avrebbe comportato, soprattutto per i carabinieri del Ros, la possibilità che il loro comportamento sciagurato e illecito, che era iniziato già nel giugno del ’92, venisse definitivamente alla evidenza dell’autorità giudiziaria e dell’opinione pubblica.
Questo era il motivo per cui Subranni e Mori non potevano, non dovevano e non hanno voluto catturare Provenzano, perché preoccupati di rispettare il patto con l’ala moderata di Cosa nostra e di garantire la perpetrazione, la perpetuazione della segretezza di quell’accordo.
Ecco perché anche oggi, anche in questa sede è opportuno esaminare, stante l’evidenza di questi profili di collegamento con le imputazioni oggi mosse ad alcuni dei nostri imputati, la vicenda Ilardo. Con una precisazione e un auspicio, prima di passare a una sintetica ricostruzione dei fatti. L’auspicio è che, finalmente, anche questa tragica vicenda venga letta in un quadro d’insieme e di sistema con altre vicende, delle quali abbiamo a lungo discusso in queste udienze.
Dobbiamo uscire ma dovete uscire anche voi signori della Corte, da quel percorso che ha portato a conseguenze di sostanziale ingiustizia e di sostanziale mancata comprensione dei fatti. Dobbiamo uscire da quel percorso caratterizzato dalla atomizzazione di vicende che vengono sempre lette separatamente. Questo è stato il vizio di fondo di tutto il percorso, cioè per decenni che magistrati inquirenti e giudicanti, a nostro parere, hanno scontato.
Vicende che vengono lette sempre separatamente ma che invece possono e devono trovare una valutazione unitaria. La trattativa Ros-Ciancimino, la cattura di Riina, la mancata perquisizione del covo di Riina, l’episodio di Terme Vigliatore finalizzato a evitare che venisse catturato Benedetto Santapaola, la mancata cattura di Provenzano il 31 ottobre ’95 a Mezzojuso, ma soprattutto il mancato sviluppo di ogni possibilità di progressione investigativa che, partendo dai favoreggiatori di Provenzano, dalla sera del 31 ottobre ’95, avrebbe inevitabilmente facilmente condotto già in quel periodo all’arresto del latitante.
Quella parte di Stato che aveva trattato non poteva permettersi che giudiziariamente emergesse, attraverso le parole di Gino Ilardo e attraverso la valorizzazione del suo apporto collaborativo – che con la cattura di Provenzano sarebbe stata massima – venissero fuori vicende troppo imbarazzanti di stretta attualità in quel momento, quali quelle ben note allo stesso Ilardo, che ne aveva già anticipato, seppure per cenni, il contenuto a Riccio.
Ed erano le vicende legate agli accordi mafiosi che, con l’intermediazione di Marcello Dell’Utri, la mafia aveva stipulato con il nascente partito Forza Italia già prima delle elezioni del marzo ’94 e che avevano avuto sbocco nell’affermazione di quel partito sulla base degli accordi con la mafia. Valorizzare Ilardo, indagare sulle sue confidenze a Riccio, portarlo a un percorso di collaborazione con la giustizia, valorizzato anche dalla cattura di Provenzano, avrebbe creato questo problema. Ilardo già nel ’94 aveva detto a Riccio, sostanzialmente, le stesse cose che hanno costituito poi, ovviamente con gli approfondimenti dovuti, gli accordi con Forza Italia intermediati da Dell’Utri, l’invito a dire: «... state calmi, noi faremo qualcosa» – bisognerebbe rileggerlo sempre, quel rapporto – «nel giro di cinque, sette anni noi quelle cose che voi volete cercheremo di farle, sul carcerario, sul sequestro dei beni, sul 416 bis». In diretta, la vicenda Ilardo rappresentava il pericolo numero uno che la trattativa venisse svelata giudiziariamente mentre ancora era in corso.
Quegli stessi carabinieri che avevano avuto un ruolo così decisivo – mi riferisco a Mori soprattutto – nella fase iniziale della trattativa, non potevano permettere, valorizzando il contributo conoscitivo di Ilardo, che si desse credito a chi per primo stava riferendo della conclusione della trattativa tra Provenzano e Forza Italia per il tramite di Dell’Utri.
Quella parte che aveva condotto la trattativa – e mi riferisco in particolare sempre all’imputato Mori – non si poteva nemmeno permettere che attraverso le parole di Ilardo, eventualmente consacrate in un verbale di interrogatorio, emergessero altre verità scabrose legate a ciò che Ilardo sapeva e aveva intenzione di riferire a verbale sulla commistione di interessi mafiosi e di interessi politico-istituzionali, in molti dei delitti eccellenti e con ogni probabilità anche nelle stragi del ’92 e del ’93.
© Riproduzione riservata