Lo scopo della Commissione Antimafia siciliana è stato quello di indagare, già tre anni fa, su un tassello di questa matassa, il “depistaggio” sul delitto Borsellino, che – paradossalmente – appare essere oggi una delle poche certezze in mezzo a tanti misteri
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
A quasi trent’anni dalla stagione delle stragi (1992 – 1993) che hanno cambiato il volto dell’Italia, non esiste ancora una verità storica (né una verità giudiziaria) in grado di ricostruire compiutamente autori, moventi, mandanti e contesto storico in cui avvennero quegli spaventosi attentati, senza precedenti nel continente europeo dalla fine della guerra.
Lo scopo della Commissione Antimafia dell’ARS è stato quello di indagare, già tre anni fa, su un tassello di questa matassa, il “depistaggio” sul delitto Borsellino, che – paradossalmente – appare essere oggi una delle poche certezze in mezzo a tanti misteri.
Sia sul depistaggio che sulle stragi sono tutt’ora in corso processi a Caltanissetta, Palermo, Firenze e Reggio Calabria. Il tema impegna poi, da decenni, anche la Procura nazionale antimafia. Ma i dubbi restano, tutti: Cosa Nostra agì da sola o – come appare assai più probabile - fu il braccio militare di altre “entità”? C’era davvero il progetto per un nuovo assetto politico per il nostro paese su cui si sarebbero trovati in sintonia le mafie, gruppi di estrema destra e associazioni segrete come la P2? Quale fu il ruolo dei servizi segreti? Falcone e Borsellino furono uccisi – come intendono far credere le impalcature dei depistaggi - per semplice vendetta mafiosa, perché si occupavano dei denari di Cosa nostra o perché intralciarono quel progetto eversivo? Quei delitti furono la reazione per quello che avevano scoperto o per quello che i due magistrati avrebbero potuto scoprire e fare? Perché la magistratura ha lasciato cadere importanti spunti investigativi, ha dato credito a personaggi privi di alcuna credibilità, ha fondato inchieste durate anni sulla base di falsi visibili ad occhio nudo? E il depistaggio su via D’Amelio è parte dello stesso progetto criminale che ha portato alla morte di Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta?
Concentrandosi su queste domande, la Commissione ha audito, in questa seconda tappa della propria indagine, molti dei protagonisti di quel periodo. Il focus, questa volta, è stato anzitutto il perimetro delle responsabilità istituzionali che hanno permesso, non solo in Sicilia, l’ignominia di quel depistaggio: chi non capì, chi non cercò, chi non disse, chi distolse lo sguardo, chi lavorò consapevolmente per la menzogna, chi cercò colpevolmente solo la propria carriera.
Emerge in conclusione, come nella prima indagine di questa Commissione, un reticolo di responsabilità forse penalmente non rilevanti ma tutte, a diverso titolo, determinanti nell’assecondare, proteggere, accompagnare quel furto di verità su via D’Amelio. E nel coprire, di fatto, mandanti e movente che una lettura facile e consolatoria (sostenuta per diciassette anni dalle verità “rivelate” da Scarantino) avrebbe voluto limitare all’interno di Cosa nostra. Solo una vendetta: come in un b-movie.
La seconda relazione della Commissione
In questa seconda inchiesta, la Commissione Antimafia dell’Ars, durante quattro mesi d’indagine, ha collezionato 22 audizioni: il giornalista Enrico Deaglio; il giornalista Salvo Palazzolo; l’avvocato Valeria Maffei, legale di Gaspare Spatuzza; Vincenzo Pipino (che di Vincenzo Scarantino fu compagno di cella); la giornalista Stefania Limiti; l’ex pubblico ministero Antonio Di Pietro; Gaetano Murana (uno degli innocenti accusati da Scarantino); l’attuale consigliere del C.S.M. Sebastiano Ardita; il sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Messina Felice Lima; l’ex magistrato Alberto Di Pisa; l’ex Ministro della Giustizia Claudio Martelli; l’ex pubblico ministero Antonio Ingroia; l’ex Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti; l’ex agente della Polizia di Stato Antonio Vullo (unico superstite della strage di via D’Amelio); il giornalista Damiano Aliprandi; il giornalista Fabrizio Calvi; l’ispettore superiore della Polizia di Stato Giuseppe Garofalo; l’ex presidente del COPACO ed ex componente del CSM Massimo Brutti; gli ex direttori del carcere di Pianosa Vittorio Cerri e Vincenzo D’Andria; l’ex dirigente del SISDE Bruno Contrada; il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo Roberto Scarpinato. A tutti dobbiamo un contributo di memoria che ci è stato utile per ricostruire dettagli, omissioni, forzature, ingenuità, menzogne: i molti tasselli che costituiscono la solida impalcatura di questo depistaggio.
Un ringraziamento, non formale, va ai funzionari della nostra Commissione (sempre puntuali, pazienti e solerti), ai nostri consulenti ed – in particolare – a Enrico Deaglio, da sempre attento cultore e scrittore civile di queste vicende, consulente prezioso nell’accompagnarci in alcuni approfondimenti.
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