Come la si riconosce questa mafia, trasparente come liquido infiammabile che tutto sembra bruciare, compresi i nostri sogni di riscatto? È difficile. Si avvicina il 30esimo anniversario delle stragi del ‘92, e da allora di strada ne abbiamo fatta tanta, ma intorno c’è come una sensazione di disagio, per un nemico invisibile...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni, a cura dell’associazione Cosa vostra. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Trame, festival dei libri sulle mafie di Lamezia Terme, con 15 articoli sui temi al centro degli incontri del Festival.
Chiedo scusa se parlo di incendi. Ma noi, poveri cronisti, si vive di quello che accade. E in Sicilia, ma anche in altre Regioni d’Italia, accade principalmente questo: brucia la terra. Come ogni anno, si dirà. Ma ogni estate, questa linea del fuoco che avanza sembra sempre più amara e violenta.
Siamo talmente abituati alle estati siciliane di fuoco, alla cadenza dei roghi, che ormai sappiamo il copione a memoria: prima l’allerta meteo, “sono previsti caldo e vento”, poi le riserve, i monti, le campagne che prendono fuoco, gli aerei in azione, i volontari, lo spegnimento, la conta dei danni, le polemiche, i sospetti.
Già, perché sugli incendi ci sono tanti sospettati, ognuno ha le sue teorie: la mafia dei pascoli, i forestali stessi che danno fuoco per poter lavorare di più, la lobby dei canadair e quella del fotovoltaico, i piromani svitati.
Ricorda molto lo stato dell’arte della lotta alla mafia, oggi, questa Sicilia grigia di cenere e fumo che abbiamo intorno. Abbiamo costruito negli anni una specie di riserva, convinti di fare bene il nostro mestiere. D’altronde siamo quelli della primavera, si sa, e la primavera è tempo di semine e rinascite, foreste silenziose che crescono come vuole il famoso detto.
Solo che poi questa riserva ha cominciato a prendere fuoco. E noi non sappiamo chi sono gli incendiari.
Abbiamo teorie e sospetti, qualche indizio. Ma mentre prima i piromani li sapevamo riconoscere, nel loro modo di fare, di porsi, anche nei loro sguardi carichi di voglia di dare fuoco a tutto (e lo hanno fatto davvero, in quegli anni lì), adesso non sappiamo da quale parte viene la prima fiamma, chi è che scatena la miccia.
Eccola, la mafia trasparente. Questa organizzazione che una volta pensavamo fatta di riconoscibilissimi incendiari e ora è solo di ombre, sagome, rumori nel sottobosco.
E a volte, purtroppo, gli incendiari sono davvero i pompieri. Perché abbiamo imparato, a nostre spese, che a dare fuoco sono quelli che invece indossavano l’elmetto delle gloriose forze dell’antimafia militante e di parata. Di giorno issavano bandiere “legalitarie”, la notte preparavano micce.
Verso il trentesimo anniversario delle stragi
Come la si riconosce, allora, questa mafia, trasparente come certo liquido infiammabile che tutto sembra bruciare, all’improvviso, compresi i nostri sogni di riscatto?
E’ difficile, ed è complicato. Si avvicina il trentesimo anniversario delle stragi del ‘92, e da allora di strada ne abbiamo fatta tanta, tantissima, ma intorno c’è come una sensazione di disagio, per un nemico invisibile, che non sai come chiamare, che è pronto a dare fuoco alla tua oasi, magari dopo che, dentro l’oasi, l’hai fatto entrare proprio tu.
E noi oggi non abbiamo tanto paura della mafia, quanto della complessità richiesta dalla sfida che ci attende. Credevamo che, come quando va a fuoco qualcosa, bastava il primo estintore di schiumose citazioni/cineforum/festival a spegnere l’incendio. Non è così. E’ richiesto uno sforzo in più. E per me, ad esempio, lo sforzo è la curiosità di capire, di perdere tempo sulle cose, sul territorio, sulle storie, di incrociare i fatti e dare un nome.
Sugli incendi, in Sicilia, ad esempio, se uno gira, chiede, ascolta, si scopre che ci può stare dentro tutto, ma se la burocrazia regionale fosse meno astrusa, e la politica meno incapace, un po’ di prevenzione basterebbe ad arginare il 90% dei rischio dei roghi estivi. Se tu fai partire le campagne antincendio a Luglio, se non sai utilizzare i droni, se dimentichi di fare i viali parafuoco, stai dicendo ai piromani: accomodatevi.
Stessa cosa vale per quella mafia oggi diventata trasparente. Gli slogan non funzionano, è una variante - per usare un’altra metafora molto calata sui tempi - che ha aggirato i vaccini che ci eravamo fatti dopo le stragi del ‘92. Anzi, viene dagli stessi laboratori. Non ci rimane che l’ostinata e paziente ricerca del racconto, lo studio di carte, l’incrocio dei dati. E quella mafia appare.
Mafia “trasparente” e riforma della giustizia
Il rischio però è che si passi dalla mafia invisibile alla mafia … imprescrivibile. Mi spiego: è in dirittura d’arrivo la riforma della giustizia voluta dal governo Draghi. Da questa riforma, che (faccio un po’ di sintesi) usa l’ascia della prescrizione per tagliare i tempi dei processi, sono stati esclusi proprio i reati di mafia. Cioè, se viene contestata l’aggravante mafiosa, la prescrizione non sarà “breve”. Sembra una cosa utile e sensata. Ma accadrà che molti pm, pur di allungare i tempi delle loro inchieste, contesteranno ad indagati ed imputati proprio l’aggravante mafiosa.
E i processi diventeranno infiniti, masticando vite e fatti, come abbiamo purtroppo già visto. Non è di questo che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di una giustizia efficiente per tutti, anche per i mafiosi, e di uno stato, lui si, trasparente.
Non serve allungare i tempi dei processi, serve farli bene, i processi, e fare bene le indagini, e dire basta agli estintori, piuttosto leviamo i cerini dalle mani dei soliti noti.
E serve ad esempio creare, presto e bene, un portale chiaro, accessibile e trasparente dove io, cittadino, possa seguire la sorte di ogni singolo euro del Pnrr. Perché lì ci sono i soldi, dove ci sono i soldi arriva sempre, prima o poi, la mafia. Una misura come questa è efficiente come un viale parafuoco, fatto bene. Se no, continueremo sempre a inseguire gli incendi, spegnerli, e domandarci chi cavolo sono i colpevoli.
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