Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


Lo cerco perché un suo cugino, Vincenzo, è coinvolto nel falso sequestro del banchiere Michele Sindona.

Rosario Spatola l’ho conosciuto un giorno d’inverno del 1980 davanti agli uffici della sua impresa, in via Beato Angelico, nella borgata dell’Uditore.

Non mi fa entrare in ufficio, esce lui. Come tutti i mafiosi, all’apparenza è garbato, gentile, non alza mai la voce. È gennaio, forse febbraio.

È abbronzatissimo, ray ban, una pesante collana d’oro al collo. E un parrucchino in testa. Capelli finti color rame.

Mi dice che non parla con Vincenzo da molto. Mi dice anche che succedono troppe «cose tinte» a Palermo, cose brutte.

I resti della sua famiglia li rivedo il 13 maggio del 1981 nella chiesetta di Passo di Rigano, il giorno dei funerali di Salvatore Inzerillo, uno dei capi della mafia palermitana uccisi dai Corleonesi.

La moglie di Salvatore Inzerillo è Filippa Spatola, sorella di Rosario, l’imprenditore mafioso di via Beato Angelico.

I muri delle stradine intorno a via Castellana sono coperti da corone di fiori, una folla aspetta la vedova. Filippa scende da una limousine color panna, alcuni uomini in abito scuro – che parlano americano fra loro – l’accompagnano davanti all’altare. Sono i parenti venuti da Cherry Hill. La chiesetta è stracolma, nella piccola piazza ci sono centinaia di ragazzi. Fa caldo, molti sono in camicia, s’intravedono le pistole.

È guerra di mafia a Palermo. Sono tutti «ai materassi».

Mi sento in un film.

A Passo di Rigano c’è anche Letizia Battaglia, la fotografa.

Ci scambiamo un’occhiata per capire quando è il momento buono per scattare qualche immagine. Uno degli Inzerillo si avvicina a Letizia, indica con la mano la sua macchina fotografica e dice: «Tu te ne devi andare». Poi si rivolge a me: «Tu puoi restare ma non devi fare domande».

Scrivo così la mia prima cronaca di un funerale di mafia.

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